Dopo Palermo Totò Cuffaro prova a mettere le mani su Catania chiamata ad eleggere il nuovo sindaco il prossimo maggio e scommette su un cavallo di ritorno, l’ex sindaco eterno del centrosinistra Enzo Bianco. Il leader della Dc Nuova, ex governatore siciliano già condannato a una pena severa per favoreggiamento alla mafia, fa contare la sua forza elettorale, ancora maggiore dopo che il tribunale, pochi giorni fa, ha dichiarato estinta l’interdizione dai pubblici uffici.

“Totò vasa vasa” non si candida più, preferisce il ruolo del regista, del king maker. Alle ultime amministrative palermitane è stato tra i primi, insieme a Marcello Dell’Utri condannato per concorso esterno a Cosa nostra, a sostenere Roberto Lagalla, eletto poi sindaco. E a Palermo ha piazzato due assessori e tre consiglieri comunali.

Il nuovo obiettivo

Ora l’obiettivo è Catania. «Siamo pronti a ragionare su candidature di personalità prestigiose che in passato hanno svolto questo ruolo», ha detto Cuffaro parlando delle elezioni catanesi. Il riferimento, chiarissimo, è a Bianco, uomo simbolo del centrosinistra catanese e non solo che ha ratificato l’atto fondativo del Pd come presidente dell’assemblea nazionale del partito.

Bianco, 72 anni, è pronto a scendere in campo «con un progetto largo di stampo civico». Per lui sarebbe la quinta volta alla guida del capoluogo etneo. E ha accolto l’assist di Cuffaro con parole al miele nei confronti dell’ex presidente della Regione: «Ho stima e rispetto per Totò Cuffaro anche e non solo per come ha vissuto la sua drammatica e triste vicenda personale. Ha maturato una dignità straordinaria. Se la Dc appoggiasse una delle mie liste non ci vedrei nulla di male».

Bianco dialoga con tutte le forze politiche.

Uomo di partito e mai di rottura, preferisce la mediazione al conflitto. Doti che lo hanno portato fino al Viminale dove nel 1999 ha ricoperto il ruolo di ministro dell’Interno nel governo D’Alema prima e in quello Amato poi. Nella sua carriera colleziona incarchi su incarichi. Da sempre flirta col potere, come dimostrano gli ottimi rapporti con Antonello Montante, l’ex vicepresidente di Confindustria faro di un’antimafia fasulla, condannato in primo e secondo grado per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.

Bianco non ha mai nascosto il suo rapporto col potentissimo editore Mario Ciancio Sanfilippo, monopolista dell’informazione a Catania e grande proprietario terriero imputato per concorso esterno a Cosa nostra. Mentre con la parte più progressista della sinistra catanese i rapporti sono freddi. Tant’è che Pd, M5S, Sinistra italiana, Europa verde e Arci, insieme al forum civico “Catania può”, hanno dato vita ad una serie di tavoli tematici sulle fragilità della città a cui Bianco non partecipa.

Narrazione mediatica

Della politica catanese Bianco è stato indiscusso protagonista. Il suo percorso alla guida del municipio inizia nel 1988 e termina, con alcune interruzioni, nel 2018, quando l’ennesimo tentativo di conquista di palazzo degli Elefanti, simbolo della città, l’ha visto sconfitto.

I catanesi hanno eletto il meloniano Salvo Pogliese, ora parlamentare, che si è poi dimesso nel luglio scorso dopo essere stato sospeso dal suo incarico nel 2020, in seguito alla condanna per peculato nel processo sulle spese pazze del parlamento regionale.

Catania, senza guida da due anni, vive la sua ora più buia. La città è in dissesto finanziario, un buco che ha attraversato le ultime tre amministrazioni, compresa quella di Bianco, condannato dalla Corte dei Conti insieme alla sua giunta. Si trova in testa a tutte le peggiori classifiche. È ai primi posti per le percentuali di criminalità e per la dispersione scolastica che supera il 20 per cento, i servizi sociali sono al collasso. In questa cornice decadente, Bianco voleva ufficializzare la sua candidatura in occasione dei festeggiamenti per la patrona Sant’Agata, poi ha preferito rinviare, secondo alcuni per la freddezza con cui è stato accolto durante il corteo col carro della santa.

A sostenerlo è la macchina mediatica. Il quotidiano cittadino di Ciancio, La Sicilia, il 10 febbraio, dopo i festeggiamenti per la patrona, ha pubblicato un pezzo dal titolo ammiccante: «Bianco, il sondaggio che può convincerlo a ritornare in campo».

Secondo il sondaggio, commissionato dall’associazione “Catania nel cuore”, presieduta da un suo uomo, Mario Crocitti, l’ex primo cittadino vincerebbe al primo turno col 38 per cento ma anche in caso di ballottaggio contro ogni ipotetico avversario: dall’ex assessore regionale alla Salute Ruggero Razza in quota Fdi, passando dalla leghista Valeria Sudano fino al grillino Giancarlo Cancelleri.

