L’attivista di NousToutes: «Pelicot è la vittima. È lo stupratore che deve vergognarsi»

Gisèle Pelicot nel processo di appello ha chiesto direttamente a uno degli uomini condannati per averla stuprata: «In quale momento pensa che io vi abbia dato il consenso? Mai». Per nove anni, l’ex marito Dominique Pelicot l’ha drogata con un farmaco e l’ha fatta stuprare da uomini reclutati online. A quasi un anno dalla sentenza di condanna di 51 uomini, la donna ha ribadito: «L’unica vittima sono io! Lei non è affatto una vittima del signor Pelicot». Nell’aula del tribunale di Nîmes si è celebrato il processo di secondo grado a carico di Husamettin Dogan. La corte giovedì ha confermato la condanna, aumentandola da nove a dieci anni. «Il fatto che solo uno degli imputati abbia deciso di non ritirare il ricorso è significativo, vuol dire che gli altri hanno accettato la sentenza che li ha riconosciuti colpevoli di stupro», dice Emmanuelle Handschuh, avvocata civilista e attivista del collettivo femminista NousToutes. Quanto hanno inciso nel dibattito pubblico queste sentenze? I media ne hanno parlato moltissimo, in Francia e all’estero. Ha permesso di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla cultura dello stupro e sul fatto che gli uomini stuprano anche perché il sistema lo permette. Sono scelte individuali, ma il contesto favorisce l’impunità. Che linguaggio è stato utilizzato in secondo grado? Le domande dei giudici ruotavano attorno al concetto di consenso. È interessante, perché da tempo chiediamo una modifica della definizione di stupro nel codice penale, perché venga definito come un atto di penetrazione di natura sessuale senza consenso. Oggi non è ancora così. La discussione si è concentrata sulla consapevolezza degli imputati che lei fosse addormentata. Ma i video dimostrano che non c’era alcun dubbio. In primo grado la difesa non voleva proiettare le immagini, mentre la vittima aveva detto: «È importante che le persone vedano». E questa volta il presidente del tribunale ha mostrato all’apertura dell’udienza un centinaio di foto e una quindicina di video. Questo ha permesso di capire chiaramente che la vittima era immobile, inerte, e lui lo sapeva. Da Gisèle Pelicot al gruppo “Mia moglie”. Non sono le vittime a doversi vergognare C’è stato il tentativo da parte della difesa dell’imputato di screditare Gisèle Pelicot? Critichiamo da anni il fatto che, durante le indagini e i processi, le vittime subiscano nuovi traumi, per le domande che mettono in discussione il loro comportamento o insinuano la responsabilità nello stupro subito. Quando diciamo che «la vergogna deve cambiare campo», intendiamo proprio questo: il colpevole è lo stupratore, e chi deve vergognarsi è lui, non la vittima. Gli avvocati della difesa volevano interrogare la donna, ma il presidente ha rifiutato, per evitare che subisse un secondo trauma in udienza. I giudici dunque contrastano la vittimizzazione secondaria? È una cosa nuova in Francia, emersa anche nel processo a Gérard Depardieu. Gli avvocati dell’attore si sono comportati in modo oltraggioso nei confronti delle vittime. E oltre alla condanna per i fatti, il tribunale ha riconosciuto un risarcimento per la vittimizzazione secondaria, cioè per il danno subito durante il processo stesso a causa del comportamento della difesa. Questo approccio sta cominciando a diffondersi in altri tribunali. Nel caso Pelicot è accaduto durante l’udienza: il presidente ha deciso di non prendere in considerazione elementi che riguardavano le presunte “abitudini sessuali” della vittima. È un passo avanti. La Francia è stata più volte condannata dalla Cedu per i processi in materia di violenza sessuale. I deputati dovrebbero portare questi temi nel dibattito parlamentare. A che punto è la discussione sul consenso in parlamento? Da tempo c’è una proposta di legge per ridefinire lo stupro nel codice penale, introducendo esplicitamente la nozione di “consenso”. La legge è stata votata dall’Assemblea nazionale e dal Senato, ora deve tornare in commissione e la situazione politica l’ha bloccata. Speriamo che questo cambiamento, che noi femministe chiediamo da tempo, avvenga. È importante che venga approvata, anche sul piano educativo: dobbiamo spiegare ai giovani cosa significa esprimere un rifiuto e in quali condizioni possiamo dire sì. Il governo investe nelle misure a contrasto della violenza? La situazione è allarmante. Molte associazioni chiudono perché non ricevono più fondi pubblici. Purtroppo, si tratta di scelte politiche: mentre le associazioni vedono i finanziamenti ridursi, il bilancio del ministero della Difesa aumenta. Le priorità sono altrove.