Quando è costretta a rispondere a chi la incalza su una futura alleanza con Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen – la presidente della Commissione europea in cerca di un secondo mandato – va ormai oltre le dichiarazioni di compatibilità, che lei argomenta sostenendo che Meloni è «europeista», che è pro Ucraina, e che lo stato di diritto in Italia regge. Da volto di punta del Ppe per il voto di giugno, von der Leyen fa di più: mostra persino di considerare Fratelli d’Italia alla stregua di un partito membro dei Popolari europei, la sua famiglia politica.

I dibattiti tra candidati alla presidenza della Commissione – i cosiddetti spitzenkandidaten – sono una cartina tornasole del grado di apertura che la presidente è pronta a esibire nei confronti dell’estrema destra. E se già nel primo confronto, tenutosi a Maastricht, aveva aperto alle forze conservatrici, questo giovedì durante la sfida in eurovisione da Bruxelles si è spinta molto più in là sia su Meloni – intesa come assimilabile nel Ppe - che su quali siano le formazioni da lasciare fuori. A furia di tagliare e di spostare il cordone sanitario, ormai fuori ne restano sempre meno: nella Polonia degli alleati di Meloni, von der Leyen tiene fuori solo Konfederacja che è una formazione fascista. E poi si limita a citare il Rassemblement National e i postnazisti di Alternative für Deutschland.

Meloni come partner

«Sono pronta a formare una maggioranza, per la tenuta del centro», ha esordito von der Leyen. Al che la moderatrice del dibattito, Annelies Beck, l’ha incalzata: «Meloni e Fratelli d’Italia rispondono ai criteri di europeismo, antiputinismo e rispetto dello stato di diritto che lei dice di essersi data come bussola?».

Anzitutto von der Leyen si è compiaciuta dei buoni rapporti con la premier: «Ho lavorato molto bene con lei in Consiglio europeo». Poi ha detto che «Meloni si è espressa chiaramente nel sostegno a Kiev e contro Putin». Ma è in particolare sugli altri due punti che von der Leyen è apparsa pronta a chiudere gli occhi su ogni deriva meloniana. «A proposito di europeismo, Meloni è clearly pro European»: con le lenti di Von der Leyen, la premier italiana è «evidentemente europeista».

«E poi, pro stato di diritto». Le lenti della presidente appaiono particolarmente offuscate se si combinano queste dichiarazioni con le allerte che svariate organizzazioni stanno mandando proprio a Bruxelles. Oltre a quelle che si occupano di libertà dei media, persino una della quale il suo Ppe fa parte – lo European Movement International – si è rivolta in questi giorni alla Commissione europea chiedendo di indagare sulle mosse antidemocratiche del governo.

Neppure quando la moderatrice l’ha stuzzicata sugli attacchi di Meloni ai diritti lgbt, von der Leyen ha esibito perplessità sulla cooperazione; se l’è cavata dicendo che «io ho un approccio completamente diverso».

Maggioranza melonizzata

Quindi von der Leyen, che nel precedente dibattito si era già detta pronta a discutere con le forze di Ecr, si prepara a una maggioranza coi Conservatori? «Non dico ciò», ha risposto lei questo giovedì: «Io parlo di membri dell’Europarlamento. Non parlo di gruppi, ma di parlamentari che andranno in differenti gruppi. Voglio vedere in che gruppi vanno. Gli assetti non sono ancora chiari».

Questa frase sibillina contiene due messaggi: il primo è rivolto agli elettori, ed è fatto per far digerire l’estrema destra un pezzettino alla volta. L’altro è rivolto a Fratelli d’Italia: nasconde l’ambizione del Ppe di assimilare i meloniani, invece che lasciar loro il ruolo egemone a destra.

Nel frattempo durante il dibattito gli altri competitor Nicolas Schmit (Socialisti), Sandro Gozi (Renew), Terry Reintke (Verdi) e Walter Baier (sinistra) erano presi a dire no a Meloni. Von der Leyen ignora i suoi attuali partner di coalizione socialisti e liberali? La sua risposta è che la maggioranza non si vede subito, ma sui vari dossier. Insomma una melonizzazione passo dopo passo.

© Riproduzione riservata