Cos’è la conferenza sul futuro dell’Europa di cui pochi parlano ma che sta per avere una definitiva accelerazione? Chi ne ha sottolineato di più la rilevanza è stato Enrico Letta, ancor prima di prendere le redini del Pd: l’idea è di rilanciare il dibattito su cosa debba essere l’Europa domani. Sono anni che approfondimento e allargamento sono entrambi fermi, a dimostrazione che non era vero che il blocco del secondo avrebbe favorito il primo. Da più parti si sentiva l’esigenza di dare un nuovo impulso. L’idea è sorta inizialmente nel 2019 per volere di Emmanuel Macron, senza suscitare nessun entusiasmo e in particolare provocando l’assordante silenzio da parte della Germania. Per il presidente francese sarebbe un modo di riprendere il dibattito lasciato incompiuto dopo il fallimento della Convenzione sul futuro dell’Europa del 2002-2003. Com’è noto il prodotto finale di tale tentativo fu respinto dai referendum olandese e francese del 2005. Da quel momento c’è stata una stasi di idee e di progetto oltre che di visione, culminata nel fallimento nel 2019 del tentativo di eleggere il presidente della Commissione mediante gli Spitzenkandidaten (i candidati dei gruppi politici presenti in parlamento) che invece risultò da un accordo riservato tra governi. Il braccio di ferro tra Europa comunitaria e intergovernativa stava andando a favore della seconda.

La forza dell’inerzia

Dal momento che la conferenza dovrà avere una sua presidenza, un board ecc. assomigliando alla convenzione di vent’anni fa, molti la ritengono un inutile carrozzone che duplica le cariche. Anche tra i fautori di una ripresa del processo di integrazione europeo, come ad esempio i Verdi europei, non c’è la convinzione che lo strumento della conferenza sia quello gusto. Tant’è: ormai il parlamento l’ha fatta propria e il 10 marzo scorso il presidente David Sassoli ha firmato assieme a Ursula von der Leyen e alla presidenza di turno portoghese del consiglio una dichiarazione di avvio dei lavori. Come spesso in Europa, se non si forma un blocco politico formale, l’inerzia eurocratica della macchina di Bruxelles va avanti da sola. Non si tratta di una cattiva notizia: spesso ciò ha reso possibile salti in avanti che la politica degli stati membri non aveva espressamente deciso. Sarà lo stesso con la conferenza?

Progetto dal basso

Per il gruppo parlamentare dei socialisti e democratici la più grande qualità dell’evento sarà la sua realizzazione dal basso: un grande dibattito tra i cittadini e non solo tra gli esperti. Ma tale tipicità rischia un effetto boomerang: tra crisi economica, polemica sull’austerità, scontro sui migranti e divisioni in politica estera, in questi ultimi anni l’opinione pubblica europea è divenuta molto meno favorevole all’Europa. Il grande dibattito lanciato dalla conferenza potrebbe ottenere un effetto contrario, con l’emersione di un forte malcontento.

L’aspetto più delicato riguarda la possibilità di riformare i trattati in senso comunitario: ormai molti paesi sono contrari allo stesso modo con il quale si escludono nuove adesioni. Ma è proprio la Commissione – con l’appoggio del parlamento – a sperare (o scommettere) che un impulso dal basso possa superare alcuni blocchi.

Il conflitto interno

La conferenza si svolgerà con una pluralità di eventi e panel su tutto il territorio dell’Unione, utilizzando una speciale piattaforma digitale multilingue. Sulla base di ciò che diranno i cittadini sarà poi stilata una lista di raccomandazioni. Un board di nove membri, presieduto da tre personalità, dovrà supervisionare il processo decidendo per consenso (sinonimo di unanimità) assistito da un segretariato. Una volta ogni sei mesi si terrà una plenaria per un processo che dovrebbe iniziare il 9 maggio prossimo (giornata dell’Europa) e terminare in primavera 2022.

Per ora il conflitto tra parlamento e consiglio resta in filigrana, esprimendosi nella difficoltà a mettersi d’accordo sui nomi del board e sulla questione delle modifiche istituzionali. Sarà possibile, ad esempio, che sulla sanità non si parli di nuove competenze comunitarie in tempi di pandemia?

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