Questo è il secondo di una serie di reportage in cui racconteremo cosa succede in Estonia, Lettonia e Lituania, i paesi europei e membri della Nato che dopo l’invasione dell’Ucraina temono di essere i prossimi. Qui potete trovate il primo episodio, dedicato alle esercitazioni militari con cui gli estoni si preparano a un’invasione dell’esercito russo.


«Il silenzio dei miei concittadini è doloroso. Qui nessuno parla della guerra. Ma siamo un paese libero, la gente ha diritto ad avere le sue opinioni, anche se sgradevoli». Dall’ufficio di Katri Raik, ex ministro degli Interni dell’Estonia e oggi sindaca di Narva, terza città del paese per abitanti, la Russia sembra vicinissima.

Situata all’estremo confine nordorientale dell’Europa, Narva è separata dalla Russia e dalla sua città gemella, Ivangorod, soltanto da un ponte. Sulle due sponde del fiume, il castello di Narva e la fortezza di Ivangorod sembrano guardarsi minacciosamente, un simbolo delle nuove tensioni tra est ed ovest esplose con l’invasione dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio.

Ma questo è un confine particolare, perché su entrambe le sponde del fiume Narva vive la stessa gente. Sono russi gli abitanti di Ivangorod, così come sono russi o russofoni quasi tutti gli abitanti di Narva. Il 96 per cento di loro parla russo, mentre un terzo di russo ha anche il passaporto.

Una città sovietica

Spostandosi dalla capitale Tallinn a Narva sembra effettivamente di cambiare paese. A partire dai segnali stradali e dalle pubblicità: a Narva sono quasi tutti bilingue, russo ed estone. Ma le differenze sono molto più profonde di così.

Mentre Tallinn è una città turistica e moderna, dove l’architettura nordica si mischia con la città medievale e i palazzi di epoca barocca, Narva sembra rimasta ferma ai tempi dell’Unione sovietica. A parte un pugno di case di fronte alla fortezza medievale, tutto il resto della città è composto da dozzine di khrushchyovka degli anni Sessanta, i bassi parallelepipedi di cemento onnipresenti nell’est Europa, e dalle più alte brezhnevkas, degli anni Settanta e Ottanta.

L’architettura sovietica non concede molto al consumismo e quindi a Narva non ci sono praticamente vetrine di negozi, bar o ristoranti, se non nei modernissimi centri commerciali che spuntano incongruenti in mezzo all’austera edilizia comunista.

La sindaca conosce bene questo divario. «Tallinn è “pronta” – “ready” dice in inglese – Tutto è bello e carino, ci sono luci, bari, ristoranti, palazzi moderni. Narva non è pronta. Ha bisogno di aiuto e supporto».

Narva è una città depressa se comparata alle aree più dinamiche del paese. Dall’indipendenza dall’Unione sovietica, ottenuta nel 1991, la popolazione di Narva è scesa da 85 a 54mila abitanti. Oggi in città vivono soprattutto anziani e pensionati. «Il nostro problema principale sono le opportunità di lavoro: creare possibilità di impiego per non far andare via i giovani».

È una classica storia di deindustrializzazione, a cui l’elemento etnico-linguistico aggiunge un ulteriore livello di complessità. Fin dal Diciannovesimo secolo, la città è stata un importante polo industriale, animato dalla comunità dei baltici tedeschi. Qui nel 1857 aprì la Kreenholm, che allo scoppiò della prima guerra mondiale era la più grande fabbrica tessile del mondo – la sua sagoma massiccia incombe ancora oggi sullo sfondo della città, anche se la fabbrica è chiusa dal 2010.

