Dopo oltre nove anni il contenzioso tra Italia e India sul caso dei due marò è definitivamente chiuso, lasciando aperti molti interrogativi. La Corte suprema indiana ha infatti cancellato ogni procedimento legale a carico di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due militari accusati di avere sparato uccidendo due inermi pescatori indiani, scambiati per pirati, nel golfo dello stato indiano del Kerala nel 2012. La decisione è arrivata dopo che l’Italia ha versato alle famiglie dei due pescatori, Ajeesh Pink e Valentine Jelastine, un risarcimento da circa 1,1 milioni di euro. La storia è stata sbloccata nel luglio scorso quando si è espresso il Tribunale internazionale dei mari dell’Aja, dando all’Italia il diritto esclusivo di processare i suoi militari, e chiedendo però a Roma di risarcire le famiglie e il proprietario dei pescherecci. I due militari saranno ora sentiti dai pm di Roma che già nel 2012 avevano aperto un procedimento per omicidio volontario. Ma a questo punto appare difficilmente ipotizzabile non solo la condanna ma lo stesso rinvio a giudizio dei due indagati.

Il caso è diventato negli anni anche una leggenda popolare. I marò finiscono tra le statuine del presepe napoletano a Natale 2013. La Cgil denuncia una loro foto con una scritta che invoca la loro liberazione affissa dalla direzione regionale dell’Inps a Firenze. Nel 2014 le due mogli dei marò partecipano al festival di Sanremo per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sorte dei rispettivi consorti.

Ma anche adesso la vicenda non sembra chiusa. Nonostante l’esultanza del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che parla di “un punto definitivo” alla vicenda, la soluzione non sta bene a tutti. Il legale del marò Latorre si è chiesto «che senso ha pagare gli indiani se i militari sono innocenti» e ha detto che ai due militari è stata negata l’autorizzazione a rilasciare dichiarazioni.

Cosa è successo quel giorno?

Quando il 17 febbraio 2012 iniziano ad arrivare le prime notizie dell’incidente parte subito la polemica sulla presenza stessa dei militari a bordo di una nave privata. I marò erano infatti schierati a difesa della petroliera Enrica Lexie, agli ordini di un comandante civile. La confusione è tale che la stessa Catherine Ashton, alta rappresentante per la politica estera europea, definisce in un primo momento i marò come “guardie private” per poi correggersi. L’idea era stata del governo Berlusconi IV (di cui era ministro della Difesa Ignazio La Russa) per proteggere le navi italiane dai frequenti attacchi dei pirati. L'approvazione era stata bipartisan. Inizialmente La Russa dice di “non avere nulla di cui pentirsi”, ma nel 2014 alla Stampa, di fronte alle accuse dell’allora ministra degli Esteri Emma Bonino, dice di avere provato a bloccare il decreto. La fine dei nuclei militari a protezione delle navi private verrà poi decisa dal governo Renzi nel 2015.

Quando si verifica l’incidente, l’India chiede tutte le navi in zona di entrare nel porto di Kochi. L’Enrica Lexie è l’unica a farlo. Non si è mai capito di chi sia stata davvero la decisione che di fatto ha consegnato i marò all’India. Giulio Terzi di Sant'Agata, ministro degli Esteri all'epoca dei fatti (governo Monti), parlando con Domani la definisce “il vero peccato”. Le autorità italiane daranno la colpa all’armatore. Terzi dice che «il ministero della Difesa non poteva non essere informato». Allora alla Difesa c'era l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, ex capo di stato maggiore della Difesa.

Un altro interrogativo è perché non si sia ricorsi prima all’arbitrato internazionale, iniziato solo nel 2015. Parlando a Domani, Emma Bonino ha detto che secondo la Difesa si sarebbe trattato di un procedimento troppo lungo e che, quando le pratiche stavano per essere avviate dal governo Letta, la caduta del governo (febbraio 2014) ha fermato tutto.

Quelli pagati ieri non sono i primi risarcimenti. Nel 2012 l’Italia consegna 25 mila euro a Freddy Bosco, proprietario del peschereccio indiano, e 150 mila euro alle famiglie dei due pescatori. Di Paola precisa che il pagamento non è una ammissione di colpa ma un atto di “solidarietà”. L’immancabile Codacons nel 2012 presenta un esposto per le “troppe spese” per i marò.

Restano molti dubbi su come siano andate davvero le cose. Innanzitutto, l’orario e il luogo. I militari sostengono di essere stati avvicinati verso le 16 a circa 30 miglia dalle coste del Kerala da un’imbarcazione che non ha rispettato i segnali luminosi e si è ritirata solo dopo diversi spari in aria. I pescatori sarebbero invece morti circa sei ore dopo a cinque miglia dalle coste indiane. La questione della distanza dalla costa è cruciale visto che secondo gli italiani l’episodio sarebbe avvenuto in acque internazionali, secondo gli indiani nelle acque territoriali. L’India ha negato l’autopsia dei cadaveri. Anche i colori dell’imbarcazione riferiti dai militari sarebbero diversi da quelli del peschereccio colpito.

