La sera dello scorso 11 gennaio, otto senzatetto sono stati sgomberati dai portici di piazza Vittorio, a Roma, a due passi dalla stazione Termini. Erano accampati lì da giorni, al riparo dell’unica piazza porticata della città, tra cartoni e coperte, di fronte alle saracinesche dei negozi chiusi per il lockdown. Pochi giorni prima, i giornali avevano riportato la notizia della morte di nove senzatetto a causa del freddo.

A far intervenire polizia e carabinieri è stata una diffida inviata a comune, municipio e forze dell’ordine da un gruppo di abitanti della piazza che denunciavano «il degrado ormai a livelli di guardia e i rischi per la salute pubblica» raggiunto dall’area intorno alla piazza.

La lettera, firmata da oltre 700 residenti, tra cui parecchi dai nomi illustri, come il regista premio Oscar Paolo Sorrentino, elenca dettagliatamente una serie di casi di spaccio, degrado e microcriminalità avvenuti a piazza Vittorio e nel resto del rione Esquilino.

Non è chiaro se le persone sgomberate quella sera avessero a che fare con gli episodi denunciati nella lettera, ma prima di allontanarli i carabinieri li hanno sanzionati con un Daspo urbano. La multa per bivacco ammonta a cinquecento euro, come da ordinanza 2009 dell’ex sindaco Gianni Alemanno.

A Roma si voterà per scegliere il nuovo sindaco il prossimo autunno. Con i reati in calo e un clima politico poco incline agli allarmismi sull’emergenza criminalità o immigrazione, questa stanca ed estiva campagna elettorale sembra che si giocherà sui temi sollevati dai residenti di piazza Vittorio: pulizia, decoro e degrado.

Il rischio, è che in questa corsa a promettere una città più presentabile, il prezzo venga pagato dagli ultimi e i dimenticati, come i senzatetto sgomberati di piazza Vittorio.

Microcosmo Esquilino

«Questo è quello che accade quando un'amministrazione comunale perde il controllo della città», dice Giuseppe Longo, uno dei firmatari della diffida che ha messo in moto lo sgombero di Piazza Vittorio.

Longo è un energico 57enne dai modi decisi e dalle idee chiare, conosciuto tanto dalla politica locale, «sono un rompicoglioni», quanto dagli abitanti del quartiere. È stato lui, racconta, a convincere Paolo Sorrentino a firmare la diffida.

La famiglia di Longo gestisce da due generazione la farmacia più antica del quartiere. Lui stesso lavora sotto i portici della piazza da quasi quarant’anni.

La piazza e il quartiere che la circonda, il Rione Esquilino, sono un microcosmo dei conflitti che attraversano la città di Roma. Situato a due passi dalla stazione, l’Esquilino è un quartiere dove artisti, giornalisti, dirigenti pubblici e pensionati convivono a poche strade di distanza dalle comunità cinesi, bengalesi e nordafricane.

Da decenni è una delle aree più problematiche del centro di Roma, ma negli ultimi anni ha vissuto un momento di rinascita, a cui ha contribuito anche la riqualificazione della piazza, diventata uno degli spazi pubblici più accoglienti della capitale, dove ogni giorno si possono trovare famiglie proveniente da una mezza dozzina di nazioni diverse.

Ma la crisi economica, il Covid e il collasso dei servizi comunali, dalla pulizia delle strade ai servizi sociali, hanno fatto esplodere i contrasti latenti di questo quartiere così eclettico. Negli ultimi tempi, le denunce di una parte degli abitanti del quartiere, esasperati da sporcizia, piccolo spaccio e bivacchi di senzatetto, si sono moltiplicate.

Per la destra è “invasione”

Longo potrebbe citare decine di questi episodi. Qualche tempo fa, ad esempio, insieme ad altri abitanti del quartiere, si è occupato di un ragazzo straniero che girava per il quartiere nudo, avvolto solo da una coperta e che inizialmente era così spaventato che mangiava nascosto nei cassonetti ed evitava chiunque cercasse di avvicinarsi. Non dovrebbe essere compito dei cittadini o delle associazioni di volontari occuparsi di queste situazioni, dice Longo: «Altrimenti perché pagheremmo le tasse?».

Longo dice che il quartiere non è rappresentato dai comitati vicini alla destra radicale, che parlano di «invasione» e della minaccia rappresentata dagli esercizi commerciali gestiti da stranieri. «Ci sono persone che non vogliono fare nulla per risolvere i problemi, anzi: li vogliono esasperare per farci sopra speculazioni politiche».

