Con Bart De Wewer nuovo premier belga, per la prima volta un fiamminghista (un nazionalista fiammingo) moderato è, al vertice del paese sostenuto da una coalizione multicolore: oltre alla N-Va fiamminghista, ci sono i centristi delle due comunità linguistiche (CD&V e Engagés), i liberali francofoni (MR) e i socialisti fiamminghi.

La chiamano coalizione Arizona dai colori della bandiera dello stato americano, ma la sua composizione eterogenea non è una novità per un paese con sette assemblee elettive e un sistema intrecciato molto complesso, tra regioni e comunità linguistiche. Fuori restano i fiamminghisti secessionisti del Vlaams Belang, molto polemici con il neopremier, e ovviamente i socialisti francofoni, la bestia nera di De Wewer.

Il neopremier ha 53 anni ed è un tipo singolare: latinista, ama l’impero romano e la sua storia. Dopo l’ultima vittoria (N-Va è primo partito con il 16,7%) è entrato nella sala dei festeggiamenti preceduto dal figlio che portava su un’asta l’aquila romana dorata.

Dagli esordi “leghisti” a oggi

All'inizio della sua carriera politica c’è un mantra: opporsi a tutto ciò che è francofono. Il suo maggior argomento: le Fiandre trasferiscono troppi denari ai conti federali – tra i 10 e i 15 miliardi di euro annui – che vanno quasi tutti a finire in Vallonia, sprecati in politiche sociali (e socialiste) dissennate. I più corrotti? I socialisti valloni alla Di Rupo che buttano via i soldi fiamminghi in un tripudio di sussidi.

Una politica di stampo leghista diremmo noi, condita con accenni da impero romano. Infatti a De Wever non piace essere associato agli olandesi e ci tiene a dire che le Fiandre furono dentro il Limes romano, non fuori con i barbari. Diventato sindaco di Anversa dal 2013, dalla capitale fiamminga ha continuato a bombardare Bruxelles senza però mai forzare sui tempi. Diceva che la separazione del Belgio sarebbe avvenuta come un frutto maturo che cade da sé.

Oggi ha definitivamente abbandonato (come la lega italiana d’altronde) i propositi di secessione. Alla sua “destra” c’è il Vlaams Belang, un partito francamente secessionista che è diventato il suo vero nemico interno alle Fiandre. Dal 2014, quando l'N-Va volle entrare nel governo federale, De Wever ha ammorbidito la sua immagine di separatista intransigente. Ai francofoni disse sornione: «Non temete, abbiamo le migliori intenzioni nei vostri confronti. Le nostre proposte non hanno lo scopo di complicarvi la vita». Durante la campagna per le elezioni legislative di giugno, ha affermato di voler influenzare il dibattito in Vallonia con l’intenzione di fare un’alleanza.

I secessionisti duri del Belang sono insorti ma la popolarità di De Wever ha continuato a crescere: alla fin fine pare che gli elettori fiamminghi si siano convinti che conviene gestire tutto il Belgio invece che avventurarsi in una complicata strada tipo Brexit.

Anche De Wewer ha capito che i sogni di indipendenza per le Fiandre erano chimerici e forse pericolosi per le finanze fiamminghe, anche se tuttora invoca un paese ucfficialmente bilingue: i valloni non hanno mai appreso il fiammingo, salvo pochi commis d’état. In tutto questo Bruxelles è diventata una città anglofona per la presenza pervasiva delle istituzioni dell’Ue.

Ad aiutare De Wever è un grande senso dell'umorismo (anche se un po’ diminuito dopo una terribile dieta: pesava oltre 140 chili). Assieme al gusto per la storia, un po’ di humour gli servirà nei meandri della politica brussellese, così complicata da risultare ostica per i non iniziati.

Il Belgio può restare per mesi e anni senza governo o con un’amministrazione per gli affari correnti senza subire conseguenze. L’ironia è che ciò non viene considerato instabilità mentre i numerosi premier italiani invece sì. Chissà perché: non siamo forse tutti dentro lo stesso Limes?

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