I marò vengono trattenuti in India prima dal 20 febbraio al 21 dicembre 2012, quando viene loro concessa una licenza di due settimane per tornare in Italia per Natale. Fanno ritorno in India il 3 gennaio e poi, in occasione delle elezioni politiche del febbraio 2013, tornano in Italia per un mese a partire dal 22 febbraio. Il 13 marzo il ministro degli Esteri Terzi annuncia che i marò non torneranno in India.

Dura reazione dell’India che blocca l’ambasciatore italiano, definito dall’associazione ambasciatori “un ostaggio”. Alla fine, il 21 marzo i marò tornano in India. Terzi, in disaccordo con la decisione del governo Monti, si dimette, ed è un addio carico di veleno. In un’intervista al Tempo accuserà il premier Mario Monti e il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera di «avere rispedito senza garanzie i marò in India per convenienze economiche», cioè per non subire ripercussioni sugli interessi in India delle aziende italiane.

Strumentalizzazioni politiche

Per tornare definitivamente in Italia i due marò hanno aspettato altri due anni, anche a causa dei continui rinvii della giustizia indiana che portano l’Italia a ritirare l’ambasciatore il 18 febbraio 2014 (tornerà l’11 maggio). Il 1 settembre 2014 Latorre viene colpito da un ictus mentre si trova con la sua compagna nella camera messa a disposizione dall’ambasciata italiana a Nuova Delhi (dove i due marò lavorano). Il ministro della Difesa Roberta Pinotti vola subito in India e il governo di Nuova Dehli non si oppone al rientro del militare che torna in Italia il 14 settembre. Girone viene invece trattenuto come “garanzia” per il rientro di Latorre fino al 2016 quando, ad arbitrato ormai iniziato, il Tribunale arbitrale internazionale dell’Aja ordina all’India di far tornare a casa i marò fino al termine del procedimento. Girone atterra a Ciampino il 28 maggio 2016.

“Per la politica italiana siamo stati carne da macello”, ha dichiarato Paola Moschetti, moglie di Latorre, adesso che la Corte suprema indiana ha chiuso la vicenda. Già cinque giorni dopo l’incidente La Russa lancia una campagna per affiggere le foto dei marò sui palazzi delle istituzioni. Aderiscono diverse realtà guidate dal centrodestra, tra cui i comuni di Roma e Catania e le regioni Lombardia e Lazio. Il comune di Milano, guidato dal sindaco di centrosinistra Giuliano Pisapia, invece non espone attirandosi le critiche della destra. Il governo Monti finisce sotto attacco. Il segretario della Lega Roberto Maroni parla di figura da “peracottari”, anche Domenico Scilipoti arriva ad accusare il governo dei tecnici di incompetenza. Il presidente della Camera Gianfranco Fini finisce nel mirino dei supporter dei marò e viene fischiato al grido di “traditore” durante una manifestazione in loro favore mentre viene letto un suo messaggio in cui dice di non partecipare all’evento per “motivi istituzionali”. Il 21 dicembre 2012 La Russa, presentando la nascita di Fratelli d’Italia, parla della volontà di candidare i marò nelle liste della nuova formazione politica. In un’intervista a Libero, la presidente di Grande Sud Adriana Poli Bortone rivendica di avere avuto per prima l’idea, ammettendo però di non averne discusso con i militari e le loro famiglie. Il primo atto di Giulio Gallera da coordinatore Pdl Milano è quello di andare a protestare sotto il consolato indiano. Anche Casapound si fa sentire e organizza diversi cortei per chiedere la liberazione dei marò. La destra chiederà più volte che l’India sia esclusa dall’Expo di Milano nel 2015.

Anche in India il caso è stato politicizzato. È stato usato contro Sonia Gandhi, all’epoca presidente del Partito nazionale del congresso. Gandhi è italiana ed è stata accusata dai suoi avversari di essere stata troppo condiscendente con Roma. Un’accusa che ha provocato un suo irrigidimento durante tutta la vicenda. Inoltre, il caso marò arriva nel pieno della battaglia per le elezioni regionali in Kerala dove quell’anno erano già morti 28 pescatori per incidenti simili. In diverse manifestazioni i marinai del Kerala bruciano bandiere italiane e foto dei marò. Anche l’ex ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, ha parlato con Domani del caso come “sensibile” per via della situazione politica in Kerala.

Tensioni con Onu e Ue

Il caso marò ha portato tensioni anche con Onu e Ue. Di fronte alla richiesta della ministra degli Esteri Bonino di un intervento Onu sulla possibile applicazione da parte dell’India della dura legge antiterrorismo contro i marò, il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki Moon nega un suo coinvolgimento definendo la questione “bilaterale”. Il deputato Antonio Razzi lo invita ad «andare a zappare l’orto». L’Italia minaccia allora di sospendere le missioni internazionali e poche ore dopo il segretario Onu corregge il tiro dicendosi “sorpreso” dalla possibile applicazione della legge antiterrorismo. Per quanto riguarda l’Europa, Bonino dice a Domani che «durante tutto il mio mandato il consiglio dei ministri europeo non aveva volontà di intervenire sulla questione».

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