In Francia un presidente intellettuale è una consuetudine che non sorprende. Anche se nel resto d’Europa pare una peculiarità originale, ogni inquilino dell’Eliseo si circonda volentieri di letterati, umanisti, filosofi ed eruditi delle più varie discipline. Sembra un vezzo ma i francesi ci tengono: i re sapienti, l’enciclopedismo, la soddisfazione del pensare e il gusto della formula ben detta, hanno sempre contraddistinto il potere lungo la Senna. Tuttavia un presidente filosofo come Emmanuel Macron non se l’aspettava nessuno. Per l’attuale leader la filosofia non è un di più ma l’essenza stessa della politica: “che la riflessione continui” è il mantra ripetuto ai suoi interlocutori con sguardo magnetico. Macron da giovane fu l’ultimo assistente del filosofo Paul Ricoeur, aiutandolo a redigere la sua summa “Memoria, storia, oblio”, ma in fondo questo spiega poco.

L’Europa al centro

Come i suoi predecessori, Macron ama gli intellettuali, ma lo è interamente anche lui: le sfide della politica nazionale e multilaterale sono affrontate innanzi tutto dal punto di vista del pensiero. La crisi multidimensionale del 2020 (Covid-19, terrorismo, diseguaglianze e declino economico) rappresenta un banco di prova stimolante anche perché «ha un impatto antropologico –sostiene il presidente in una serie di lunghissime interviste di fine d’anno- che trasforma il nostro immaginario e scardina le nostre rappresentazioni del mondo».

Macron non si fida più delle vecchie certezze francesi (nazionalismo, nucleare, potere di veto all’Onu, zona d’influenza privilegiata, lingua): spinge piuttosto sulla ricerca di nuove forme di cooperazione internazionale e sul concetto a lui caro di Europa-protezione. Quest’ultima è un suo pallino: è il primo leader transalpino a sostenere con chiarezza che senza Europa anche la Francia è perduta. Secondo lui, l’Europa non dissolve la voce degli stati ma è l’unico modo per imporre i comuni valori umanisti e democratici contro il duopolio sino-americano.

La lotta per un universalismo europeo

Macron sottolinea che l’ordine internazionale sorto nel 1945 è ormai in crisi: una crisi di efficacia (vedi l’Onu ingessata) ma soprattutto la crisi dell’universalità dei valori. Al loro posto vede sorgere un relativismo dei principi mediante il tentativo di ri-culturizzarli, cioè di alterarli nel contesto delle differenze tra civiltà (leggi: scontri), contrapponendoli alla dimensione religiosa. Tutte traiettorie che frammentano l’universalità dei valori e la Francia, patria dell’universalità, non può che opporsi. Da qui Macron fa discendere la sua posizione aggressiva contro la Turchia ,ma anche la divergenza dalle politiche di Trump o Putin, senza omettere di rimarcare la solitudine in cui viene lasciato in tale battaglia dai suoi partner europei. Crede che il pragmatismo degli alleati Ue abbia il fiato corto e che non avvertano il pericolo di una svolta che definisce antropologica. L’unico universalismo valido è quello europeo, basato sulla dignità della persona umana e dell’individuo libero e ragionevole.

Da qui discende la libertà “di scioccare gli altri” come invocato nel caso di Samuel Paty, l’insegnante ucciso nei pressi di Parigi per aver mostrato le vignette del profeta dell’islam. «La nostra globalizzazione –sostiene Macron- si basa su questo elemento: niente è più importante della vita umana». Contravvenire a ciò o negoziarlo rappresenta un’incrinatura grave le cui conseguenze portano all’affermazione del potere della maggioranza, un frutto del neo-conservatorismo crescente e anti-sessantottino come sostiene.

Un modello in cerca di battaglie

Monta nel mondo l’ambigua ricerca di una forma di verità dei popoli essenzializzata ed escludente, presentata come un mero effetto della maturità della democrazia. Come a dire: le democrazia mature divengono sovraniste recuperando la nozione di identità. Secondo Macron, il 1989 è divenuto uno spartiacque: le generazioni nate dopo non hanno condiviso la lotta anti-totalitaria delle precedenti, e si sono accomodate nella finzione della fine della storia, credendo che il futuro non potesse che essere democratico. Occorre invece combattere ogni giorno –è sua convinzione- per difendere la democrazia e i diritti che non sono mai scontati. Qui si disegna l’attuale crisi morale dell’Europa: tutte le lotte storiche furono compiute contro il totalitarismo mentre oggi non ci si interroga abbastanza su quali siano le nuove battaglie da combattere.

«Mai scusarsi per le proprie libertà»

Seppur il presidente francese non teme di riconoscere (a differenza dei suoi predecessori) le radici giudaico-cristiane dell’Europa, mette in rilievo che il continente ha saputo anche costruire la coesistenza tra religioni e la secolarizzazione della politica. Si tratta di due importanti conquiste che hanno reso possibile il riconoscimento del primato dell’individuo libero e razionale. Su questo il resto del mondo sta facendo passi indietro. Ecco perché «l’Europa non deve scusarsi per le libertà che permette. Non cambieremo i nostri diritti perché scioccano qualcuno altrove». Il rispetto non deve mai andare a scapito della libertà di espressione né si può accettare l’equivalenza tra ciò che è scioccante e la morte di un uomo.

