Annalena Baerbock ha perso un’occasione. Poteva essere una risorsa giovane alla guida del più importante paese europeo, e invece niente. La traiettoria già interrotta della candidata dei Verdi verso la cancelleria tedesca è interessante proprio per il livello delle aspettative. Baerbock è stata la prima candidata cancelliera lanciata dal partito in quarant’anni di attività e sembrava che il cambiamento epocale in atto nel panorama politico tedesco, cioè l’addio di Angela Merkel, potesse bastare per trasportarla al traguardo. 

Due elementi hanno compromesso irrimediabilmente la sua corsa. Il primo è stato la rivelazione del fatto che il suo curriculum fosse gonfiato e dei plagi presenti nel suo instant book Jetzt. Wie wir unser Land erneuern, “Ora. Come innoviamo il nostro paese”, pubblicato durante la campagna elettorale.

La mancanza di trasparenza ha bruciato la carica innovatrice di Baerbock, mettendola fuori dalla rosa dei candidati considerati affidabili dagli elettori. Su questo elemento si è innestato il secondo fattore: il desiderio di continuità dell’elettorato tedesco. E il candidato socialdemocratico Olaf Scholz è l’offerta naturale per questo tipo di domanda politica.

Il ministro delle Finanze e vicecancelliere si presenta senza sforzo come successore della cancelliera, pur appartenendo a un altro partito. Se il candidato della Cdu, Armin Laschet, è estraneo alla pratica di governo, Baerbock è lontana anni luce. Si è così esaurita la fase in cui l’impossibile paragone con l’ex cancelliera aveva schiacciato totalmente Laschet, facendo emergere per contrasto l’eroina dei Verdi.

Una buona partenza

Nelle prime settimane di campagna elettorale alcuni osservatori avevano osato addirittura definirla una “mini Merkel”, descrizione lusinghiera per la leader di un partito generalmente visto come un intruso nella festa in cui Cdu e Spd si spartiscono i destini della politica tedesca.

L’obiettivo di Baerbock era stato da subito accreditare i Verdi come forza all’altezza del compito. Lo aveva fatto esibendo preparazione, serietà e competenza. Il partito di Baerbock voleva emanciparsi dalla creatura hippie di un tempo e liberarsi dalla reputazione di Verbotspartei, il partito dei divieti, facendosi promotore di una transizione energetica quasi gestita direttamente dai cittadini. Al governo sarebbe bastato dare una piccola spinta. Bereit weil ihr es seid, «siamo pronti perché lo siete voi», diceva lo slogan della campagna verde. 

Quando sembrava andare tutto per il meglio, Baerbock ha subito un attacco mortale proprio sul punto in cui si sentiva più forte: la competenza. L’elettorato aveva apprezzato, anche perché lei, a differenza dei concorrenti, non poteva rivendersi come “usato sicuro”.

La scoperta delle irregolarità nella sua biografia e la superficialità con cui ha pubblicato il suo libro sono bastati per frantumare l’immagine da prima della classe. In Germania i Plagiatsjäger, i “cacciatori di plagi” sono molto attivi soprattutto in campagna elettorale, quando c’è da sapere tutto degli aspiranti cancellieri, ma anche in tempi normali. Molti giovani promesse si sono giocate la carriera mentendo sulla propria biografia. Da quel momento il punto di forza di Baerbock è diventata la sua debolezza: in Germania sulla competenza non si scherza. E chi lo fa, paga.

La candidata ha perso la spinta che aveva portato i Verdi a toccare a un certo punto nei sondaggi picchi del 23 per cento, a pochi punti dalla Cdu/Csu, che all’epoca era ancora il partito da battere. «I Verdi hanno avuto il loro momentum, il trend in ascesa troppo presto», dice Giovanni Diamanti, esperto di campagne elettorali e cofondatore di Quorum e YouTrend. E Baerbock se lo è giocato nel peggiore dei modi, mettendosi nei guai da sola. 

I ritocchi al curriculum hanno rotto l’incantesimo che aveva stregato gli elettori tedeschi: il bisogno di legittimarsi come degna erede di Merkel ha portato Baerbock ad allontanarsi nell’immaginario dallo standard di trasparenza cristallina che per sedici anni ha caratterizzato il cancellierato della leader conservatrice.

