«Alcune mattine nella stazione di Gare du Nord si potevano trovare cinquanta persone che si iniettavano droghe direttamente sul suolo, in condizioni deplorevoli e sotto lo sguardo di tutti. Oggi questa cosa non c’è più, è scomparsa quasi del tutto».

Jamel Lazic riassume così l’efficacia della “stanza del consumo” di Parigi, un luogo in cui le persone con tossicodipendenze possono consumare droghe in sicurezza, sotto la supervisione di personale specializzato. In questo modo si cercano di evitare overdose, infezioni e altre complicazioni che possono insorgere più facilmente quando si consuma per strada. Lazic è il capo servizio dell'area dipendenze dell'associazione Gaïa, che gestisce la struttura, e lavora da una quindicina d’anni nel campo della riduzione del danno (un insieme di strategie che mira alla diminuzione delle conseguenze negative del consumo di sostanze).

In tutta la Francia ci sono solo due stanze del consumo: una a Parigi e una a Strasburgo. Fanno parte di un progetto sperimentale, nato nel 2016 e dalla durata limitata. Dopo essere stato rinnovato già una volta nel 2022, l’esperimento si sarebbe dovuto concludere a fine 2025. Con ogni probabilità, però, il progetto sarà prolungato per altri due anni.

L’8 novembre l’Assemblea Nazionale (l’equivalente francese della Camera dei deputati) ha approvato un emendamento alla legge di finanziamento della sicurezza sociale – una sorta di legge di bilancio che riguarda solo le spese della previdenza sociale – che permetterebbe alle stanze del consumo di proseguire le proprie attività fino alla fine del 2027. La conferma definitiva arriverà con l’approvazione della legge, che in questo momento è al centro dei dibattiti parlamentari francesi.

«Risultati positivi»

Jamel Lazic con i volontari dell'associazione Gaïa
Jamel Lazic con i volontari dell'associazione Gaïa
Jamel Lazic con i volontari dell'associazione Gaïa

Alla stanza del consumo di Parigi si accede da uno stretto cancello di metallo grigio scuro, a un angolo del grande complesso di palazzi che compongono l’ospedale Lariboisière, nel decimo arrondissement. Si trova accanto alla Gare du Nord, una delle principali stazioni di Parigi, e confina con la zona della Goutte d’Or, che fa parte dei quartieri “prioritari” – cioè ad alto rischio di esclusione sociale – individuati dall’amministrazione cittadina. «Abbiamo 350 ingressi quotidiani», racconta Lazic. «La maggior parte delle persone viene tutti i giorni o anche più volte al giorno. Abbiamo circa 800 persone diverse all'anno. Siamo aperti sette giorni su sette, dalle 9:30 alle 20:30».

Il servizio di accoglienza proposto dalla sala è anonimo e gratuito. «Una persona che vuole venire nei nostri locali deve registrarsi. Può scegliere uno pseudonimo e una data di nascita. Poi si fa un colloquio: ricostruiamo il suo percorso di consumo, la sua situazione sociale e di salute», spiega. «All'ingresso valutiamo se il loro stato è compatibile con ciò che vogliono consumare. Qualcuno troppo stanco, troppo sedato, troppo alcolizzato cerchiamo di farlo desistere, perché l'obiettivo è evitare che ci siano overdose». Nella struttura, oltre al personale sanitario operano anche altre figure, come i servizi sociali, che possono aiutare i consumatori a trovare un alloggio.

I risultati dell’esperimento sono positivi. «Una valutazione dell'Inserm (l'istituto nazionale francese per la ricerca sulla medicina, ndr) nel 2021 ha mostrato una diminuzione delle overdose, un miglior accesso alle cure e soprattutto minori costi per il sistema sanitario, in particolare grazie a un minor numero di passaggi al pronto soccorso», sottolinea Lazic.

La situazione in Italia

Si tratta di un modello molto sviluppato in alcuni Paesi europei. In Germania ci sono 34 sale di consumo. In Spagna, 15 solo nella città di Barcellona. In Italia invece questi luoghi non esistono, come spiegano Pino Di Pino, presidente della rete Italiana riduzione del danno (Itardd), e Emanuele Perrone, psicologo e membro del direttivo della stessa realtà.

«C’era la “stanzetta di Collegno”, vicino Torino. Era la cosa più simile a una stanza del consumo in Italia, ma è stata chiusa poco dopo la pandemia», dice Di Pino. «Per il resto ci sono i drop-in (luoghi in cui le persone con tossicodipendenze possono riposarsi e accedere a servizi di cura, ndr), le unità di strada e gli infopoint», sottolinea. Questi servizi non sono però omogenei sul territorio nazionale. «Alcune regioni hanno servizi nelle Asl, altre sono quasi del tutto scoperte, con una rarefazione da nord a sud».

Il governo si è ripetutamente espresso negativamente su questo tipo di interventi. «Nella prefazione della relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia del 2024, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Alfredo Mantovano ha definito gli interventi di riduzione del danno come “rinunciatari”», sottolinea Di Pino. «Secondo noi l’approccio del governo è fallimentare perché riduce tutto al problema della dipendenza individuale e ignora gli elementi strutturali, economici, sociali e geopolitici. Non si affronta davvero la questione nel suo complesso», insiste Perrone.

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