Il ministero della Giustizia ha ignorato per mesi le violenze commesse il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e quando ha informato il parlamento su quello che era accaduto durante il pestaggio, ha fornito una versione dei fatti parziale e lacunosa.

L’allora ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, sostiene che all’epoca ha agito «immediatamente» e i suoi difensori sostengono che non era possibile intervenire in maniera più incisiva a causa di limiti legali all’azione del ministero.

In realtà il ministero della Giustizia ha atteso mesi prima di inviare e poi reiterare le richieste di informazioni che avrebbero permesso di aprire procedure disciplinari interne e consentite dalla legge, come hanno confermato a Domani diverse fonti. Bonafede si è invece trincerato dietro il rispetto formale della prassi e delle consuetudini per evitare di agire in modo più diretto.

Il 6 aprile

Le violenze e i pestaggi al centro della vicenda avvengono durante una perquisizione in uno dei settori del carcere Francesco Uccella. Si tratta di un’operazione massiccia che viene decisa come misura punitiva in seguito ad una protesta del giorno precedente da parte di alcuni detenuti, inferociti a causa della sospensione delle visite familiari per il Covid e spaventati per il ricovero di un detenuto contagiato dal virus. Quel giorno, per circa quattro ore, 300 agenti provenienti in buona parte da altre strutture perquisiscono le celle, picchiano con pugni e manganelli i detenuti e li sottopongono ad umiliazioni e torture. Il Gip che segue le indagini definisce l’episodio «un’orribile mattanza». Le indagini iniziano in fretta. Già nei giorni successivi, carcerati, familiari e garanti dei detenuti denunciano l’accaduto alla magistratura e tra l’11 e 12 aprile i giudici di Santa Maria Capua Vetere sequestrano i filmati di sorveglianza del carcere.

Insomma, a meno di una settimana dai fatti era già chiaro che era accaduto qualcosa di sufficientemente grave da spingere la magistratura a indagare. Il ministero, però, ufficialmente non intraprende alcuna azione.

Un’azione “immediata”

Trascorre oltre un mese e il 12 giugno la procura consegna gli avvisi di garanzia a 57 agenti di polizia penitenziaria e dirigenti del carcere. La consegna avviene fuori dall’ingresso del carcere, di fronte ai passanti e ad alcuni parenti di detenuti. Gli agenti protestano e accusano la procura di averli umiliati. Alcuni salgono sul tetto della caserma per protesta e ci vuole l’intervento di un magistrato della procura per calmarli e farli scendere. Nonostante il caos che sembra pronto a esplodere in città, ufficialmente il ministero non si è ancora interessato agli avvenimenti.

Soltanto il 3 luglio, il provveditore alle carceri della Campania invia formalmente al ministero l’elenco degli indagati tra gli agenti del carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Trascorrono cinque giorni e finalmente il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (Dap) intraprende la sua prima azione sul caso di cui abbiamo conoscenza. L’8 luglio invia una richiesta alla direzione del carcere di acquisire dalla procura una copia degli avvisi di garanzia ricevuti dagli agenti. Da allora, il ministero sembra dimenticarsi della vicenda, almeno in via ufficiale, fino a che la stampa non farà esplodere il caso.

Sei mesi di attese

Nel sistema carcerario italiano è prassi chiedere un nulla osta alla magistratura per iniziare inchieste interne per casi su cui sono in corso indagini penali. Secondo l’allora sottosegretario alla Giustizia, Vittorio Ferraresi, la richiesta dell’8 luglio era anche una richiesta di questo tipo. Per questo, Bonafede sostiene di aver agito «immediatamente» (anche se in realtà la richiesta arriva tre mesi dopo le violenze).

La richiesta però non riceve risposta, e il ministero rimane in attesa senza sollecitarla e senza avviare formalmente indagini interne per altri tre mesi. Poi, il 28 settembre, Domani pubblica il primo articolo in cui viene raccontato il pestaggio dei detenuti.

