Fino a ieri mattina sembrava praticamente impossibile. Per una questione politica e in parte anche per i tempi che, in vista dell’appuntamento elettorale di giugno, stavano diventando stretti e un nuovo parlamento europeo forse avrebbe rimesso tutte le carte in gioco. Lunedì mattina però i ministri del lavoro dei 27 stati membri europei hanno scavalcato lo scoglio che da anni separava i lavoratori della gig economy da tutele e diritti sul lavoro. E che di fatto lasciava agire le piattaforme del settore in una zona grigia senza regole ben precise.

La direttiva si farà, basandosi sull’accordo provvisorio negoziato dalla presidenza belga con il parlamento europeo lo scorso febbraio. Quindici stati membri, ovvero il 65 per cento della popolazione del Vecchio continente, hanno sostenuto un testo che ora obbliga tutti gli altri a trovare una quadra per la regolazione del settore.

A mantenere la stessa posizione, e dunque a non sostenere la direttiva, sono state Francia e Germania, lasciate solo dalle traballanti Grecia ed Estonia. Non succede spesso che l’Unione europea decida senza la benedizione dei due stati più influenti. Che cosa sia cambiato rispetto a meno di un mese fa non è così chiaro, visto che il testo della direttiva è lo stesso, ma l’inversione a U ha sorpreso anche il vice primo ministro belga e il ministro dell’economia e dell’occupazione del paese.

Le preoccupazioni greche intanto sono ancora valide, dice il ministro greco del lavoro Domna Michailidou: nello specifico la direttiva è in contraddizione con alcune leggi nazionali sul lavoro di piattaforma che prevedono una contrattazione salariale anche per i lavoratori autonomi. Il ministro ha affermato però di sostenere la direttiva anche per una questione di solidarietà nei confronti del lavoro di mediazione svolto negli ultimi anni.

Anche le preoccupazioni francesi rimangono comunque nell’aria: l’Estonia, che le ha appoggiate fino a prima del voto di lunedì, non vorrebbe che la direttiva limitasse indebitamente l’utilizzo di sistemi in intelligenza artificiale per i processi decisionali automatizzati (con i quali le piattaforme possono organizzare il lavoro), e che una legge comune possa rendere il mercato del lavoro sempre più simile nonostante ci siano differenze sostanziali tra gli stati membri.

L’eurodeputata francese Leïla Chaibi, del movimento politico di sinistra radicale Insoumise, ha puntato di nuovo il dito contro il presidente francese Emmanuel Macron sostenendo che il percorso politico intrapreso per la direttiva non ha lasciato «che Uber governasse l’Europa». «Con questa direttiva milioni di falsi lavoratori autonomi in tutta Europa saranno riclassificati come dipendenti» ha aggiunto.

I dati

Non ci sono stime precise ma sembra che i lavoratori di piattaforma europei, che comprendono i rider ma anche professionisti come psicologi, creativi e colf, siano più di 30 milioni e che la stragrande maggioranza abbia una posizione lavorativa freelance.

Secondo la Commissione europea sarebbero attualmente 5,5 milioni i lavoratori che potrebbero essere riclassificati come dipendenti, ottenendo l’accesso a diritti in materia di salario, ferie, assicurazione sanitaria, disoccupazione. La stima è probabilmente al ribasso però, anche perché non è raro che chi si sostiene con il lavoro di piattaforma sfugga a conteggi canonici per via di condizioni di illegalità di vario genere. Sarà comunque in capo alle multinazionali dimostrare coi fatti che non sono lavoratori subordinati.

L’amministratore delegato di Just Eat, Jitse Groen, ha dichiarato su X che l’azienda “sostiene pienamente questo miglioramento dei diritti dei lavoratori della piattaforma e una parità di condizioni in tutta Europa”.

«Il parlamento europeo era orientato verso un testo più protettivo, mentre gli Stati membri volevano indebolire lo strumento» dice a Domani Valerio De Stefano, professore di Legge e società alla York university di Toronto. «Si tratta comunque di un passo avanti significativo», continua, ponendo particolare accento al capitolo relativo al management per gli algoritmi: «I lavoratori avranno molto più diritto di sapere come funzionano gli algoritmi che le piattaforme usano per assumerli, controllarli o dirigerli. Avranno anche diritto di contestare le decisioni prese dalle aziende con questi algoritmi, insieme ai propri rappresentanti sindacali».

Dello stesso parere è anche Antonio Aloisi, professore associato di Diritto del lavoro europeo comparato alla university Law School di Madrid, per cui la direttiva introduce «un capitolo sulla gestione algoritmica della forza lavoro che è un caso unico di intervento regolativo sulla tecnologia nei posti di lavoro». Un passo avanti decisamente «moderno e concreto», che secondo Aloisi potrebbe fare da apripista per altri luoghi di lavoro.

La ratifica ufficiale del parlamento europeo ora è solo una formalità. La direttiva europea che introduce tutele e trasparenza nel lavoro di piattaforma è sempre più reale.

© Riproduzione riservata