La maggioranza del quartiere, almeno quella italiana, la pensa come lui, sostiene. La sua farmacia ha un’insegna scritta in italiano, cinese ed arabo. Alle ultime elezioni ha votato Virginia Raggi, sperando nella sua promessa di cambiamento, ma ora apprezza molto il lavoro fatto dal primo municipio, guidato dal Pd.

«Perché a queste persone a cui diamo il reddito di cittadinanza non facciamo pulire le strade?», si domanda.

Una proposta che circola da tempo e che di recente ha fatto sua anche Carlo Calenda, l’ex ministro che si è candidato da indipendente a sindaco di Roma.

Ma il problema di queste proposte è che molti dei percettori del reddito di cittadinanza hanno già un lavoro oppure non sono in grado di lavorare. Dipendenze, disabilità o familiari disabili a carico sono tra i principali fattori che spingono le persone in povertà.

Nemmeno gli sgomberi, però, sono la soluzione. I senzatetto sono stati semplicemente spostati qualche strada più in là, in via principe Eugenio. «La repressione ha questo limite, dura un po’ e poi si torna indietro», dice quasi rassegnato. Alla domanda se il quartiere dove vuole vivere è un quartiere pulito, ma i cui problemi sono stati allontanati nell’isolato vicino, risponde che no, non è quello il posto dove vorrebbe vivere.

Decoro e degrado

La situazione politica a Roma è cambiata da quando nel 2007 il segretario del Pd ed ex sindaco di Roma Walter Veltroni faceva la sua controversa dichiarazione sulle responsabilità dei cittadini rumeni per la criminalità in città. O da quando nel 2009, Gianni Alemanno vinceva una campagna elettorale in gran parte giocata sulle violenze sessuali perpetrate da stranieri.

La criminalità, comune o organizzata, e la sicurezza dei cittadini che hanno dominato le ultime campagne elettorali in città oggi sembrano scomparse dall'agenda politica. Secondo un sondaggio realizzato lo scorso maggio, i romani mettono la sicurezza all’ultimo posto tra le loro priorità più urgenti. I candidati sindaci che si affrontano in vista delle elezioni comunali del 3 e 4 ottobre preferiscono parlare di sporcizia, di degrado e, soprattutto, di “decoro”.

Mentre la sindaca Virginia Raggi posta sui social fotografie di vie rifatte e marciapiedi rinnovati, i suoi rivali pubblicano immagini di cassonetti pieni, strade buie e bivacchi di senzatetto.

«Il discorso sulla sicurezza è diventato più politically correct rispetto a qualche anno fa – dice Vincenzo Carbone, docente di sociologia all’università di Roma Tre – Ma non sono cambiati i processi securitari che mette in moto».

Lo sgombero dell’Esquilino, spiega, è un caso da manuale di come a un problema di esclusione sociale e disagio sia stata data una risposta soltanto in termini di sicurezza e di forza di polizia.

Carbone conosce bene l’Esquilino, dove lavora da anni e dove ha sede uno dei dipartimenti della facoltà di sociologia della sua università. A ottobre, ha curato una monografia di studi interamente dedicata al quartiere e ha passato mesi a intervistare i senzatetto e gli altri frequentatori della piazza.

Tra loro c’erano persone come Svetlana, una cittadina ucraina che lavorava come badante a tempo pieno. Con l’arrivo del Covid, Svetlana è stata licenziata e all’improvviso si è trovata senza una casa dove dormire. Per due notti è stata una dei senzatetto di Piazza Vittorio.

«L’Esquilino è un quartiere ricco, abitato prevalentemente da funzionari, pensionati, giornalisti e intellettuali – dice Carbone – Questa élite produce una visione del quartiere in cui non c’è spazio per una badante rumena senzatetto. L’élite vorrebbe vivere tra negozi della Galleria Alberto Sordi, non tra le strade sporche, in mezzo ai negozi cinesi e ai ristoranti etnici».

Carbone la definisce una «violenza simbolica percepita» che non necessariamente corrisponde a un aumento della violenza reale. Il numero di reati a Roma è in calo da anni e per abitante è inferiore a quello di Milano e Napoli. Roma è considerata una delle capitali più sicure d’Europa e l’Esquilino non è un rione particolarmente pericoloso rispetto agli altri.

Non voler vivere nella sporcizia e chiedere che lo stato si occupi delle persone in difficoltà senza abbandonarle per strada sono richieste legittime da parte di qualsiasi cittadino, ma, si chiede Carbone, quali rischi si corrono a occuparsi di questa problemi senza occuparsi delle loro cause: «Come si possa parlare dell’Esquilino senza parlare del resto di Roma? Come si può parlare di senzatetto senza citare i requisiti del reddito di cittadinanza che escludono la gran parte degli stranieri più fragili? Non affrontare questi nodi, significa soltanto spostare il problema nella strada accanto».