Lo stesso giorno, il Dap decide finalmente di inviare una seconda richiesta, questa volta direttamente alla procura di Santa Maria Capua Vetere e senza passare dal direttore del carcere.

In quei giorni, Domani e altri giornali interpellano più volte il ministero per ottenere chiarimenti, ma non ricevono nessuna risposta ufficiale. Anche una prima interrogazione parlamentare rimane senza risposta.

«Ripristinare la legalità»

Soltanto il 16 ottobre, in seguito a un’interpellanza urgente che ha come primo firmatario Riccardo Magi, Ferraresi riferisce al parlamento una prima versione dei fatti, che costituisce ancora oggi la più dettagliata, e sostanzialmente unica, ricostruzione della perquisizione e del suo contesto da parte del ministero.

Quello di Ferraresi è un intervento controverso. Nonostante il ministero sostenga di non aver svolto indagini sull’accaduto a causa del mancato nulla osta della procura, il sottosegretario fornisce un resoconto piuttosto dettagliato dell’accaduto, ottenuto, ha detto a Domani, non tramite indagine interna, ma attraverso una semplice raccolta di informazioni presso il Dap.

Nell’intervento, la protesta del 5 aprile viene descritta con precisione e con un tono molto critico nei confronti dei detenuti. Il resoconto, però, omette un fatto importante. Quel giorno, il carcere viene visitato dal magistrato di sorveglianza, che trova una situazione tesa, ma non di aperta rivolta. Riesce a calmare i detenuti e la protesta rientra.

Il sottosegretario descrive poi la decisione di avviare la perquisizione degenerata in violenza come «una doverosa azione di ripristino di legalità e agibilità dell’intero reparto», senza però specificare la necessità di un’azione di questo tipo dopo che la protesta era ormai rientrata. Ferraresi aggiunge: «Nelle operazioni taluni detenuti hanno opposto resistenza», una frase che oggi appare involontariamente (e tragicamente) ironica alla luce dei filmati della perquisizione pubblicati da Domani.

Quella riferita in parlamento, in sostanza, è la versione dei fatti di dirigenti e agenti del carcere. Una versione messa seriamente in dubbio dalle indagini della magistratura, dalle testimonianze dei detenuti e dai video delle violenze.

La difesa

Dopo la pubblicazione dei filmati, che mostrano gruppi di agenti accanirsi contro detenuti che non rappresentano un pericolo, picchiare un disabile in sedia a rotelle, colpire con calci e manganelli persone già cadute a terra, il ministero della Giustizia, oggi guidato da Marta Cartabia, ha sospeso gli agenti coinvolti, dopo aver nuovamente richiesto e ottenuto un nulla osta dalla procura di Santa Maria Capua Vetere.

Il rapido evolversi degli eventi ha costretto l’ex ministro Bonafede ad esprimersi per la prima volta in via ufficiale sui fatti di Santa Maria Capua Vetere. In una nota diffusa ieri mattina dalle agenzie, Bonafede accusa i quotidiani di aver pubblicato «titoli e ricostruzioni totalmente falsi» e afferma che «il ministero si è mosso immediatamente nel pieno rispetto delle prerogative e dell’indipendenza dell’autorità giudiziaria che ha portato avanti le indagini per accertare i fatti». Una rapidità di azione che sarebbe «già evidente e provata».

In realtà il ministero ha agito lentamente, non ha svolto indagini approfondite, ha riferito una versione dei fatti parziale e non ha emesso provvedimenti disciplinari, che pure la legge gli consentiva di comminare, finché non è intervenuta la magistratura e finché i filmati delle violenze non sono stati pubblicati. Domani ha provato a contattare il ministro Bonafede per chiedergli quali fossero i titoli di giornale «falsi» e «fuorvianti» e per domandargli conto delle sue altre affermazioni. Per il momento non abbiamo ottenuto risposta.

 

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