Il 17 giugno 2017, durante la manifestazione del gay pride di Lisbona, è salita sul palco anche l’attivista drag Paula Lovely, alias artistico di Paolo Gorgoni. Nel reggiseno aveva un foglietto per un breve discorso che aveva preparato, ma che non era ancora sicura di pronunciare. Poi ha guardato le migliaia di persone davanti a lei e ha capito che si trattava di un’occasione unica, da non perdere.

«Oggi è il giorno in cui voglio rivelare, sotto la luce implacabile di Lisbona, lo stigma e la discriminazione che le persone che convivono con HIV subiscono in Portogallo», ha detto rivolgendosi alla folla. Concluso il discorso, ha poi cantato Listen di Beyoncè.

«Ovviamente, ci siamo messi tutti a piangere», ricorda. Quell’episodio ha dato una svolta alla sua vita di artista e di attivista, e ha posto le basi anche per una collaborazione con l’amministrazione cittadina per diventare rappresentante della comunità dei sieropositivi di Lisbona. 

«Fino a quel momento in Portogallo non c’era una sola faccia associabile all’HIV che avesse meno di 60 anni. Quindi dopo il mio coming out ho iniziato a ricevere molta attenzione mediatica, radio, tv, giornali...sono diventata la persona con HIV disposta a parlarne», racconta.

Nel 2019 l’organizzazione del pride ha eletto Paula Lovely come madrina. «La lotta all’HIV oggi non è la stessa di 15 anni fa. La medicina ha fatto passi enormi, ora dobbiamo occuparci anche della sua dimensione sociale e culturale, dello stigma» spiega. «Io ho l’HIV, ma non ho una malattia. Prendo le mie medicine tutti i giorni e sto benone. Convivo con un’infezione».

Nato a Brindisi nel 1986, Paolo Gorgoni ha scoperto di essere sieropositivo a 23 anni, quando studiava lingue e letterature straniere a Bologna. «Appena l'ho saputo mi sono reso conto che si trattava di una bomba, che non potevo tenere dentro». Lo stesso gli era successo da adolescente, quando a 15 anni ha detto ai genitori di essere omosessuale.

«Fare coming out comporta dei rischi e delle conseguenze, ma ha anche dei vantaggi. Io per esempio ho avuto anni per elaborare la cosa con la mia famiglia, e questo mi ha aiutato ad avere una vita affettiva serena prima di quanto riescano a fare molti ragazzi gay cresciuti come me al sud. Con l’HIV è stata la stessa cosa», spiega. 

L’associazione

A Bologna ha quindi fondato insieme a un gruppo di attivisti sieropositivi l’associazione PLUS, che offre assistenza e sostegno a coloro che temono di aver contratto il virus o che si trovano ad affrontarlo. Il centro è stato fondato da uomini che fanno sesso con uomini, e si rivolge quindi soprattutto a questa categoria, ma è aperto a tutti.

«In proporzione siamo la fascia più coinvolta, ma è importante sfatare lo stereotipo che l’HIV riguarda solo noi», sottolinea Gorgoni. Lo dimostrano anche i dati raccolti dal ministero della Salute, secondo i quali il 2019 è stato il primo anno in cui il numero dei nuovi casi di HIV diagnosticati tra gli eterosessuali è risultato pari a quello associabile a rapporti sessuali tra uomini. Fino ad allora la maggioranza riguardava rapporti eterosessuali. 

Per capire come svolgere al meglio il suo impegno sociale e politico con PLUS, Gorgoni si è unito a un programma di formazione europeo dell’European Aids Treatment Group, dove ha conosciuto uno dei responsabili del CheckpointLX, un centro pionieristico aperto a Lisbona nel 2011, presso il quale è possibile richiedere il test per l’HIV in forma anonima e gratuita, oltre che ricevere appoggio e informazioni per il trattamento.

Gorgoni ha così trascorso un periodo nella capitale portoghese per capire come funzionasse, e nel 2015, insieme agli attivisti di PLUS, ha inaugurato il primo checkpoint d’Italia a Bologna. Lo scorso anno ne è stato poi aperto anche uno a Milano, attraverso una collaborazione tra varie associazioni e il comune. 

«Dopo l’inaugurazione sono tornato a Lisbona e da lì non mi sono più mosso», racconta Gorgoni. Nel primo periodo ha cercato in molti modi di trovare un lavoro nella rete di associazioni locali per continuare il suo impegno da attivista, ma non è stato facile. «Il fatto di essere straniero, uno che da un giorno all’altro poteva anche ripartire, non giocava a mio favore», spiega.

