Anche se tanti europei sventolano la bandiera europea e quella ucraina insieme in segno di supporto, non ci sveglieremo improvvisamente domani con Kiev dentro l’Unione europea. Non è realistico, né è possibile, che ciò accada. Il tema dell’ingresso dell’Ucraina nell’Ue rappresenta piuttosto uno strumento di pressione della leadership ucraina e di quella europea contro Vladimir Putin e la sua aggressione. Non è un caso che Ursula von der Leyen si sia espressa nitidamente sul tema proprio alla vigilia del primo tavolo di trattative tra la delegazione ucraina e quella russa. «Kiev è una di noi», ha detto la presidente della Commissione europea domenica. «Fateci entrare con procedura accelerata», le ha fatto eco il giorno dopo, nel pieno dei colloqui con Mosca, il presidente ucraino, mostrando di formalizzare la richiesta.

Martedì all’Europarlamento le richieste di supporto, e le esibizioni di solidarietà, si sono moltiplicate: da una parte Volodymyr Zelensky con il suo appello, «senza Ue siamo soli»; dall’altra gli eurodeputati, che con la loro risoluzione hanno invitato le istituzioni Ue «ad adoperarsi per concedere all’Ucraina lo status di paese candidato all’adesione e, nel frattempo, a continuare ad adoperarsi per la sua integrazione nel mercato unico». Tutto questo va tradotto in una dichiarazione di supporto politico all’Ucraina ma non implica che Kiev possa entrare nell’Ue da un giorno all’altro. Nessuna «procedura accelerata», come la chiama Zelensky, può scavallare l’ordinamento europeo, e quindi la procedura stabilita dai trattati. Vero è che l’ingresso effettivo di un paese nell’Ue, e la tempistica, sono fortemente legati alla volontà politica; anzitutto, a quella dei governi e quindi del Consiglio europeo. Caso esemplare è quello della Turchia: ha ottenuto lo status di candidata nel 1999, e non è ancora un paese Ue; né è detto che lo diventerà mai.

Candidarsi a membro Ue

L’ingresso di un paese nell’Unione europea è un iter complesso e lungo. Prima ancora di aderire, bisogna ottenere lo status di paese candidato. E per ottenerlo, bisogna soddisfare i criteri di adesione, o «criteri di Copenaghen». Un paese deve quindi essere predisposto a entrare nella comunità dei paesi dell’Unione su vari fronti: stabilità della democrazia e stato di diritto, ma anche economia di mercato, adozione della legislazione europea e dell’euro. Al momento ci sono alcuni paesi che stanno integrando l’ordinamento europeo in quello nazionale, e che sono candidati: Albania, Montenegro, Macedonia del nord, Serbia e Turchia. Non soddisfano i «criteri», ma sono candidati potenziali, anche Kosovo e Bosnia-Erzegovina. Anche questi due paesi peraltro subiscono i tentativi di destabilizzazione di Putin, che li ha citati nel discorso in cui ha annunciato l’aggressione dell’Ucraina.

Cosa si può fare per Kiev

In vista di un ingresso futuro dell’Ucraina, la Commissione può avviare il suo «assessment», cioè la procedura di valutazione su vari capitoli. Poi indica al paese richiedente le riforme politiche, economiche, giuridiche necessarie per avvicinarsi all’«acquis communautaire». Significa che l’Ucraina deve mostrarsi pronta a far propri gli obiettivi politici, i diritti, i doveri che costituiscono la base giuridica per far parte dell’Unione. Ecco perché l’iter è lungo e complesso. La Commissione prepara i lavori ma poi il Consiglio europeo – dunque i governi – deve approvare all’unanimità lo status di candidato; e anche l’Europarlamento. Il voto di martedì degli eurodeputati è lontano ed estraneo a questo passaggio, che richiede tempo e lavoro. La decisione di accogliere un nuovo stato membro ha un valore fortemente politico e dipende in larga parte dalla volontà dei governi. Ecco perché ci sono paesi che dopo decenni non sono ancora nell’Ue, come la Turchia, e altri, come la Slovenia, che sono entrati con relativa rapidità.

I rapporti finora

Non significa che non ci sia già una forte cooperazione. L’Ue ha siglato con Kiev nel 2014 un accordo di associazione, e offre già supporto all’Ucraina in virtù di rapporti di buon vicinato. I programmi per i «paesi vicini», che non hanno alcun rapporto con candidatura e adesione, consentono all’Ue di offrire sostegno ad esempio con fondi finalizzati allo sviluppo democratico. Un altro strumento per intensificare le relazioni è entrare nell’unione doganale: la Turchia per esempio su questo fronte è già inclusa.

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