Il giorno dopo non è tornata la pace nel Movimento 5 stelle: per la riforma della prescrizione ci sono due fronti contrapposti. Da un lato la posizione ufficiale sostenuta dai ministri, dall’altra quella dell’ex ministro Alfonso Bonafede e del leader in pectore Giuseppe Conte.

La nota M5s

Con una nota pubblicata su Facebook nel primo pomeriggio, il Movimento si dice soddisfatto per aver salvato la riforma della prescrizione: «La riforma della prescrizione è stata sotto attacco di tutte le forze politiche a partire dal minuto seguente alla sua approvazione. Un martellamento incessante, continuo, giornaliero, che a detta di molti ha portato alla caduta dei due governi presieduti da Giuseppe Conte.

Ciò che è avvenuto dopo è noto a tutti: l’appello del presidente della Repubblica, la nomina di Mario Draghi a capo dell’esecutivo e una maggioranza ampia e composita. Per tutti i partiti il bersaglio non è mai cambiato, è stato sempre la prescrizione e da mesi si sfregavano le mani al pensiero di abbattere quella che ancora oggi è per il MoVimento 5 Stelle una battaglia di civiltà».

Annunciano anche battaglia in Parlamento, dicendo che andranno contro «a ogni “trucchetto” che può essere messo in atto per allungare i tempi di un processo si interrompono i termini». Poi concludono: «Se non ci fossimo stati noi, l’esito sarebbe stato molto diverso. Ma attenzione: questo testo dovrà andare in Parlamento. E ci proveranno, state sicuri, tutti, a smantellare le conquiste che abbiamo ottenuto. Dobbiamo farci trovare pronti, ancora una volta a difendere col coltello fra i denti quanto conquistato. E non sarà facile, siatene certi».

Le parole di Conte

Questa mattina l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte è intervenuto sulla riforma della giustizia. «Apprezzo il lavoro svolto dalla ministra Cartabia, però non canterei vittoria. Oggi non sono sorridente per quanto riguarda la prescrizione, perché siamo ritornati a quella che era una anomalia italiana e anche nel futuro risulterà come una anomalia», ha detto Conte. «Se un processo svanisce nel nulla per una durata così breve e predeterminata, evidentemente, non può essere una vittoria dello stato di diritto».

Il post di Bonafede

Prima delle parole di Conte, è arrivato un post dell’ex ministro Alfonso Bonafede per chiarire «seriamente e serenamente un punto importante»: «Il M5s è stato drammaticamente uguale alle altre forze politiche nonostante fosse trapelata la volontà di un’astensione». Adesso, ha proseguito «qualcuno approfitta della riforma del processo penale passata ieri in consiglio dei ministri, con il timoroso e ossequioso benestare dei ministri M5s (che non hanno avuto nemmeno il tempo e la possibilità di analizzare la proposta), per attaccare me e le battaglie che ho portato avanti (e che rifarei domattina, a testa alta, senza battere ciglio)».

L’ex guardasigilli tiene a precisare che «ho sinceramente apprezzato i tentativi della Ministra Cartabia di trovare una sintesi oggettivamente difficile: tuttavia, è evidente (e legittimo) che sulla prescrizione la pensiamo in maniera diversa». 

«Voglio ribadire che la battaglia sulla prescrizione, mia e (fino a ieri mattina) di tutto il M5s, non è (e non è mai stata) una questione personale», continua Bonafede. «Si tratta di una questione, anzi di un’ambizione, istituzionale. L’ambizione di realizzare un sistema giustizia capace di dare sempre una risposta ai cittadini che si rivolgono allo Stato per tutelare i propri diritti».

Poi conclude: «Per ripartire, se si vuole veramente ripartire, bisogna avere la consapevolezza dei propri limiti: nell’unanimità improvvisata di ieri che ha visto tutti insieme a tutti, si è inevitabilmente e oggettivamente annacquata una battaglia durata dieci anni».

La mancata astensione del M5s

Bonafede è deluso dalla posizione del Movimento. La decisione dei direttivi della Camera e del Senato era quella di un’astensione dal voto sulla riforma Cartabia al consiglio dei ministri delle 17. Una posizione fatta propria anche dal ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli, capodelegazione dei 5 stelle nell’esecutivo. Poi però – come riporta Il Fatto Quotidiano – una telefonata di Beppe Grillo, sollecitato dallo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi, avrebbe fatto cambiare posizione ai tre ministri, Patuanelli, Fedetrico D’Incà e Luigi Di Maio, che hanno optato per il voto a favore. 

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