La flotta fantasma schierata dalla Russia nel Baltico sbarca a Strasburgo. A tenere banco durante la sessione plenaria del parlamento europeo infatti, è stato il tema del sabotaggio messo in atto dalla cosiddetta shadow fleet di Mosca a danno di infrastrutture strategiche davanti alle coste del nord Europa.

Lo scorso 25 dicembre le autorità finlandesi avevano segnalato il danneggiamento al cavo sottomarino Estlink2, adducendo come presunto responsabile la petroliera Eagle S appartenente alla “flotta ombra” russa: navi attive in acque europee, dietro la cui proprietà c’è la Russia che le usa per aggirare le sanzioni e i limiti imposti al prezzo del petrolio, con un guadagno stimato in oltre 12 milioni di euro.

«Assistiamo a un aumento preoccupante delle attività ibride da parte della Russia nel tentativo di mettere in difficoltà la nostra democrazia: strumentalizzazione dei migranti, interferenze sulle telecomunicazioni, attacchi fisici e disinformazione». Intervenendo in aula a nome del Consiglio dell’Unione europea, il ministro polacco per gli Affari europei, Adam Szłapka, ha sottolineato come i cavi sottomarini danneggiati ricoprano un’importanza strategica anche per lo scambio di dati, al punto che «distruggerli mette a rischio la nostra sicurezza e i nostri interessi economici».

Il dibattito 

Già lo scorso dicembre l’Unione europea aveva messo nel mirino le navi fantasma inserendole nel 15esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. «Il Consiglio ha esteso il divieto di ingresso in porto ad altre 52 imbarcazioni, per un totale di 71 navi», ha affermato Szłapka.

A Strasburgo ha parlato anche la vicepresidente della Commissione europea, Henna Virkkunen: «Il sabotaggio e i danni ai cavi sottomarini potrebbero avere forti ripercussioni per le regioni del Nord anche in termini ambientali».

La Commissaria ha evidenziando poi la vulnerabilità di questi apparati infrastrutturali ritenuti centrali nella sicurezza dell’intera Unione europea, contro la quale operano «una serie di attori senza scrupoli che mettono alla prova le nostre istituzioni, e contro i quali bisogna intensificare gli sforzi sia in termini comunitari quanto a livello di Stati membri». Ciò che manca, secondo Virkunnen, è una «governance comune a livello europeo rispetto alle tecnologie dell’infrastruttura sottomarina», obiettivo per il quale potrebbe configurarsi una collaborazione strategica con la Nato.

Dai banchi del parlamento spazio poi agli interventi dei vari gruppi. «Quanto successo bel Baltico non è stato un incidente: Putin vuole farci sapere che è capace di mettere a dura prova le nostre vulnerabilità», è la voce che si leva dai banchi del Ppe. Concentrati sui rischi per la sicurezza e l’ambiente invece i deputati S&D, secondo cui l’attenzione verso Nord dev’essere massima dal momento che «quasi la metà dell’export russo passa per le acque del Baltico».

Tra le fila dei Patrioti è il danese Anders Vistisen a sottolineare la gravità della situazione, criticando la riduzione delle armi in dotazione alla flotta marittima della Danimarca e richiamando l’unità dell’Europa «negli interessi degli armatori» del suo paese. «Agire adesso per arginare la guerra ibrida della Russia prima che sia troppo tardi per il nostro ecosistema» gridano invece i rappresentanti del gruppo The Left, tra cui lo svedese Jonas Sjöstedt.

Il ruolo del Regno Unito  

Verso la fine dello scorso anno anche il Regno Unito aveva snocciolato i numeri delle proprie attività di contrasto a queste navi fantasma coinvolte nel trasporto energetico: oltre 100 le imbarcazioni sanzionate, fra cui 93 petroliere in grado di muovere ciascuna fino a quattro milioni di barili di oro nero.

Nel frattempo, sempre da Londra è arrivata una risposta innovativa per limitare l’azione di queste navi in acque comunitarie: a quasi cinque anni esatti dalla Brexit, il Regno Unito ha avviato infatti un sofisticato sistema di sorveglianza marittima che sfrutta le potenzialità dell’intelligenza artificiale in termini di data matching per calcolare i rischi legati all’ingresso di imbarcazioni potenzialmente pericolose in determinate aree di interesse strategico.

Nordic Warden, questo il nome dell’operazione lanciata nei giorni scorsi, punta dunque a un monitoraggio costante e in tempo reale delle attività nel mar Baltico, segnalando tempestivamente quelle ritenute sospette alla rete Nato e alla Joint Expeditionary Force. Si tratta, quest’ultima, della partnership militare che lega Londra a Paesi Bassi, Stati baltici, Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca, compresa anche la Groenlandia recentemente finita sotto i riflettori a causa delle mire espansionistiche del neo presidente americano Donald Trump.

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