«Eau revoir»: con un gioco di parole che dice «addio all’acqua», uno striscione slabbrato affisso alla ringhiera di un cavalcavia sventola sui binari della linea che collega Parigi a Saint-Quentin-en-Yvelines. Situato alle spalle di Versailles, nel ricco hinterland dell’ovest parigino, Saint-Quentin-en-Yvelines è un agglomerato di 12 comuni: 230mila abitanti vivono in questa ville nouvelle, una delle città satelliti create negli anni Sessanta per decongestionare la capitale.

Al centro di Saint-Quentin-en-Yvelines, le acque del più grande lago del dipartimento riflettono il cielo nuvoloso: tre milioni di metri cubi, contenuti in 150 ettari di superficie. Le origini del lago artificiale risalgono alla fine del XVII secolo, quando Luigi XIV ingaggiò una schiera di ingegneri per garantire un flusso continuo alle 1400 fontane di Versailles. Una forma di accaparramento visibile ancora oggi, grazie alla fitta rete di canalizzazioni, acquedotti sotterranei e bacini artificiali che caratterizza tutto il territorio.

La differenza rispetto al passato è che l’acqua scarseggia. Dal 13 marzo il dipartimento si trova in stato di allarme siccità: le precipitazioni sono rare e parte della falda acquifera è ai livelli di luglio. «Un dato preoccupante per una regione storicamente ricca d’acqua», spiega Léo Mariasine, 27 anni, geografo e urbanista. Impiegato in una grande agenzia regionale di pianificazione del territorio, è membro del collettivo Pour une gestion publique de l’eau à Versailles et Saint-Quentin-en-Yvelines, un gruppo di associazioni locali nato nel 2016, che lotta per il controllo pubblico dell’acqua nella zona.

La lotta dell’acqua

In Francia la questione della gestione dell’acqua è all’ordine del giorno. I violenti scontri tra militanti e polizia, che hanno avuto luogo poche settimane fa a Sainte-Soline, legati all’installazione di un enorme bacino di raccolta delle acque, e la siccità sempre più intensa - tra gennaio e febbraio il paese ha battuto il record invernale di 32 giorni senza pioggia - rivelano la dimensione della crisi idrica. Al contesto climatico si aggiunge una tensione sociale crescente per l’uso di una risorsa sempre più rara, in un paese in cui non era mai mancata.

Foto Daniel Peyronel

«Il 2023 comincia in maniera eccezionale: abbiamo avuto un’estate molto calda, a cui si aggiunge una scarsa ricarica delle falde acquifere in inverno», spiega Pascal Maugis, ricercatore nel laboratorio di scienze climatiche e ambiente (LSCE) di Gif-sur-Yvette, nella vicina piana di Saclay e specializzato nelle questioni legate all’acqua e l’adattamento al cambiamento climatico. «Finora la siccità estiva era compensata dalle piogge invernali e primaverili, ma non quest’anno. Nel dipartimento è piovuto il 25 per cento meno della media».

Una situazione analoga al resto del paese e che ha spinto il presidente a intervenire personalmente. In un discorso pronunciato il 30 marzo a Savines-le-Lac, ai piedi delle Alpi, Macron ha presentato il suo plan de l’eau, la sua strategia per una gestione «resiliente e solidale» della risorsa. Le 53 misure includono: più sobrietà, per rispondere alle crisi immediate e investimenti sul lungo termine per ridurre gli sprechi, migliorare la qualità dell’acqua, recuperare le acque reflue e adattare l’agricoltura al cambiamento climatico.

Proprio l’agricoltura è il settore più avido d’acqua: sugli oltre 4 miliardi di metri cubi di acqua dolce consumata ogni anno in Francia, il 58 per cento è destinato a irrigare i campi. Al contrario dell’acqua utilizzata per raffreddare i circuiti delle centrali nucleari o per alimentare i canali, quest’acqua prelevata non ritorna nella natura, andando ad alterare in maniera importante il ciclo dell’acqua.

«La Francia si trova in una situazione di competizione cronica per le risorse idriche: è un tutti contro tutti; uso agricolo, industriale, energetico e domestico», dice Pascal Maugis. Per lui la strategia presentata a marzo è un buon segnale, ma non abbastanza ambizioso: il vero nodo da sciogliere è il modello agricolo dominante.

«Nelle Yvelines e nella piana di Saclay, area agricola tra le più fertili d’Europa, dovremmo chiederci se vale la pena continuare a coltivare campi di cereali e mais destinati all’alimentazione del bestiame e all’esportazione. E forse sostituire queste colture con quinoa o sorgo, adatte a un terreno più secco».

Resistere sul territorio

A Magny-les-Hameaux, uno dei dodici comuni dell’area, i cittadini non hanno atteso gli annunci del governo per passare a un modello agricolo più sostenibile.

