Se non sai come fare con quei messaggi Whatsapp inviati dal capo fuori dall’orario di lavoro, con quella mail spedita nel weekend, se ti senti in dovere di essere “sempre acceso” e cioè sempre connesso, sappi che il problema non è tuo: riguarda tutti gli europei, ancor più ora che la pandemia ha innescato un aumento dell’impiego da casa.

Durante la prima ondata ben il 40 per cento ha lavorato dal proprio appartamento, e quella che è nata come condizione emergenziale si sta trasformando in strutturale. Svolgere compiti pure nel tempo libero capita ora sei volte più di prima. Perciò in Europa è in corso una battaglia per il right to disconnect, il diritto a disconnettersi, a staccare la spina, spegnere cellulari, ignorare messaggini: ieri l’Europarlamento ha approvato una risoluzione sul tema. I risultati concreti si vedranno, se tutto va bene, fra 5 anni. Ma serve davvero che intervenga l’Unione europea, per garantirci il sacrosanto diritto al riposo?

Iper-lavoro da casa

Chi lavora da casa ha il doppio delle probabilità, rispetto a chi lo fa in ufficio, di sforare l’orario previsto, di lavorare più di 48 ore settimanali e di riposare meno di 11 ore fra un giorno e l’altro, come invece sarebbe suo diritto (sancito a livello europeo). Un telelavoratore su tre dichiara di lavorare pure nel tempo libero tutti i giorni o almeno più volte alla settimana (a chi lavora in ufficio succede solo in 5 casi su 100). Sempre più persone che lavorano da casa patiscono orari di lavoro irregolari, crescente difficoltà a godere delle ore in teoria libere. Sempre più spesso, ci si sveglia di frequente durante la notte, si patisce un senso di irrequietezza, stress e stanchezza a causa del lavoro. Un europeo su tre - e gli italiani sono fra quelli con la media più alta - pensa che il suo impiego “smart” non gli consenta di dedicare alla famiglia il tempo necessario. I dati sono stati appena pubblicati da Eurofound, agenzia dell’Ue, che ha monitorato le condizioni di lavoro in era Covid-19.

I paesi più avanti

Di diritto alla disconnessione si parlava già prima della pandemia, e la Francia è il paese pioniere d’Europa. Nel 2016, dopo aver raggiunto un accordo tra le parti sociali, Parigi ha introdotto una legge per proteggere il confine tra vita privata e lavoro, evitando che una situazione ibrida lasci il lavoratore in balìa delle irruzioni (digitali) del capo. Le aziende con almeno 50 dipendenti devono accordarsi coi lavoratori (tramite i loro rappresentanti) per regolare l’uso dei dispositivi digitali fuori dagli orari di ufficio. C’è un esplicito diritto allo switch off (a spegnere tutto) e ci sono strumenti legislativi per rivendicarlo. Qualsiasi impegno extra richiesto dall’azienda - come “star di guardia” alle mail - va ricompensato.

In Germania non esiste una legislazione specifica, l’equilibrio è per ora affidato alla capacità di autoregolarsi del datore di lavoro: Volkswagen, Bmw e Puma si sono imposte di non mandare email fuori dagli orari di lavoro; ma un sistema affidato alla buona volontà lascia pure senza tutele effettive.

Il caso italiano

L’Italia è considerata tra i paesi apripista, ma tra teoria e pratica c’è l’inghippo. Il diritto a disconnettersi è infatti inserito nella legge sullo smart working del 2017. Ma attenzione, smart working e telelavoro non sono la stessa cosa. «Il lavoro smart, o agile, non ha precisi vincoli di luogo e tempo, né postazione fissa; l’importante è raggiungere determinati obiettivi, realizzare progetti concordati. Proprio per questo la legge del 2017 esplicita il diritto a disconnettersi anche se “agili”. Il telelavoro invece è una dislocazione spaziale dell’impiego svolto in azienda, con turni come in ufficio, e spetta al datore di lavoro garantire una postazione funzionale, dotata del necessario» dice Aldo Bottini, presidente degli avvocati giuslavoristi italiani.

Con la pandemia ci si è appoggiati alla legge del 2017, quella sul lavoro agile, ma per essere davvero smart, un impiego prevede un accordo tra datore e lavoratore sia su obiettivi che su orari di disconnessione; l’accordo in fase di emergenza è stato spesso bypassato. In ogni caso la legge sull’orario di lavoro fa da tutela per tutti, “agili” e “tele”: dice Bottini che «vanno garantiti periodi di riposo e non più di 13 ore al giorno di lavoro, almeno 11 di riposo consecutive e 1 giorno su 7 di stacco».

L’intervento Ue

«Lo spazio di vita privata è sempre più labile, soffriamo di “obesità digitale”» dice Alex Agius Saliba. Lui, con il gruppo socialdemocratico di cui fa parte, ha guidato l’iniziativa approvata ieri in aula con 472 sì: l’Europarlamento chiede alla commissione di avviare un’iniziativa legislativa per garantire un right to disconnect effettivo a tutti gli europei, proteggendoli da ripercussioni negative da parte dei datori di lavoro.

«Chi cerca di sabotare l’iniziativa c’è»: Julian Scola della confederazione europea dei sindacati (ETuc) spiega che l’altro ieri i popolari hanno proposto un emendamento «con lo scopo di rinviare la legge europea». L’emendamento, sostenuto dalla destra, popolari, conservatori, sovranisti (pure Silvio Berlusconi e Lega), invita Bruxelles a muoversi solo fra tre anni, dopo un accordo sulla digitalizzazione fra le parti sociali, «che però per volere delle associazioni imprenditoriali non prevede il diritto alla disconnessione».

L’emendamento, sostenuto via tweet dalla confederazione di imprenditori tedeschi (Bda), è passato. Perciò, se già servono circa 5 anni perché una direttiva Ue venga concepita e diventi vincolante, rischiano di diventare 8. Brando Benifei, capodelegazione Pd a Strasburgo, spera che la commissione intervenga: «Il commissario Nicolas Schmit, socialista, è sensibile al tema».

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