Buongiorno Europa! Eccoci alla quinta edizione dello European Focus!

Sono Alicia Alamillos, la caporedattrice di questa settimana, e scrivo da Madrid.

Sì, dobbiamo parlare di armi, di nuovo. In Spagna chi cerca di andare a fondo sulla questione delle armi fornite finora all’Ucraina va a sbattere contro un muro di silenzio. Ma quello delle armi è un punto chiave in ogni nuova fase della guerra che la Russia sta conducendo in Ucraina.
Il capitolo più recente si è aperto con il terrore portato dagli economici droni iraniani nei cieli ucraini. Questi nuovi suoni di guerra hanno portato l’Europa a realizzare sempre più rapidamente che quelle che finora sono state inviolabili “linee rosse” - come l’idea di dotare l’Ucraina di sistemi di difesa aerei più efficaci - ormai non reggono più. Ma con l’inverno in arrivo, e la guerra ormai al suo ottavo mese, è facile ritrovarsi invischiati in crescenti problemi di finanziamento e produzione.

La convinzione che inviare più armi all’Ucraina possa abbreviare la guerra può sembrare paradossale, ma è certo che ridurre le forniture costringerebbe Kiev in una posizione inaccettabile.
Per alcuni paesi tutto ciò è chiarissimo, per altri l’incentivo a sviluppare il proprio apparato industriale militare gioca un suo ruolo. Altri ancora usano come armi le loro narrazioni, che sono così stridenti, che a stento riusciamo a credere alle nostre orecchie.
Alicia Alamillos, caporedattrice di questa settimana


Ogni rumore sembra un pericolo ormai

(Foto Babel)

“Esplosioni violentissime scuotevano le pareti di casa mia. È stato come a febbraio. Solo che questa volta i russi ci hanno attaccato con uno sciame di droni iraniani. Si sentivano le mitragliatrici in città: il nostro esercito le usa per abbattere i droni. Ma a differenza che in febbraio, non mi sentivo paralizzata. Solo più arrabbiata. E sono diventata più cauta. Ho cominciato a prestare attenzione a tutti i suoni intorno a me. Motorini, motociclette, tagliaerba: ogni rumore sembra un pericolo ormai. A volte mi sveglio di notte e mi pare di sentire un’esplosione, o un drone in volo, quando in realtà c’è silenzio. E una guerra che continua”.

KIEV - Quando i primi droni hanno colpito Kiev, Oksana Kovalenko, 42 anni, ha condiviso in tempo reale su una chat di Telegram quello che vedeva e sentiva. Per questo numero di European Focus le ho chiesto di raccontarmi come si è sentita allora e come si sente adesso.
Anton Semyzhenko è caporedattore della sezione in lingua inglese di babel.ua


Se per la pace servono armi

(Un carrarmato polacco T-72 a Drawsko, una delle più vaste zone di addestramento militare in Polonia, utilizzata anche da paesi membri della Nato. Dal 24 febbraio 2022 la Polonia ha fornito all’Ucraina più di 200 carri T-72. Foto: Cezary Aszkielowicz, Agencja Gazeta)

VARSAVIA – L’ultima fase della strategia del terrore di Mosca in Ucraina ci rivela un fatto: che la Russia è impotente. Ma ci dice anche che questo è il momento giusto per rafforzare ulteriormente l’apparato militare di Kiev. I russi non sono in grado di mantenere i territori occupati, per non parlare di conquistarne di nuovi. Gli ucraini fanno progressi e stanno pian piano liberando il paese grazie alle armi fornite dall’occidente.
Ma i paesi che hanno inviato il grosso delle armi fino a questo momento stanno lentamente esaurendo le scorte. È un momento pericoloso per l’Unione europea, ma è necessario che l’Europa si impegni ancora di più, invece di ridimensionare le forniture belliche.
In Polonia, la convinzione che rimanere al fianco dell’Ucraina voglia dire difendersi dall’aggressività russa è stata fatta propria tanto dal governo quanto dall’intera opposizione fin dagli inizi del conflitto.

Fino a questo momento Varsavia ha donato armamenti per un valore complessivo di 1,7 miliardi di dollari. La Polonia ha dato così tante armi all’Ucraina che ora è in difficoltà con le proprie scorte. È per questo che è impegnata a ordinare rapidamente carrarmati, aerei e armi pesanti dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud, senza badare a spese.
La Polonia pensa che il resto d’Europa non si stia dando abbastanza da fare. Secondo Varsavia, il pacchetto di aiuti militari da 3,1 miliardi di euro recentemente approvato dall’Ue non è sufficiente. L’equipaggiamento già fornito dai polacchi vale più della metà di questa cifra e non varrà a compensare il suo esborso (oltre al fatto che ci sono altri 26 paesi dell’Unione europea che aspettano di essere rimborsati). È ora che altri paesi europei partecipino più attivamente alla difesa dell’Ucraina. È impossibile ottenere il ritiro della Russia se non con una vittoria militare. Paradossalmente, è questo l’unico modo di impedire che altre migliaia di persone muoiano vittime di Vladimir Putin.
Michał Kokot fa parte della redazione esteri di Gazeta Wyborcza


La rivoluzione ungherese come arma

(“Russi, andate via!”, si legge su un manifesto alla manifestazione del 23 ottobre a Budapest. Il riferimento è a un famoso slogan della rivoluzione del 1956. Foto: HVG)