Superare il Washington Consensus

Consapevole che su tali questioni le opinioni sono diverse, Macron insiste sul fatto che la lotta della nuova generazione di leader europei sarà quella in difesa delle libertà. Egli individua nel fallimento delle primavere arabe l’ultima fase della “rivincita di Dio”, il ritorno del religioso nella politica. Per tali ragioni ha proposto un nuovo Consenso di Parigi da contrapporre a quello di Washington alo fine di ribadire i valori e i principi senza i quali non si ha vera democrazia. Il vecchio Washington Consensus mostra oggi i suoi limiti. Libertà del mercato, diminuzione del ruolo delle Stato, privatizzazioni, apertura delle economie, finanziarizzazione, logica del profitto: tutto questo ha favorito la crescita ma non ha difeso la democrazia, anzi l’ha indebolita. Il risultato è stato il modello degli Stati liberisti e autoritari.

I problemi della globalizzazione

La globalizzazione senza regole che approfondisce le diseguaglianze è un altro tema scelto da Macron per esercitare la forza del pensiero: le classi medie e una parte di quelle popolari –egli sostiene- sono divenute la variabile di aggiustamento del caos economico. Ma se la gente vede che non c’è progresso, inizia a dubitare della democrazia. Per questo sono avvenuti fenomeni come la Brexit o l’elezione di Donald Trump. Le conseguenze indicano il punto di rottura del capitalismo contemporaneo: troppo concentrato e finanziarizzato, esso non consente più ai governi di gestire le diseguaglianze sia a livello nazionale che globale.

Va dunque ripensato ma tale esercizio non si può fare in un paese solo, né affrontare con la tassazione. Il cambiamento climatico spinge tutti ad un’ulteriore riflessione suggerendo al capitalismo la direzione da prendere per riformarsi. Macron stigmatizza la fine della gerarchia delle fonti del sapere provocata dai social media, malgrado siano uno strumento straordinario di diffusione delle notizie. Il loro abuso provoca la contestazione di ogni autorità, incluse quelle che strutturano la vita democratica dei popoli. Ancora una volta ciò sconvolge antropologicamente le vite delle persone e mette democrazia in pericolo. Ultimo elemento di frattura contemporanea è il cambiamento demografico. Davanti a tutto ciò Macron auspica «un lavoro di idee», un impegno ideologico urgente: pensare assieme e dare un nome ad un nuovo concetto di sovranità europea basato sulla difesa comune e sull’autonomia tecnologica e strategica. Gli europei hanno “dimenticato di pensare” appaltando la loro sicurezza alla Nato che, come aveva già dichiarato, «è in stato di morte cerebrale».

Più Europa per colmare il vuoto americano

Più Europa quindi: completare l’euro, creare lo spazio sociale comune e mantenere il controllo sui big data europei e sul 5G, senza cederli né alle piattaforme cinesi né alle aziende Usa. Gli accordi di quest’estate in cui è iniziato un embrione di debito e bilancio comuni non dipendono per Macron soltanto dall’esigenza di solidarietà a causa del Covid-19 ma soprattutto da una decisa spinta in avanti verso l’integrazione in ogni caso necessaria. Tale sovranità distingue gli europei dagli alleati americani: come loro hanno a cuore le libertà e i diritti ma differiscono sull’attaccamento al concetto di uguaglianza, così come divergono sulla cultura a cui in Europa si da molta più considerazione. Il vicinato con Medio Oriente, Africa e Mediterraneo o Russia, può stimolare interessi diversi dagli Usa: di conseguenza la politica estera europea non deve dipendere da quella americana.

Ben sapendo cosa pensano gli altri stati membri dell’Unione su tale delicato aspetto, Macron specifica che “non si tratta di un capriccio francese” e porta come prova la crisi del covid, quando gli europei hanno dovuto ripensare con urgenza la loro sovranità in termini di salute e di industria sanitaria. Sovranità europea messa a repentaglio da una crisi di responsabilità dei leader che provoca un crollo di efficacia delle nostre democrazie. Così molti cittadini iniziano a pensare che è la democrazia stessa a non funzionare.

Una crisi da risolvere con il pensiero

Occorre tener conto che non si tratta solo di una carenza delle élite: secondo Macron ogni cittadino vive lo sfasamento quotidiano non riuscendo più a conciliare lavoro, mobilità, ambiente e consumo. Riceve messaggi contraddittori: combattere il climate change e allo stesso tempo consumare; difendere il lavoro e ridurre i ritmi …e così via. Davanti alle incompatibili esigenze dell’ambiente, del lavoro e del consumo, i cittadini si confondono e si arrabbiano. Torna il tema del cambiamento antropologico e la necessità di un lavoro intellettuale basato sulla difesa della sovranità democratica e popolare che, secondo Macron, è minacciata dalla politica dei fatti compiuti usata da sovranisti e regimi autoritari. È il senso del suo messaggio rivolto ai partner europei: il pensiero salverà l’Europa.

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