Con la definitiva annessione all’Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale, l’intera regione di Narva ricevette massicci investimenti: fabbriche di mobili, miniere di carbone e uranio, pozzi per l’estrazione dell’olio di scisto, gigantesche centrali idriche ed energetiche. Ma insieme ai capitali arrivarono anche centinaia di migliaia di russi, in un pianificato tentativo di russificare l’Estonia annacquandone la popolazione. Oggi la distribuzione dei russofoni, quasi un terzo di tutti gli abitanti, si sovrappone quasi perfettamente a quella della grande industria. Ed ora, a quella del declino post industriale.

Il centro di Narva, visto dalla torre del castello, ancora dominato dai massicci condomini di epoca sovietica, con poco spazio per attività commerciali (Foto Davide Maria De Luca)

Storia di due città

Sembrano gli ingredienti perfetti per generare un disastro, un conflitto strisciante o aperto, come quello che ha insanguinato e in parte continua a tormentare i Balcani.

Quando nel 2014 la Russia ha invaso l’Ucraina, l’attenzione della comunità internazionale era al massimo e in molti pensavano che dopo la Crimea, Narva sarebbe stata la prossima. In estate, la città si è riempita di giornalisti sguinzagliati dalle testate internazionali a caccia dei primi segnali dell’arrivo dei “green men”, i soldati russi senza segni identificavi che avevano dato inizio all’occupazione della Crimea.

Niente del genere è accaduto allora e nulla sembra che stia per accadere adesso. Dal 24 febbraio ad oggi Narva non ha visto una singola manifestazione a favore della guerra in città. In tutta l’Estonia, la polizia ha ricevuto circa 15 denunce legate a graffiti con la “Z”, simbolo delle forze di invasione russe, una decina di persone sono state denunciate per vandalismo. 

«L’idea di una minoranza facile da manipolare dall’estero preoccupa molto più fuori dai paesi baltici che dentro i paesi baltici», dice Tony Lawrence, un ricercatore inglese che dal 2004 vive in Estonia dove si occupa di studi strategici per lo Icds, il principale centro studi di sicurezza e difesa del paese.

«I russi non sono stati incapaci di mobilitare la popolazione per i loro scopi. Certo, i russi vivono in un differente spazio informativo, guardano i media russi, ma non sembra che questo abbia alcun particolare effetto. I russi estoni sanno che stanno meglio in Estonia di quanto starebbero in Russia».

Raik non potrebbe essere più d’accordo. Alla domanda sulla “quinta colonna russa” in città scoppia a ridere. Dmitri Pastushov, il suo assistente di madrelingua russa aggiunge: «Io sono russo e con la sindaca andiamo piuttosto d’accordo».

Pastushov, che ha una trentina di anni e che in famiglia parla normalmente russo, appartiene alla nuova generazione che non ha ricordi dell’Unione Sovietica. È cresciuto in un paese che anno dopo anno è diventato sempre più benestante (il dinamico sviluppo economico dell’Estonia gli è valso il soprannome di “tigre dei baltici”), frequentando scuole in cui si parlava estone, ma anche russo, in una città che non ha mai ripudiato la sua identità.

«La gente ha diritto ad avere le sue opinioni, anche quando non ci piacciono – dice Raik – Ma gli abitanti di Narva sanno com’è la vita a Ivangorod, in Russia. Sanno che in Estonia si sta meglio, sanno che l’Estonia ha probabilmente il miglior sistema scolastico in lingua russa al mondo».

Il paragone tra Narva e Ivangorod, con le sue strade piene di buche, l’assenza di servizi e di impiego, esce di frequente in queste conversazioni. C’è un famoso simbolo di questa disparità, che tutti gli abitanti di Narva conoscono bene. Qualche anno fa, l’Unione Europea ha donato un milione e mezzo di euro a Narva e alla vicina Ivangorod per costruire due passeggiate lungo il fiume. Quella di Narva è una splendida camminata sotto le mura della fortezza, con panchine, alberi e tavoli per giocare a scacchi. Quella russa è una striscia di cemento lunga un centinaio di metri. 

