Il governo Draghi ha provato ad annacquare il pacchetto verde di Bruxelles in un momento cruciale, la scelta dell’Europarlamento su Fit for 55. Lo ha fatto tentando di influenzare il voto degli eurodeputati italiani. Prima è arrivata una mail con la linea di palazzo Chigi. Perché correre verso lo stop totale alle auto inquinanti a benzina, diesel e gpl entro il 2035? Meglio un’alternativa. Ma a quanto pare le schede dettagliate spedite in allegato non devono essere state ritenute sufficientemente indicative, visto che a poche ore dal voto è arrivata una nuova mail, stavolta asciutta: una lista di numeri, con gli emendamenti in linea con il governo, e un’altra lista, con quelli non in linea. A questo scenario si aggiungono pressioni non scritte che numerosi eurodeputati testimoniano e confermano, sul tema delle auto in particolare.

Chi ha un ruolo di opposizione è disposto anche a dichiararlo pubblicamente: «Su Fit for 55 c’è stata una fortissima pressione, sia del settore industriale, quello automobilistico ad esempio, ma anche del nostro governo», dice Eleonora Evi dei Verdi. «Finché la rappresentanza del governo a Bruxelles manda una mail, è raro, ma quando va oltre, e manda pure indicazioni sugli emendamenti, per me è un segno di fibrillazione e un caso inedito».

Il contesto politico

Il ruolo del governo si intreccia con quel che succede in Europa. L’8 giugno l’Europarlamento si trova a votare sui dossier chiave di Fit for 55, spicchio importante del Green Deal dell’agenda von der Leyen. Il voto serve a raggiungere una posizione comune degli eurodeputati, da sottoporre poi a negoziati (“trilogo”) con la Commissione e con gli stessi governi in Consiglio.

L’aula si divide, con i popolari che assieme alla destra estrema provano a indebolire o differire nel tempo le azioni europee, e un fronte progressista composto da socialdemocratici, verdi e sinistra che invece rivendica interventi incisivi. Questo blocco, con l’appoggio dei liberali, riesce a far passare lo stop totale dal 2035 alla vendita di auto inquinanti a benzina, diesel e gpl, nonostante la battaglia dei popolari per limitarsi al 90 per cento. Sul mercato delle emissioni invece lo scontro è tale che si arriva allo stallo politico: proprio ieri, la “maggioranza Ursula” – popolari, liberali e socialdemocratici – ha trovato un compromesso anche sui capitoli in sospeso, che questo mese tornano quindi in plenaria.

L’ambiguità del governo

L’8 giugno, mentre il dossier auto passava nell’emiciclo europeo, il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani esprimeva pubblicamente il suo supporto alla posizione dei popolari: stop entro il 2035 solo al 90 per cento. Un endorsement alla linea conservatrice delle destre, a dispetto di quella della Commissione europea e del fronte progressista. Anche il leghista Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, che in teoria conoscendo da tempo le linee del Green Deal dovrebbe pensare la politica industriale di conseguenza, la scorsa settimana ha definito pubblicamente «un grave errore» il voto Ue.

Eppure già alla fine del 2021, in uno degli incontri del Comitato interministeriale della transizione ecologica (Cite), che riunisce attorno allo stesso tavolo Cingolani, Giancarlo Giorgetti (sviluppo economico) e Enrico Giovannini (mobilità sostenibile), il “Cite” decideva «che il phase out delle automobili nuove con motore a combustione interna dovrà avvenire entro il 2035». Cosa che peraltro Giovannini prova invano a ricordare quando infuria la polemica, la scorsa settimana: «Come Italia crediamo che il 2035 sia una data ragionevole per lo stop, il Cite si era espresso favorevolmente già lo scorso 10 dicembre, attendevamo solo la decisione della Commissione Ue». Qual è quindi la posizione italiana? Per fugare ogni dubbio la si può ritrovare nelle email fatte avere dalla stessa rappresentanza del governo in Ue agli eurodeputati italiani.

Il 3 giugno agli eurodeputati italiani arriva una mail: gli esperti della rappresentanza si mettono a disposizione per approfondimenti, e intanto inviano “schede tecniche di approfondimento” sui provvedimenti di Fit for 55 in vista del voto. Dentro queste schede si trova la linea politica del governo. L’esecutivo Draghi ad esempio valuta una riduzione di quote gratuite di emissioni a ritmi diversi da quelli proposti dalla Commissione (proprio come chiede la destra europea e non). Sempre dalle missive della rappresentanza, viene fatto presente agli eurodeputati che sui veicoli a combustione si può contemplare un’alternativa allo stop entro il 2035, ad esempio il target al 90 per cento: è la posizione dei popolari, e di Cingolani.

Le indicazioni di Chigi

Ma lo sforzo esplicativo del governo agli eurodeputati arriva anche a ridosso del voto, e non si riduce a una sola mail. C’è una seconda lettera con un altro allegato, ma soprattutto c’è una terza mail che arriva nelle caselle degli europarlamentari la sera del sei giugno. Non bastano le schede. Nel rispetto delle prerogative del parlamento, e per pura informazione, chiarisce il governo, che infiocchetta con queste premesse una lunga lista di numeri. Sono gli emendamenti che gli eurodeputati stanno per discutere e votare, e il dossier è quello sugli standard di emissioni dei veicoli. Nero su bianco, ci sono due stringhe di numeri: da una parte, la lista degli emendamenti che «risultano in linea con gli orientamenti del governo riportati nelle schede», e dall’altra, quelli che «non ci risultano in linea». In linea, ci sono anche gli emendamenti delle destre per boicottare lo stop totale entro il 2035.

La rappresentanza, che segue i negoziati per il governo in sede di Consiglio Ue, è l’emanazione di ciò che viene concertato a palazzo Chigi, al quale spetta la sintesi delle posizioni dei ministri che seguono i dossier, con l’aiuto del dipartimento degli affari europei.

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