Google dovrà pagare 2,4 miliardi di euro per aver abusato della sua posizione dominante, dando un vantaggio illegale al suo servizio di comparazione degli acquisti, Google Shopping. La decisione è stata presa dal Tribunale dell’Unione europea, che ha rigettato il ricorso della società di Mountain View contro l’ammenda inflitta dalla Commissione Ue.

La sanzione contro il colosso americano era stata comminata nel 2017, diventando la più alta multa decisa dall’Antitrust comunitario. Secondo Bruxelles, che aveva condotto un’indagine approfondita lunga sette anni, il motore di ricerca aveva privilegiato il proprio servizio di comparazione degli acquisti a scapito dei rivali.

Il caso

La sentenza conferma che Google favorisce sistematicamente il suo servizio di shopping nei risultati del motore di ricerca, il cui dominio supera il 90 per cento del mercato nella maggior parte dei paesi europei. Google Shopping appare regolarmente in cima ai risultati, una pratica che ha schiacciato i servizi di shopping rivali: la Commissione ha rilevato che il servizio rivale con il punteggio più alto appare solo a pagina quattro dei risultati di ricerca di Google.

Di qui l’ammenda per 2,4 miliardi di euro, annunciata nel 2017 dalla commissaria europea per la Concorrenza, Margrethe Vestager, per cui «condannare i servizi rivali all’oscurità quasi assoluta viola le regole di concorrenza dell’Ue e distorce il mercato interno». La sanzione è stata calcolata in base alle entrate ottenute da Google dal 2008 al 2017 nei tredici paesi interessati dalla pratica sleale, tra cui Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna.

La sentenza

Google ha reagito alle accuse sostenendo che il suo servizio avrebbe aumentato la scelta per i consumatori. Le udienze per l’impugnazione davanti al Tribunale si sono svolte nel febbraio 2020, fino alla sentenza di mercoledì, con cui i giudici hanno concordato con l’argomentazione della Commissione, escludendo «qualsiasi giustificazione oggettiva per la condotta di Google».

In una nota, il Tribunale dell’Ue afferma che «le pratiche dell’azienda hanno avuto effetti anticoncorrenziali» e respinge gli argomenti di Google, secondo cui le modifiche agli algoritmi erano progettate per migliorare la qualità delle ricerche. Per i giudici, «Google non ha dimostrato guadagni di efficienza legati a quella pratica che ne contrasterebbero gli effetti negativi sulla concorrenza».

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