Le elezioni in Estonia si sono concluse con una chiara vittoria della premier uscente Kaja Kallas e del suo partito riformista. Il partito ha ottenuto 37 seggi su 101 al parlamento di Tallinn, tre in più delle ultime elezioni nel 2019. La prima ministra stessa è stata rieletta con un record di preferenze, raccogliendo oltre 31mila preferenze nella sua circoscrizione, un numero mai visto dall’indipendenza del paese nel 1991 a oggi. 

La partecipazione al voto ha superato il 63 per cento degli aventi diritto ed è stata favorita dalla possibilità del voto online, di cui hanno fatto uso più della metà delle persone che hanno espresso la propria preferenza. 

Premiata la linea di Kallas

Kallas si è distinta fin dall’inizio del conflitto tra Ucraina e Russia con una linea netta a favore del sostegno di Kiev. Nel corso dell’anno, l’Estonia ha devoluto l’un per cento del proprio Pil in aiuti militari all’Ucraina e ha accolto 60mila rifugiati. Una politica non scontata in un paese che condivide un confine lungo 300 chilometri con la Russia e la cui popolazione di 1,2 milioni di abitanti è composta per un quarto da persone di origine russa. La guerra ha riaperto anche dibattiti interni, come quello sull’opportunità di introdurre l’insegnamento in lingua russa nelle scuole estoni e il rapporto con la storia del paese. 

Kallas governava alla guida di una coalizione formata dal partito riformista, dai socialdemocratici e dal partito conservatore Isamaa. Non è detto però che il nuovo governo di Kallas manterrà la stessa composizione visto che entrambi i partiti hanno peggiorato la propria performance. 

Alle spalle del partito riformista si sono piazzate due formazioni di opposizione, il partito di estrema destra Ekre, che ha ottenuto 17 seggi, e il partito di centro, caratterizzato da una linea di sinistra, che sarà rappresentato al Riigikoku da 16 parlamentari. Il principale avversario di Kallas erano proprio gli estremisti di Ekre, che vogliono limitare il protagonismo di Tallinn nel conflitto ucraino e attribuiscono alla premier uscente la responsabilità dell’alto tasso d’inflazione nel paese. 

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