Foto Daniel Peyronel

Alban Auge è un orticoltore di 38 anni. Dal 2015 affitta un terreno di 2,5 ettari per mille euro all’anno alla Ferme de la Closeraie, un progetto agricolo comunale e cooperativo. Aiutato da giovani e volontari, tra cui Léo e la sua famiglia, l’agricoltore pianta una nuova siepe al limite del suo appezzamento di terra.

«Più il terreno è secco e più bisogna cercare l’acqua in profondità - dice Alban – e perciò gli alberi sono importanti: le loro radici vanno ad alimentarsi direttamente nella falda acquifera e rendono tutto il terreno più umido». Per piantare la siepe, l’agricoltore ha ricevuto un aiuto di 2500 euro da un’associazione, finanziata a sua volta da fondi regionali e europei. Ma gli effetti benefici sul suolo non si faranno sentire prima di cinque anni, quando la siepe avrà raggiunto la maturità. Nel frattempo, Alban ha messo in atto tutti gli accorgimenti per fronteggiare la probabile siccità che colpirà il dipartimento quest’estate. Impianto di irrigazione a goccia, coltivazione di arbusti e alberi da frutta, meno bisognosi di acqua: «Una pianta di lamponi dura 10 anni, mentre i pomodori li cambi ogni anno».

Per Léo, un progetto come questo a Magny-les-Hameaux, è un esempio virtuoso di gestione dell’acqua e del territorio, capace di attenuare i conflitti d’uso. «In questa zona la pioggia penetra direttamente nel suolo, è positivo per il ciclo dell’acqua. Un altro sindaco avrebbe potuto scegliere di urbanizzare questi 10 ettari». Le nozioni urbanistiche si alternano alle rivendicazioni militanti: «Entro il 2050 la regione accoglierà oltre un milione di nuovi residenti. L’obiettivo è costruire 70mila alloggi nuovi ogni anno. Con questo tasso di urbanizzazione, quale sarà l’impatto sulla risorsa idrica?».

Acqua a perdere

Il 26 per cento del consumo d’acqua in Francia è destinato all’uso domestico. Secondo il piano del governo, tutti i settori, anche quello residenziale, dovranno impegnarsi a ridurre la pressione sul prelievo dell’acqua del 10 per cento entro il 2030. Il problema è che la rete idrica francese è un colabrodo: per le perdite, un litro su cinque non arriva a destinazione. Il deterioramento delle canalizzazioni è dovuto all’età avanzata di gran parte delle tubature e a una mancanza di investimenti cronica: «Le canalizzazioni hanno una durata di vita di 70 anni in media, ma ad oggi, con un tasso di rinnovamento dello 0,6 per cento all’anno, rimpiazziamo i tubi ogni 170 anni», dice Léo.

Per lui, il ruolo della politica è cruciale. Il 31 dicembre 2026, il contratto che lega i comuni di Versailles e Saint-Quentin-en-Yvelines al gruppo privato Suez scade. Il collettivo del quale Léo fa parte spinge per riprendere in mano il controllo sulla gestione della risorsa anche qui, come già successo a Lione, Bordeaux - passate in mano a sindaci ecologisti alle elezioni comunali del 2020 - ma anche Nizza e Troyes, città governate da sindaci di destra.

Christian Grande, consigliere municipale di Guyancourt, comune adiacente a Magny-les-Hameaux, condivide il punto di vista di Léo. Per lui, la gestione pubblica dell’acqua è questione di giustizia sociale: «Macron ha parlato di costo dell’acqua progressivo, in base al tipo di utilizzo e al volume di acqua prelevato, ma non è abbastanza. Per le famiglie, la fattura dell’acqua aumenta dal 2016. Una gestione pubblica non cerca solo il profitto».

Chiedere ai cittadini di ridurre il proprio consumo, continuando a trascurare la rete idrica e spingendo per una reindustrializzazione del paese, non è possibile. Soprattutto per via delle conseguenze del cambiamento climatico: «Preleviamo talmente tanta acqua dalla falda acquifera, che non riesce più a ricaricarsi. L’azienda Suez è costretta a recuperare l’acqua della Senna e cospargere i terreni attorno ai pozzi da cui si preleva l’acqua per garantire un volume sufficiente. Se il livello della Senna scende del 30 per cento nei prossimi 50 anni, come previsto dagli scenari, abbiamo un vero problema».

Con il lavoro del collettivo, Léo spera di convincere un numero sufficiente di eletti entro la fine del 2026. Un obiettivo difficile in un’agglomerazione recente, dove la rete idrica registra solo il 10 per cento di perdite. Ma la siccità potrebbe fare la differenza : «C’è apprensione generale per via del cambiamento climatico e la mancanza d’acqua è una delle manifestazioni più spaventose. La gente si chiede: senz’acqua come viviamo?».

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