Distanze sempre più ampie

Il solco scavato fra le due ha anche sottolineato un’altra differenza: il fatto di non essersi imposta al suo partito, ma di esser stata scelta, quasi ottenendo la concessione da parte di colui che ha gettato l’ombra più lunga sulla sua candidatura, Robert Habeck.

Merkel ha eliminato uno per uno tutto i rivali (tutti maschi), prima all’interno del partito e poi all’esterno. La scelta di Baerbock come candidata è avvenuta dopo un lungo confronto con il co-segretario Habeck, che per tutta la campagna l’ha affiancata, ma è anche rimasto per gli osservatori il simbolo di un’altra occasione perduta: se il candidato fosse stato lui invece che lei secondo molti la campagna elettorale sarebbe andata assai diversamente.

Questo problema originario della candidatura si è aggiunto alla lunga serie di difficoltà incontrate dalla candidata ed enfatizzati dall’attenzione che l’opinione pubblica le ha riservato. «Tutta l’attenzione era su Baerbock, i suoi errori hanno fatto troppo rumore», dice Diamanti.

 A passare invece totalmente sotto silenzio nella campagna elettorale verde sono state le gravi esondazioni che hanno colpito la Germania occidentale quest’estate. Proprio sulle conseguenze del cambiamento climatico Baerbock avrebbe potuto ricostruire la sua immagine di candidata competente, ma la scelta comunicativa è stata quella di evitare qualsiasi accusa di voler cavalcare la tragedia.

Risultato: Baerbock ha visitato le zone colpite da sola, senza telecamere, e l’expertise dei Verdi sugli interventi concreti per contrastare il cambiamento climatico è svanita.

Poco empatica

Per risollevarsi Baerbock ha girato il paese in lungo e in largo in un pullman (come poteva essere altrimenti) verde, ha incontrato persone mostrando simpatia e disponibilità, ma è stata percepita ancora come lontana e troppo astratta nelle sue proposte, diversamente dal suo rivale socialdemocratico, incarnazione del pragmatismo. 

Il tentativo di stabilire una connessione emotiva con gli elettori durante il “triello” televisivo è andato a vuoto. A nulla è servito aggirare il podio dietro cui erano confinati i candidati per mostrarsi più vicina ai telespettatori per il suo messaggio finale; e ancora meno ha aiutato lo spot elettorale che riproponeva una canzone popolare dell’Ottocento con un testo rivisto e immagini “ultratedesche”: la grigliata all’aperto, la casa con le travi a vista, le fattorie del nord.

Il messaggio, rivolto chiaramente all’elettorato più anziano, nel migliore dei casi ha fatto sorridere, ma i giovani sui social lo hanno trovato semplicemente imbarazzante.

Nelle ultime settimane, quando i sondaggi non li premiavano più, i Verdi si sono sforzati di essere quello che non sono mai stati: nello spot passano quasi da partito popolare con una sfumatura conservatrice. Nello scontro con gli avversari sono sembrati addirittura una formazione con tendenze molto più aggressive di quanto si sia mai visto, perfino dai banchi dell’opposizione. 

Un episodio molto commentato dalla stampa a questo proposito è stata la serie di attacchi arrivati dai Verdi all’indirizzo della Spd quando Scholz è passato in testa ai sondaggi, dopo che nei primi mesi della campagna l’obiettivo dichiarato di Baerbock era Laschet: l’intensità dell’offensiva colpisce perché, a differenza della Cdu, i socialdemocratici avevano evitato di insistere sui plagi e i problemi del curriculum di Baerbock e ci si sarebbe aspettato dai Verdi una moderazione dei  toni.

Non si sa ancora se il negative campaigning abbia funzionato. Di certo il cambio di strategia che la mossa è sembrata arrivare in extremis, e che ha imposto una strategia inusuale per le campagne elettorali europee. «Sicuramente gli attacchi di Cdu e Verdi concentrati su Scholz dimostrano che è lui l’uomo da battere», dice Diamanti.

Oggi i Verdi sono dati dai sondaggi intorno al 15 per cento, dieci punti sotto la Cdu e a dodici dalla Spd. Il partito sarà comunque decisivo nelle lunghe trattative del post voto e attualmente rientra in ogni possibile ipotesi di coalizione, ad eccezione della riedizione della grande coalizione a guida socialdemocratica, che però dalle ultime uscite di Scholz sembra una prospettiva improbabile. Certo, governare in coalizione è tutt’altra cosa che vincere.  

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