BUDAPEST – Decine di migliaia di insegnanti e studenti, amanti della libertà, si sono radunati a Budapest lo scorso weekend, in occasione del 66esimo anniversario della rivoluzione del 1956, per protestare contro il governo, chiedere stipendi più alti e una riforma dell’istruzione. Molti erano lì anche per esprimere la propria indignazione nei confronti dello sfruttamento della memoria della rivoluzione da parte del regime di Orbán. Perché?
Perché, con un clamoroso voltafaccia, il primo ministro oggi sostiene che gli ungheresi del 1956, migliaia dei quali hanno perso la vita, in realtà non combattevano per la libertà o la democrazia, ma per ottenere un cessate il fuoco e negoziati di pace condotti sopra le loro teste dai due blocchi blocco occidentale e orientale. E questo è quello che vuole anche per l’Ucraina. Che gli ucraini non siano d’accordo non gli importa.
A metà ottobre, a Berlino, Orbán ha affermato che la guerra potrà concludersi soltanto attraverso un negoziato fra Stati Uniti e Russia. Perché si siedano al tavolo delle trattative al più presto, i belligeranti vanno costretti, ha spiegato il premier ungherese. Uno dei problemi principali, secondo il suo punto di vista, è il fatto che arrivino al fronte enormi quantità di armi dall’occidente. Non fa alcuna menzione delle armi che vengono da est. Spera anche che gli americani voltino le spalle a Kiev. Dunque, per Orbán non sono i russi che devono essere costretti, ma il paese aggredito. Nella lotta fra due sistemi politici, Orbán sta dalla parte dell’autocrazia. Nel frattempo, una campagna governativa in questo periodo dipinge le sanzioni contro la Russia come bombe lanciate sull’Ungheria.
La memoria della rivoluzione richiama la lotta dell’Ucraina dei nostri giorni. Come nel 1956, i carrarmati russi hanno nuovamente invaso un paese che si batte per la libertà e la democrazia. A differenza del nostro primo ministro, la cui carriera è iniziata nel 1989 con l’opposizione all’impero sovietico, molti ungheresi non hanno dimenticato tutto questo.
Márton Gergely è il caporedattore di HVG


Il numero della settimana: zero

BERLINO – La scorsa settimana, 24 deputati dei verdi e del partito liberale Fdp, entrambi al governo, hanno pubblicato un appello perché la Germania si impegni maggiormente nella riorganizzazione europea della fornitura di armi all’Ucraina.

Tuttavia, neanche un membro del partito socialdemocratico, l’Spd del cancelliere Olaf Scholz, ha firmato l’appello, nonostante il giorno prima lo stesso presidente del partito, Lars Klingbeil, avesse riconosciuto con una franchezza finora mai vista gli errori di valutazione pluridecennali dei socialdemocratici tedeschi nei confronti della Russia.

Ancora oggi il partito fatica ad accettare la sua stessa Zeitenwende, la svolta storica nella politica estera e della difesa annunciata da Scholz il 27 Febbraio.

Teresa Roelcke è una giornalista di Tagesspiegel


Aiutare Kiev… e l’industra bellica francese

(Una batteria di missili antiaerei Crotale su una nave da guerra francese nel corso di una missione nel Mediterraneo il 26 ottobre 2020. Foto: Thomas Coex, Afp)

PARIGI - Quando droni kamikaze si sono schiantati su alcune città ucraine, l’Europa occidentale ha aperto gli occhi su una nuova realtà: l’Ucraina ha bisogno di un efficace scudo antiaereo per proteggere il suo popolo da questi attacchi terroristici. Parigi, criticata per lo scarso supporto militare a Kiev, ha promesso di aiutare.
Il 12 ottobre Emmanuel Macron ha annunciato l’invio di «radar, sistemi di difesa antiaerei e missili per proteggere gli ucraini dagli attacchi, specialmente attacchi con droni». Dopo aver preso confidenza con gli obici semoventi Caesar, i soldati ucraini ora dovranno imparare a usare i Crotale, batterie di missili antiaerei di fabbricazione francese.
Parigi si è impegnata a fornirli all’Ucraina entro due mesi. Il numero esatto non è stato specificato, ma non saranno molti: lo stesso esercito francese dispone soltanto di dodici Crotale. Anche se saranno utili in questa guerra, secondo l’esperto militare Vincent Tourret avranno un impatto estremamente limitato nella battaglia coi droni. «I Crotale in realtà sono progettati per abbattere aerei o missili. È più probabile che vengano impiegati per colpire gli elicotteri russi Sukhoi o per intercettare missili cruise nella fase terminale del volo. Non sarebbe economicamente vantaggioso usarli contro i droni. I Gepard tedeschi, che hanno una gittata di soli quattro chilometri, sarebbero più efficaci».
Aiutando l’Ucraina, la Francia punta anche a sostenere la propria industria bellica. Parigi ha istituito un fondo da 100 milioni di euro, «dal quale gli ucraini possono attingere per acquistare quello che vogliono, purché il fornitore sia francese», ha detto il ministro della Difesa Sébastien Lecornu.
Sembra che Kiev abbia cominciato a utilizzare il fondo per acquistare pontoni motorizzati per consentire l’attraversamento dei fiumi.Tuttavia, si tratta di una soluzione con un grave limite: i tempi di fabbricazione. Scegliere il prodotto pare facile, ma produrlo è cosa lunghissima. In media, ci vuole un anno dall’ordine alla consegna di un pezzo di artiglieria da 155 millimetri.
Nelly Didelot fa parte della redazione esteri di Libération


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Simone Caffari)

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