Un concetto problematico

L’accusa di Carbone è la stessa che una parte della sinistra lancia da anni. Parlare di “ripristinare il decoro” è diventato un modo di occuparsi di una serie di problemi della nostra società senza risolverli alla radice, ma semplicemente eliminando alcuni sintomi molto visibili.

«Il decoro urbano come categoria presenta dei rischi, sia sul tema dei diritti che su quelli dell’inclusione sociale, è un problema spesso citato nella letteratura sulle grandi città», dice Giuseppe Ricotta, anche lui sociologo, ma all’università La Sapienza e specializzato nei temi della percezione della sicurezza. «I rischi sono la criminalizzazione di fenomeni non criminali: colpire con ordinanze e azioni repressive le persone ultravisibili in quanto marginali, ma invisibili per i diritti e per i servizi».

Decoro e sicurezza sono un tema centrale nella politica locale almeno dagli anni Novanta, quando, spiega Ricotta, il centrosinistra ha cercato di sviluppare un discorso pragmatico sulla sicurezza urbana. A partire dai sindaci dell’Emilia-Romagna dell’allora Pds, si è diffusa l’idea che la sicurezza fosse un tema “né di destra né di sinistra” e che all’insicurezza percepita dei cittadini bisognasse dare in ogni caso una risposta. Anche perché, era la giustificazione non infondata, della mancanza di sicurezza soffrivano proprio i più deboli, gli emarginati e le donne.

La situazione, però, negli ultimi anni sembra essere andata fuori controllo. Con parole come degrado e decoro ormai si mettono insieme fenomeni diversissimi, che hanno cause e soluzioni differenti. Dalla movida notturna al problema dei senzatetto, dalla microcriminalità alla sporcizia nelle strade.

Nel centrosinistra, la consapevolezza di questa situazione sta iniziando a farsi strada. «Non amo mettere il decoro insieme ai senzatetto», dice Sabrina Alfonsi, presidente del primo municipio di cui fa parte l’Esquilino. Alfonsi è un esponente del Pd, il partito che controlla da decenni il centro di Roma e che ha un suo feudo storico proprio all’Esquilino. «Cassonetti vecchissimi, giardini incolti, cartoni dei negozi messi fuori. Questo è il decoro». Alfonsi ammette però che come presidente di Municipio le sue competenze e le sue risorse sono limitate. Quando i cittadini si lamentano, soprattutto quando le lamentele provengono non dagli estremisti, ma da elettori, presenti o passati, del partito, la politica deve agire. Ma non è molto quello che può fare.

A gennaio, la pubblicazione della diffida degli abitanti di piazza Vittorio ha portato a una riunione sulla sicurezza in prefettura, alla creazione di una commissione speciale al Municipio e poi l’intervento dell’11 gennaio. Dei senzatetto fermati, due hanno accettato l’aiuto della sala operativa sociale del comune. Tanto di loro quanto degli altri sei si sono presto perse le tracce.

Il bivacco

Non sono problemi solo di Roma, ma nella capitale sono magnificati e particolarmente visibili. Il centro città invecchia e si spopola. Le persone sono sempre più sole e quindi spaventate. L’arrivo di persone diverse, spesso in condizioni economiche o sociali difficili, aumenta la tensione.

Ma una politica senza soldi e spesso senza energie politiche da spendere, alla domanda di intervento interviene soltanto con l’azione repressiva. E in questo terreno la destra è molto più abile della sinistra e quando questi temi hanno incendiato il dibattito, è stata la destra a catalizzare il consenso. Come nel resto di Roma, anche all’Esquilino le forze politiche si preparano alla campagna elettorale. Ma chi avrà la meglio questa volta non è scontato. Lo scorso 8 luglio, alcuni comitati di quartiere vicini al centrodestra hanno convocato una manifestazione contro il degrado e a sostegno delle forze dell’ordine.

La loro idea di città era chiara. Alexia, una dell’organizzatrici, ha gridato in un megafono che la situazione dell’Esquilino era divenuta insostenibile a causa di un comune concentrato sulle periferie e che si è dimenticato del centro. Insime a lei c’erano diversi consiglieri comunali di Forza Italia e Fratelli d’Italia, o aspiranti tali. CasaPound si è tenuta lontana e così i comitati di quartiere più estremisti. Quella mattina, Longo, il farmacista di piazza Vittorio, li prendeva in giro e pronosticava che sarebbero stati «quattro gatti». Alla fine, non più di 150 persone hanno sfilato. Nel frattempo, sotto i portici di piazza Vittorio, un senzatetto è tornato a dormire. Questa volta non di fronte alle saracinesche e davanti ai passanti, ma sulla strada, nascosto tra un pilastro e un cassonetto stracolmo.

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