Cenerentola dell’Ue, povera e instabile. Da Capodanno la Bulgaria entra nell’euro

Sofia – La Bulgaria sta per fare un passo importante: già membro dell’Unione europea dal 2007, dal primo gennaio diventa anche il ventunesimo componente dell’Eurozona. Dopo anni di rinvii e di attesa, entra nel 2026 lasciandosi alle spalle dopo 140 anni la sua valuta, il lev, e adotta la moneta unica europea. Un’attesa inquieta Nel cuore della capitale Sofia, addobbata e semivuota per le vacanze di Natale, negli ultimi giorni le scalinate della Banca Nazionale Bulgara si sono trasformate in un piccolo teatro all’aperto, in grado di riflettere gli umori profondi del paese. Durante l’orario di apertura, centinaia di persone si mettono pazientemente in fila per acquistare – in anticipo sulla data ufficiale di adesione – il kit con le nuove euro-monete bulgare appena coniate e scintillanti, e portarsi a casa un ricordo palpabile dello storico evento. Nella serata di lunedì uno sparuto gruppo di manifestanti - raccolti dal passaparola sui social media - ha invece sfidato il freddo pungente di fronte all’edificio della banca per dire un ultimo «no» alla moneta europea. «L’euro ci viene imposto con la forza, senza ascoltare il popolo, una scelta che pagheremo cara», dice con voce rotta dall’emozione Hristina Spasova, da molti anni in pensione. «Ci riprenderemo il lev, e forse dovremmo legarlo al rublo, stavolta». La malcelata vena di nostalgia nelle sue parole rappresenta una posizione ormai marginale, ma mette in luce i dubbi e le incertezze di una società, quella bulgara, che le piazze e i sondaggi disegnano divisa ed inquieta, sull’euro e non solo. Inflazione, rabbia: piazze piene in Bulgaria per cambiare sistema L’instabilità politica Le stesse strade intorno alla banca nazionale, dallo scorso novembre, sono state protagoniste delle più grandi manifestazioni politiche dagli anni ‘90, che hanno portato in fretta alla caduta del governo Zhelyazkov, fragile alleanza messa insieme a inizio 2025 per garantire un esecutivo ad un paese andato a votare sette volte negli ultimi quattro anni. Le proteste, scatenate dalla proposta di bilancio per il 2026, con nuove imposte su imprese e cittadini, si è presto trasformata in una contestazione radicale nei confronti dell’élite al governo. «Il bilancio è stata la miccia, ma le cause della protesta sono profonde», spiega il politologo e giornalista Yavor Siderov, uno degli osservatori più acuti della politica bulgara. «Da una parte c’è la nausea verso la corruzione di una classe politica rapace, e una grave crisi di rappresentanza, con elezioni che vedono ormai affluenze di appena il 30-35 per cento. Dall’altra timori legati a un possibile rafforzarsi della spinta inflazionistica con l’euro, che il governo non ha saputo affrontare in modo efficace». Negli ultimi anni la Bulgaria, che resta il membro più povero dell’Ue, ha conosciuto una crescita economica sostenuta, accompagnata da un aumento dei salari, ma anche dei prezzi. L’inflazione ha colpito tutti i settori, senza risparmiare i beni di prima necessità: un trend che ha creato forte tensione nella società, soprattutto nelle fasce più vulnerabili. Per superare l’ennesima crisi, in primavera arriveranno le ottave elezioni anticipate, con la campagna elettorale già ufficiosamente aperta affidata un governo tecnico, che dovrebbe essere nominato a breve dal presidente Rumen Radev. Il duo Borisov-Peevski Il “sistema” – contestato e costretto alle dimissioni dalla piazza – si sta già riorganizzando intorno ai suoi uomini simbolo: il leader del centrodestra Boyko Borisov, da quindici anni intramontabile padre padrone della politica bulgara, e l’oligarca Delyan Peevski, tycoon mediatico e punto di sutura tra interessi politici ed economici opachi, sanzionato da Washington e Londra per accuse di corruzione. Dall’altra parte, c’è il partito riformista “Continuiamo il Cambiamento”, motore delle manifestazioni e punto di riferimento della classe media urbana ed europeista, che in questi anni ha ripetutamente sfidato il duo Borisov-Peevski senza mai riuscire a sconfiggerlo. Con l’impasse che si trascina, in questi anni nuovi progetti politici si sono presentati agli elettori all’ultimo momento promettendo riforme e miracoli, per poi spesso sparire in fretta senza lasciare traccia. Questa volta si parla della possibile discesa in campo proprio del presidente Radev, fattosi notare in passato per alcune dichiarazioni che strizzavano l’occhio a Mosca sull’invasione in Ucraina, e che secondo molti osservatori potrebbe attirare il consenso di una fetta importante degli indecisi. Ad avere un ruolo importante nel dare una direzione al paese, stavolta ci saranno però anche i giovani della “Gen Z”, affacciatisi per la prima volta sul palcoscenico della politica proprio con le proteste. Sono ragazzi e ragazze che non hanno vissuto i traumi della transizione, che spesso studiano all’estero e parlano le lingue, e si sentono a proprio agio nella dimensione europea della Bulgaria, fatta oggi di moneta unica e spazio Schengen, in cui il paese è entrato a tutti gli effetti a inizio 2025. «Il mio futuro lo vedo qui, il mio paese è pieno di potenzialità ancora inespresse», racconta con entusiasmo Aleksandar Lazarov, giovane artista di Sofia ed autore della corpulenta scultura a forma di maialino che, piazzata di fronte ai palazzi del potere, è divenuta presto il simbolo del malcontento. «Per realizzarle, però, questo modello malato di governo deve sparire. Soltanto allora la Bulgaria sarà un paese veramente europeo». Le sirene russe Insieme alle trasformazioni generazionali, a definire il futuro della Bulgaria sarà anche l’evoluzione del turbolento contesto internazionale, con l’invasione russa in Ucraina vissuta da molti come una guerra in casa, sia per la vicinanza geografica che per le fratture interne.La parte della società bulgara, oggi maggioritaria, che punta alla solidarietà euro-atlantica come fonte di stabilità e sicurezza, guarda con apprensione l’approfondirsi delle tensioni tra Washington e alcuni paesi chiave dell’Ue, Germania in primis, e i tentativi di riavvicinamento tra l’amministrazione Trump e Putin. C’è poi chi continua a vedere nella Russia un punto di riferimento, sulla base di legami storici, linguistici, culturali ed economici: come i nazionalisti di “Rinascimento”, che nel regime autoritario del Cremlino vedono un modello politico da contrapporre alla visione europeista, e che negli ultimi anni si sono ritagliati una fetta costante dei consensi elettorali. Una spaccatura che si intreccia con le tensioni politiche interne e cattura destini personali, come quello di Aleksandar Tenev, promotore del comitato “Studenti contro la Mafia”, nato nei corridoi della facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Sveti Kliment Ohridski” di Sofia e protagonista delle proteste. Il protagonista delle proteste Metà russo e metà bulgaro, Aleksandar ha dovuto abbandonare Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina. «Oggi purtroppo non posso battermi di persona contro il regime criminale di Putin. Posso però lottare perché la Bulgaria, l’altra mia casa, diventi uno stato di diritto a tutti gli effetti», sostiene convinto. «La prima battaglia contro lo “stato profondo” di Borisov e Peevski è vinta. Resta però la sfida più difficile: trasformare questa vittoria in un cambiamento strutturale del sistema».