La Costituzione colloca il presidente della repubblica al di sopra delle parti politiche, rendendolo irresponsabile per tutti gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. Questo però non rende il capo dello stato un semplice notaio che ratifica scelte altrui, anzi.

Rileggendo la storia della nostra repubblica, è facile vedere quanto ogni presidente sia stato immerso nel periodo storico durante il quale ha svolto il suo mandato. E anche come alcuni presidenti siano diventati il parafulmine di vicende politiche che ancora rimangono misteri non del tutto chiariti.

Antonio Segni

Le prime dimissioni avvengono nel 1964 e la firma è quella del quarto capo dello stato, il democristiano Antonio Segni.

Segni era stato soprannominato dal giornalista Indro Montanelli l’omino di porcellana a causa del volto esile e pallido e dei capelli bianchi. Eletto nel 1962, si era conteso il posto al Quirinale in uno scontro lungo 19 scrutini con il socialista Giuseppe Saragat a causa dei franchi tiratori della Dc.

E proprio Saragat, che è stato poi il suo successore, è stato tra i protagonisti di uno dei misteri dietro la conclusione del mandato di Segni.

E’ il 7 agosto 1964 e Segni ha chiamato al Quirinale il presidente del Consiglio, Aldo Moro e Saragat, che nel frattempo è stato nominato ministro degli Esteri. Formalmente, l’incontro riguarda lo spostamento di alcuni ambasciatori.

Segni e Saragat non sono d’accordo, ne nasce un alterco, dallo studio si sente alzare la voce. Poi più niente. Infine la porta si apre e viene mandato a chiamare un medico. La diagnosi è drammatica: il presidente Segni è stato colpito da ictus cerebrale, con perdita della parola e paralisi al lato destro del corpo.

Alla fine Segni cede e dopo appena due anni di mandato firma le dimissioni, che vengono lette in televisione come suo messaggio di commiato agli italiani.

A lui succede l’avversario socialista Saragat e questa è la versione ufficiale dei fatti. Ne esiste però una giornalistica, mai accertata e anzi smentita da più parti, che riguarda il presunto golpe De Lorenzo.

Leone e Cossiga

Le altre due dimissioni, invece sono tutte politiche e riguardano i due presidenti di cui abbiamo parlato nello scorso episodio: Giovanni Leone e Francesco Cossiga.

La presidenza di Leone inizia nel 1971. Sono gli anni bui del terrorismo, che culminano nel 1978, con il sequestro del presidente della Dc Aldo Moro da parte delle brigate rosse.

Le dimissioni di Leone arrivano nello stesso anno: il 15 giugno 1978, e a determinarle è la pressione dei partiti politici, dopo una durissima campagna stampa contro di lui, iniziata nel 1976.

All’origine c’è il cosiddetto scandalo Lockheed.

La Lockheed è un’azienda aeronautica militare americana che aveva corrotto i leader di vari paesi occidentali per vendere i suoi velivoli. In Italia, i documenti riservati indicano il politico da corrompere era indicato con il nome in codice di Antelope Cobbler. I sospetti cadono immediatamente sui vertici della Dc: Giulio Andreotti, Aldo Moro, Mariano Rumor e appunto Giovanni Leone.

L’attacco più pesante al presidente è contenuto in un libro, pubblicato nel 1976  dalla giornalista Camilla Cederna. Il titolo è “Giovanni Leone, La carriera di un presidente” che getta ombre su tutta la famiglia e lo accusa di essere Antelope Cobbler. Leone intende rispondere e vorrebbe dimettersi subito, ma viene convinto da Moro a non farlo e a non rispondere.

Fino al 1978: è in corso una commissione d’inchiesta, la campagna stampa del settimanale L’Espresso continua, Moro non c’è più e aumentano gli attacchi anche da parte dei partiti politici e in. Particolare dei Radicali. E così che Leone annuncia le sue dimissioni.

Pochi mesi dopo, Leone viene definitivamente scagionato da ogni sospetto. La commissione d’inchiesta individua e punisce alcuni alti militari e un ex ministro della difesa viene. condannato per corruzione.

I familiari dell’ex presidente intentano una causa contro Feltrinelli che aveva pubblicato il libro di Cederna. Ottengono un risarcimento e il sequestro e distruzione di tutte le copie residue del libro.

Le altre dimissioni politiche, invece, sono state rassegnate da Francesco Cossiga e hanno una storia diversa. Se Leone si è dimesso a causa degli attacchi ai partiti, Cossiga si è dimesso in polemica con i partiti.

Come è avvenuta la sua elezione lo abbiamo raccontato nel passato episodio, ma la conclusione del suo mandato è altrettanto eclatante. Nei primi cinque anni svolge il mandato in modo tradizionale mentre cambia completamente approccio nella seconda fase, che viene fatta coincidere con la caduta del muro di Berlino.

E’ in questa seconda fase che Cossiga si trasforma nel “picconatore”. Fa esternazioni contro i leader politici del tempo, chiede riforme costituzionali e abbandona ogni formalismo. Fino alla decisione definitiva nel 1992.

In quello stesso anno le elezioni politiche vedono il successo inatteso della Lega Nord e il crollo della Dc e del Pds di Achille Occhetto, fondato dopo lo scioglimento del Pci. Sta per esplodere lo scandalo di Tangentopoli. E Cossiga si dimette, senza annunciarlo a nessuno, ma solo in diretta televisiva.

Giorgio Napolitano

Nella storia della repubblica, però, c’è un solo presidente a cui è riuscita la somma dei due eventi più eccezionali: la rielezione al Quirinale e le dimissioni, dopo due anni dall’inizio del secondo mandato.

Giorgio Napolitano è il protagonista di nove anni eccezionali e allo stesso tempo drammatici.

Vene eletto a maggioranza assoluta alla quarta votazione nel 2006 e già questo segna un passaggio storico. Napolitano, già senatore a vita, è il primo presidente comunista della storia italiana e la sua elezione fa cadere l’ultimo tabu della prima repubblica: il veto imposto dagli Stati uniti sul partito comunista.

Napoletano, era il leader della corrente dei cosiddetti miglioristi in opposizione alla linea del segretario Enrico Berlinguer e fu il primo comunista invitato in America. Eppure aveva già acquisito un profilo che esulava dal suo percorso politico.

Nel 2011, Napolitano è chiamato a gestire la crisi politica ed economica del Paese. Davanti al rischio del commissariamento, il governo Berlusconi si dimette e Napolitano dà vita al governo tecnico guidato da Mario Monti, il cosiddetto governo dei professori per salvare i conti italiani dalla troika europea.

Nel 2013, Napolitano non vuole il bis. A convincerlo, è stato lo stallo delle forze politiche dopo il voto. Ma soprattutto la crisi del centrosinistra, che ha bruciato la candidatura di Romano Prodi.

Napolitano accoglie la rielezione pronunciando un durissimo attacco alla classe politica, dalla quale però viene applaudito come il salvatore delle istituzioni.

Tutto questo è “il grande gioco”, del Quirinale, il podcast di Domani che si può ascoltare anche su Spotify e su tutte le principali piattaforme di podcast.

Si ringraziano le Teche Rai, l'Istituto Luce e Radio Radicale per i contributi d'archivio.

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