Il lungofiume di Narva, realizzato con un finanziamento dell'Unione Europea. Sullo sfondo, il ponte che collega la città alla Russia (Foto Davide Maria De Luca)

Un ponte per l’Europa

Con l’invasione dell’Ucraina e il nuovo aumento della tensione tra Russia ed Europa, il governo estone si è affrettato a far sentire la sua presenza nella “piccola Russia” estone. Pochi giorni dopo l’invasione, il ministro della Difesa è venuto ad incontrare gli abitanti della città. La maggior parte delle domande che gli sono state rivolte riguardava i timori degli abitanti per le conseguenze di una «liberazione» russa e delle sue conseguenze, come la presenza o meno di rifugi in cui nascondersi dai bombardamenti.

Altri ministri sono arrivati nei giorni successivi, fino a che il 22 marzo, la prima ministra Katja Kallas ha organizzato un consiglio dei ministri in città in cui, tra le altre cose, ha promesso di portare a due le corsie della strada che collega Narva con la capitale.

Raik incontra i suoi cittadini ogni giovedì e dice di essere solidale con loro. «Capisco che per loro è in corso una difficile crisi di identità. Sono confusi. Il governo estone ha assunto una posizione forte. Gli abitanti cominciano a capirla mano a mano che passano le settimane».

Raik può leggittimamente sostenere di conoscere i suoi cittadini piuttosto bene, avendo iniziato la sua carriera universitaria durante l’Unione Sovietica. Docente di storia, ha tenuto corsi e lezioni in Russia per anni, parla perfettamente russo e anche se è nata a Tartu, vive a Narva dal oltre 20 anni.

«Per me i cittadini di Narva sono importanti – dice – Fino all’anno scorso ho partecipato alla cerimonia del 9 maggio, il giorno in cui i russi commemorano la vittoria nella Seconda guerra mondiale. Capisco le famiglie che hanno avuto un nonno o un padre uccisi e vanno al cimitero per ricordarli. Negli altri anni c’erano anche persone con il nastro nero e arancione di San Giorgio», un simbolo che di recente è sempre più spesso associato con le ambizioni espansionistiche di Putin.

Quest’anno dice che «ovviamente» non parteciperà calla cerimonia. A Narva, come nel resto dell’Estonia, si festeggerà il Giorno dell’Europa.

Anche se l’Estonia non è legalmente un paese multi-nazionale e ha una forte componente nazionalista e conservatrice  – i populisti di destra dell’Ekre che si oppongono a qualsiasi concessioni ai russi hanno ottenuto il 18 per cento dei voti alle ultime elezioni – l’atteggiamento di Raik non è isolato.

Il Partito di Centro, che da anni rappresenta gli interessi della comunità russa, è uno dei più grandi del paese ed è attualmente al governo. Edgar Savisaar, uno dei politici più longevi (e controversi) del paese, primo ministro e poi sindaco di Tallinn, proveniva dalle sue fila e ha fatto del sostegno dei russi uno dei suoi punti di forza.

I risultati sono che, secondo gli ultimi sondaggi, soltanto un quarto dei russi che vivono in Estonia sostiene ancora Putin, la stessa percentuale di chi dichiara di appoggiare l’Ucraina, mentre il 50 per cento dice di essere «scioccato» dall’invasione. In poche settimane, la fiducia nei media russi è crollata dal 40 al 27 per cento.

Qualcosa sta funzionando a Narva e nel resto dell’Estonia e anche se la situazione è lontana dall’essere perfetta e non è detto che resterà così per sempre, oggi è certamente migliore di come sarebbe legittimo aspettarsi vista la storia Europea degli ultimi 30 anni.

Secondo la sindaca Raik, è arrivato il momento di smettere di guardare alla sua città con lo spirito paranoico che molti hanno adottato dal 2014 ad oggi. «Quello che voglio è che il resto dell’Europa impari che Narva è l’inizio dell’Europa, non la sua fine. Siamo un ponte, non un confine».

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