Così ha deciso di iniziare quello che definisce «un percorso solitario» e ha dato vita al personaggio di Paula Lovely.

Un personaggio politico

«In un primo momento era per me un modo di non pensare alla sieropositività, era il mio svago», racconta. «Poi un amico mi ha fatto notare come attraverso quel personaggio avrei potuto portare avanti il mio impegno politico. Insomma ho capito che dovevo continuare con l’attivismo anche facendo la cretina sui tacchi».

Gorgoni diventa così quella che definisce una “dragtivist”, creando una rete di attivisti intorno a un piccolo locale dello storico quartiere di Alfama, il Favela, ora chiuso, dove si esibivano vari artisti della scena LGTBQ di Lisbona, tra cui un ormai noto duo di fadisti queer, i Fado Bicha. 

«La comunità LGTBQ di Lisbona è molto politicizzata e agguerrita, ma anche piuttosto piccola», spiega Gorgoni. Il fatto che per quanto riguarda i diritti civili il Portogallo si collochi tra i paesi più progressisti d’Europa – nonostante fino al 1985 l’omosessualità fosse criminalizzata – ha in qualche modo anche contenuto la crescita del movimento.

«Qui manca l’urgenza di gridare che invece alla comunità LGTBQ italiana, con una storia molto più lunga e travagliata, non manca di certo», spiega. In ogni caso, a livello di mentalità, anche il Portogallo non è al passo con la sua politica. E a dimostrarlo sono anche tutti gli stereotipi legati alla percezione del virus che ancora impediscono di fermarne la diffusione.

«Abbattere lo stigma deve essere una priorità se si vuole fermare la diffusione. Troppe persone ancora non fanno il test per paura di scoprire di avere il virus, o se lo scoprono non chiedono le cure per paura di esporsi», spiega. 

In realtà, sottolinea Gorgoni, quello che ancora non è stato assimilato dall’opinione pubblica è che la terapia antiretrovirale seguita con regolarità ha il potere di ridurre la carica virale al punto da renderla irrilevabile, fino ad annullare la trasmissibilità del virus.

«Paradossalmente è più sicuro avere rapporti sessuali con una persona affetta da HIV che si cura, piuttosto che con una che ha avuto il risultato negativo per un test effettuato di recente», chiarisce. Le ricerche mediche che hanno portato a queste conclusioni sono state confermate e accolte ufficialmente dalla comunità scientifica solo nel 2018, con vari studi pubblicati anche dalla rivista americana Lancet, ma i primi risultati significativi risalgono a più di 10 anni fa.

«Il primo a parlarne è stato Pietro Vernazza, in un testo conosciuto come lo Swiss Statement», racconta Gorgoni. «Solo che quando è uscito gli hanno dato tutti contro, dandogli dell’irresponsabile. A noi tuttavia la vita è cambiata già da allora».

Poiché «il nostro riscatto di essere dei corpi sani non lo ha mai raccontato nessuno», Gorgoni ha lanciato una serie di progetti e iniziative che da Lisbona si stanno estendendo anche in altri paesi. Tra i vari progetti che sostiene, c’è bodyXpositive, ideato e realizzato da una fotografa, anche lei italiana a Lisbona – Fidelia Avanzato alias Ida Fiele.

L’idea è di realizzare una serie di ritratti di persone sieropositive in contesti naturali per loro significativi. «Continuiamo ad essere descritti come vittime, combattenti, poveracci, ma in questo modo abbiamo occasione di mostrare la forza e bellezza dei nostri corpi, con la loro storia», spiega Gorgoni. 
Inoltre per la giornata mondiale per la lotta all’AIDS di oggi è previsto un flash mob nelle piazze di Lisbona, Bologna, Roma e Londra, a cui prenderanno parte persone sieropositive che si sono decise a fare coming out.

«Non dormo da giorni per l’emozione», ammette Gorgoni, che a Lisbona si ritroverà alle 12 nella bianca e pittoresca Praça do Comércio per srotolare insieme agli altri attivisti una fascia di 60 metri di tessuto rosso su cui siederanno indossando una mascherina con la scritta HIVisbile, ovvero il nome dell’iniziativa.

L’azione si ripeterà a Bologna e Roma e anche a Londra, ma in quest’ultima città sarà il 3 dicembre, in occasione di una più ampia manifestazione, in collaborazione con Conigli Bianchi, attivisti contro la sierofobia. «È importante prenderci il nostro spazio, soprattutto adesso che la pandemia ha spostato tutte le priorità», conclude Gorgoni. 

© Riproduzione riservata