Anche oggi non se ne farà nulla. Il vertice del centrodestra che dovrebbe chiudere la discussione sui candidati alle prossime elezioni comunali si svolgerà domani. O meglio dovrebbe svolgersi domani visto che la coalizione formata da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia è diventata il grande interrogativo della politica italiana. I sondaggi, per quello che valgono, la indicano come l’unica in grado di poter puntare a governare il paese. La realtà, che vale un po’ di più delle rilevazioni in quanto ad attendibilità, la descrive invece incapace persino di scegliere il nome di un candidato sindaco. Figurarsi quello del futuro presidente del Consiglio.

Roma e Milano

«Alla fine ci rivolgeremo a Maria De Filippi». La battuta, pronunciata da un parlamentare di Forza Italia, descrive bene la situazione. Perché la scelta dei possibili candidati a Roma e Milano è ormai diventata un talent show: «Dobbiamo fare una competizione, come Amici».

A Roma si sarebbe arrivati a una sfida a due tra il magistrato Simonetta Matone e l’avvocato Enrico Michetti. Il secondo è stato descritto da Giorgia Meloni come il «Mr Wolf» che «risolve i problemi dei sindaci». Ma non piace troppo agli alleati. La leader di FdI non sembra così determinata nel difenderlo, anche perché secondo chi la conosce il suo obiettivo sarebbe indicare un proprio candidato per le regionali del Lazio che si svolgeranno nel 2023. Quindi a Roma possono anche farsi avanti gli alleati. Che però tentennano.

A Milano la situazione sarebbe addirittura peggiore visto che al di là del totonomi (il manager di Mediolanum Oscar di Montigny, la presidente di Federfarma Lombardia Annarosa Racca, l’ex deputato Fabio Minoli Rota, l’ex ad di Telecom Riccardo Ruggiero, solo per citare alcuni dei papabili), non si riesce nemmeno a fare una selezione tanti sono i veti incrociati.

I confederati

Lo stallo sulle amministrative è l’esito evidente di altri problemi. Su tutti la sfida continua tra Matteo Salvini e Meloni. Non a caso ieri, tre giorni dopo che la leader di FdI si era recata a palazzo Chigi, anche quello della Lega ha incontrato il premier Mario Draghi.

Vista dalla presidenza del Consiglio non c’è nulla di eccezionale. L’esecutivo, in fondo, è nato con l’obiettivo dichiarato di non escludere nessuno, anche chi ha deciso di restare all’opposizione.

Vista dall’interno della coalizione di centrodestra è invece un chiaro segnale del nervosismo con cui Salvini vive qualsiasi mossa della sua diretta avversaria.

Nasce anche da qui, e dal tentativo di recuperare un ruolo nel dibattito pubblico, l’idea di costruire una federazione tra Lega e Forza Italia che in Europa guarda più al Ppe che ai sovranisti e che in Italia si riconosce nella leadership di Draghi. Come potrebbe dettagliarsi la proposta non è chiarissimo. Alla fine la cosa più semplice sarebbe quella di limitarsi a un’unione dei gruppi parlamentari. Silvio Berlusconi, che in un primo momento sembrava aver aderito entusiasta spingendosi fino a ipotizzare un nuovo partito unico, ha poi parzialmente frenato.

Qui la questione riguarda più FI che Meloni. Fratelli d’Italia, infatti, non ha alcuna intenzione di entrare in federazioni o partiti unici. Men che meno se il ruolo del “federatore” viene affidato a Salvini. Ma è dentro Forza Italia che il progetto non piace.

O meglio secondo l’ala “governista” rappresentata da Mara Carfagna e Mariastella Gelmini è solo un modo per Antonio Tajani e Licia Ronzulli, oggi particolarmente vicini a Berlusconi, per garantirsi una candidatura alle prossime elezioni.

Le due ministre, al contrario, pensano che il futuro del partito sia quello di allontanarsi dal sovranismo leghista e puntare sugli elettori moderati. Non è dato sapere se in questa strategia rientri anche la conquista degli ex grillini visto che ieri, a Roma, Forza Italia ha accolto con entusiasmo l’adesione di Marcello De Vito, ex astro nascente del M5s romano, presidente dell’Assemblea capitolina a processo per corruzione.

Altri ex grillini sono invece approdati nei giorni scorsi in Coraggio Italia, la neonata formazione creata dal presidente della Liguria Giovanni Toti e dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che non a caso commenta: «Noi continuiamo sulla nostra strada perché crediamo che ci sia un grande elettorato di centro che in questo momento non è rappresentato».

Che ne sarà di noi

Non è dato sapere se alla fine Gelmini, Carfagna, Toti e Brugnaro si ritroveranno tutti insieme dalla stessa parte. E non è chiaro se, insieme a loro, ci saranno anche Matteo Renzi e Carlo Calenda. Il primo nell’ultimo weekend di maggio era a Venezia per visitare il Salone nautico e ha avuto una lunga chiacchierata con il primo cittadino. Il secondo, intervistato da Repubblica, ha lanciato l’idea di «un fronte repubblicano» contro i populisti citando esplicitamente Carfagna tra chi ne dovrebbe far parte. Brugnaro ha incontrato anche un altro ex premier, Giuseppe Conte, ma qui la strada di una possibile intesa appare più complicata. Intanto Salvini assicura che il vertice del centrodestra sulle comunali si terrà «entro la settimana».

Nel frattempo continua a rilanciare l’idea della federazione. Da palazzo Chigi non intervengono nelle questioni interne ai partiti ma guardano con attenzione a tutto ciò che può destabilizzare la maggioranza.

Il centrodestra, al momento, è sicuramente molto “destabilizzato” ma su una cosa sembra stranamente compatto: l’ammirazione e le lodi nei confronti del premier Draghi (anche Meloni si è detta soddisfatta dell’incontro). Qualcosa vorrà pur dire.

 

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