Balneari e assegno unico sono i due fronti su cui l’Unione europea intima all’Italia di adeguare la normativa nazionale al diritto dell’Ue. Due richiami formali della Commissione: il primo è un parere motivato sul dossier delle concessioni balneari, un passo avanti nella procedura di infrazione contro l'Italia per il mancato adeguamento alla direttiva Bolkenstein. All’Italia viene chiesto nuovamente di conformarsi al diritto comunitario e viene sollecitata a dire cosa intende fare a tal fine entro due mesi. Dopodiché la Commissione può decidere di rivolgersi alla Corte di giustizia dell'Unione europea.

La Commissione esprime anche un parere sull'esito del Tavolo tecnico sui Balneari diffusi dal governo a ottobre, secondo cui la quota di aree occupate dalle concessioni equivale al 33% delle aree disponibili. Una percentuale che per il governo e per le associazioni dei balneari rappresenta la dimostrazione che la risorsa non è “scarsa” e che quindi le spiagge non ricadono sotto l’obbligo di mettere a gara le concessioni previsto dalla direttiva Bolkestein. Per l’Ue quel risultato «non riflette una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di concessione balneare» e «non tiene conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale».

Il 33% occupato?

«In primo luogo, tale percentuale del 33% è calcolata rispetto al totale dell'area demaniale, solo al netto di aree militari e secretate. Pertanto, il calcolo di tale percentuale non sembra assumere come base di riferimento le aree demaniali effettivamente ed attualmente "disponibili" in capo ai comuni per i servizi di concessione balneare», si legge nella lettera. «In particolare - prosegue la Commissione - il documento chiarisce che sono state incluse anche le aree di costa di minore accessibilità per condizioni naturali ("potendo" essere interessate — anche se teoricamente — da investimenti di riqualificazione tali da renderle attrattive per lo sviluppo di nuove attività economiche). Si afferma altresì che il totale delle aree disponibili non deve riguardare unicamente le parti sabbiose, ma è da includersi anche la parte di costa rocciosa, poiché su quest'ultima è possibile installare strutture turistico-ricreative. Inoltre, in alcuni casi, opere a difesa della costa sono state concretamente utilizzate a fini turistico-ricreativi. Pertanto, tutte le parti della costa rocciosa sono state considerate "aree disponibili", presupponendo la loro generale idoneità ad essere soggette a concessioni balneari solo perché "è possibile" installare strutture turistico-ricreative e perché "in alcuni casi" opere a difesa della costa sono state utilizzate per attività turistiche».

Inoltre «si indica che il totale delle aviosuperfici, il totale dei porti con funzioni commerciali, il totale delle aree industriali relative ad impianti petroliferi, industriali e di produzione di energia, le aree marine protette e parchi nazionali (aree che, a quanto risulta alla Commissione, non sono e non saranno soggette a concessioni balneari) non sono stati esclusi dal totale di riferimento delle "aree disponibili", ma sono stati inclusi nel calcolo che ha portato al suddetto 33%», si legge nel documento.

Insomma, osserva il commissario Ue al Mercato Interno Thierry Breton che «la percentuale del 33% sembra riferirsi a una valutazione globale compiuta solo a livello nazionale, in quanto non vi è alcuna indicazione del fatto che il "Tavolo tecnico" abbia preso in considerazione le situazioni specifiche delle regioni nonché le situazioni di singoli comuni (in particolare quelli più turistici) in cui tutte le possibili aree sfruttabili commercialmente potrebbero già essere oggetto di concessioni». 

La procedura venne aperta nel 2020 con una lettera di costituzione in mora. Bruxelles ritiene che le autorizzazioni, il cui numero è limitato per via della scarsità delle risorse naturali (ad esempio le spiagge), devono essere rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. Nel 2016 la Corte di giustizia dell'Unione europea aveva stabilito che la normativa pertinente e la pratica esistente a quel tempo in Italia di prorogare automaticamente le autorizzazioni vigenti delle concessioni balneari erano incompatibili con il diritto dell'Unione.

Assegno unico

La Commissione europea prende di mira anche la normativa sull’assegno unico. «Nel marzo 2022, l'Italia ha introdotto un nuovo assegno familiare per i figli a carico: solo le persone che risiedono da almeno due anni in Italia possono ricevere questa prestazione, e solo se vivono nella stessa famiglia dei loro figli». Secondo la Commissione, questa normativa viola il diritto dell'Ue in quanto non tratta i cittadini dell'Unione in modo equo, il che si configura come una discriminazione. Inoltre, spiega ancora un comunicato di Bruxelles, il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come l'assegno familiare. «Il presente parere motivato fa seguito a una lettera di costituzione in mora inviata all'Italia nel febbraio 2023 a cui l'Italia ha risposto nel giugno 2023. La Commissione ritiene che la risposta non affronti in modo soddisfacente le sue preoccupazioni e ha deciso di inviare un parere motivato», continua la nota. L'Italia anche in questo caso ha due mesi per rispondere e adottare le misure necessarie. In caso contrario, la Commissione può deferire il caso alla Corte di giustizia dell'Unione europea.

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