Progetto civico

«Questo sondaggio coltiva la narrazione secondo cui non è Bianco a volersi candidare ma è la città a chiederglielo, come fosse il salvatore della patria», spiega Matteo Iannitti, giornalista dei Siciliani giovani, testata online erede dei Siciliani di Pippo Fava, il giornalista ammazzato da Cosa nostra nel 1984.

Bianco propone un progetto civico: «Non farò un’alleanza politica tradizionale di centrosinistra o di centrodestra, non sarò il candidato del Pd. Farò una o due liste civiche e sarò felice se il Pd o altre forze politiche mi sosterranno. Carlo Calenda mi ha già detto che sosterrà il mio progetto». Luogotenente di Calenda a Catania è Giuseppe Castiglione, ras delle preferenze in Sicilia orientale, sotto processo per turbativa d’asta, falso e corruzione per la gestione del Cara di Mineo.

Bianco cerca di far valere la sua immagine storica di eroe della primavera catanese.

Ennese di nascita, vive a Catania dall’età di nove anni. Inizia il suo impegno politico nelle file del Partito repubblicano. Nel 1988 viene eletto sindaco di Catania dal consiglio comunale. Deputato nel 1992, nel 1993 sull’onda delle stragi di mafia e della tangentopoli catanese che decapita gran parte della Dc etnea, Bianco, sostenuto dal movimento “Città insieme”, vince la prima elezione diretta del sindaco. Nel 1998 viene confermato alla guida della città.

Sulla scia di una stagione di rinnovamento politico e sociale il nome di Bianco, insieme a quelli degli altri due sindaci Leoluca Orlando a Palermo e Antonio Bassolino a Napoli, fa il giro del mondo e nel 1999 ottiene la nomina a ministro dell’Interno e si dimette da sindaco.

La mossa è vissuta dai catanesi come un tradimento. Bianco lascia Catania nel momento in cui si sarebbe dovuto approvare il Piano regolatore generale che avrebbe costituito una grande occasione di rilancio e che non sarà mai approvato. L’ultimo risale al 1964. Le forze imprenditoriali catanesi delle speculazioni si oppongono all’approvazione dello schema di massima. Bianco preferisce non affrontarle.

Ad essere approvato, invece, nel 2002 con la giunta di destra guidata da Umberto Scapagnini, è il Piano urbanistico attuativo (Pua). Vicesindaco è Raffaele Lombardo, futuro presidente della regione condannato in primo grado e poi assolto in appello per concorso esterno in associazione mafiosa.

Un ricordo sbiadito

Con Mario Ciancio Sanfilippo i rapporti restano cordiali anche l’indagine per mafia che ha portato l’editore catanese a processo. Nel 2013 - quando l’editore è indagato già da tre anni - viene approvata la variante Catania Sud del Pua. Un affare da 300 milioni.

Il 30 per cento dei terreni interessati appartiene a Ciancio. Bianco, pronto ad inaugurare la campagna elettorale che lo porterà per la quarta volta a palazzo degli Elefanti - nella sua giunta nominerà quattro fedelissimi di Lombardo, in quel momento imputato per mafia - dopo l’approvazione chiama l’editore spiegando che tutto è andato come le previsioni, «esattamente come ti avevo detto». Davanti alla commissione parlamentare antimafia Bianco si giustificherà: «Non sapevo fosse indagato».

Nel 2012 è coinvolto nello scandalo dei finanziamenti pubblici della Margherita dal tesoriere Luigi Lusi che sostiene di aver versato a Bianco una somma mensile di tremila euro, poi passata a 5.500 euro, in qualità di presidente dell’assemblea della Margherita. Bianco nega, poi ammette di aver ricevuto quel denaro dicendo di averlo usato per fare politica.

Cinque anni dopo la sconfitta del 2018 Bianco ci riprova. «A Catania c’è fermento a sinistra. Si sta cercando di creare con difficoltà un movimento importante e Bianco, invece di collegarsi a questo processo, pensa ad alleanze con altri? Questo trasformismo è preoccupante», tuona Adriana Laudani, volto storico della sinistra catanese, per anni al fianco di Pio La Torre. Paolo Maniscalco, ex assessore con Bianco, rincara la dose: «A Catania questa sua ennesima candidatura non è molto gradita. È stato protagonista di una stagione di rinnovamento ma poi ha tradito la città, ha pensato solo alla sua carriera».

L’arcivescovo di Catania Luigi Renna in queste settimane ha sottolineato «il fallimento della politica catanese. Non servono uomini della provvidenza ma catanesi competenti, liberi e non eterodiretti che diano un taglio con il passato e non abbiano carichi sospesi con la giustizia». Bianco è sotto processo nell’ambito dell’inchiesta “Università bandita”, relativa ad una serie di concorsi e assegnazioni di cattedre che, secondo la procura della Repubblica etnea, sarebbero stati truccati. La stagione della primavera catanese è uno sbiadito ricordo.

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