Che cosa è una revolving door? Per porta girevole si intende un movimento dal settore pubblico a quello privato, e viceversa; e si sottintende il rischio di contaminazione tra i due ambiti, quello della decisione politica e quello dell’interesse di un’azienda. A questa domanda possiamo rispondere tutti. Poi ci sono dieci domande che la stampa britannica sta rivolgendo all’ex premier conservatore, David Cameron, e che invece rimangono ancora senza risposta. Riguardano proprio il suo ruolo di lobbista per Greensill Capital, ma anche i canali privilegiati che aveva concesso al finanziere Greensill quando era al governo, e in sintesi le interferenze tra canali pubblici e interessi privati. L’argomento è particolarmente scottante ora che la compagnia finanziaria in questione ha subito un tracollo, con conseguenze dirette e indirette per molte persone tra le quali migliaia di dipendenti di un’azienda siderurgica che rischiano il lavoro. L’attuale governo conservatore prova a schivare l’idea di una piena indagine pubblica sull’ex premier, ma al puzzle dello scandalo intanto si aggiungono nuovi pezzi. Ad esempio, la connessione tra l’ex premier e il finanziere Greensill conduce fino in Arabia Saudita, con Cameron in tenda assieme al principe Bin Salman qualche tempo dopo l’omicidio di Kashoggi.

Il protagonista

David Cameron governa il Regno Unito dal 2010 al 2016. È ricordato soprattutto per due ragioni. La prima è la sua politica di austerity, i cui segni si vedono tuttora e che tuttora fa discutere; ad esempio Barack Obama nel suo ultimo libro di memorie del 2020 collega «l’ortodossia del libero mercato a cui Cameron aveva totalmente abdicato» alla recessione che ne è seguita nel Regno Unito. La seconda ragione è il referendum su Brexit, che fu Cameron a promettere, pur sostenendo lui il no all’uscita dall’Ue, e che - avendo il no perso - lo costrinse poi alle dimissioni. «Non mi pento di aver convocato quel referendum», disse comunque tre anni dopo. Finito il mandato, Cameron tradisce gli argomenti che aveva usato nella sua stessa campagna elettorale, quando criticava «la segreta attività lobbistica delle grandi aziende», da lui additata come motivo di sfiducia degli inglesi nella politica. E infila un incarico dietro l’altro. Nel 2019 lo troviamo ad Afiniti, l’unicorno fondato da Zia Chishti, ex Morgan Stanley e McKinsey, che punta sull’intelligenza artificiale per il marketing. E che assolda una sfilza di ex politici: l’ex premier londinese viene assoldato per il portfolio di contatti, nel board c’è pure François Fillon, ex primo ministro francese uscito di scena dopo il “Penelopegate” (fu accusato di versare soldi pubblici a moglie e figli). Quando arriva Cameron, in Afiniti gli Aznar hanno già camera doppia: José Maria, ex presidente di Spagna, è manager; Alonso, il figlio, segue gli affari in penisola iberica e Messico.

Il caso Greensill

La storia di Cameron si intreccia con quella di Lex Greensill. Chi è? Un finanziere di 44 anni, nato in Australia da una famiglia di latifondisti agricoli (una produzione di canna da zucchero, meloni, patate, arachidi che dà lavoro a mezza Bundaberg) e che passa presto alla carriera in Morgan Stanley e Citygroup. Nel 2011 a Londra lancia il suo progetto, Greensill Capital, che si dedica alla cosiddetta supply chain finance, cioè a finanziare la catena produttiva. Funziona così: le aziende preferiscono ritardare i pagamenti ai fornitori, i fornitori preferiscono essere pagati al più presto, e Greensill fa il gioco di entrambi prestando soldi alle aziende e liquidando subito i fornitori. Ma per fare tutto ciò produce debito. Il gioiellino della finanza è in realtà «una bomba a tempo» come lo definisce il Financial Times ora che l’immagine di successo di Greensill, i voli sui jet privati, il suo effetto dirompente nell’élite della finanza, si sono tradotti in un fragoroso collasso. Quando è venuta meno l’assicurazione credito, e insomma le operazioni di Greensill Capital che erano basate sul debito non hanno avuto più copertura, il sistema imbastito dal finanziere australiano è crollato come un castello di carta. A lui erano legati l’industriale dell’acciaio Sanjeev Gupta, la cui Liberty Steel coi suoi oltre 5mila dipendenti si trova a rischio collasso, e inoltre SoftBank e Credit Suisse. Ora Greensill Capital è insolvente, l’authority bancaria tedesca ha aperto un’indagine, negli Usa c'è una causa aperta, e a inizio marzo la società ha presentato un’istanza di protezione dall’insolvenza a Londra. Londra: qui le storie dei due personaggi, Cameron e Greensill, si intrecciano. 

Interferenze pericolose

In un biglietto da visita di Lex Greensill che risale almeno al 2012 e che è stato portato ora all’attenzione della stampa britannica, Greensill si qualifica come “senior advisor”, come consulente, del gabinetto del primo ministro, che in quegli anni è - manco a dirlo - David Cameron. L’indirizzo è Downing street, la mail di Greensill è di quelle governative, e anche se la consulenza è a titolo gratuito, questo incarico consente al finanziere di avere accesso alle stanze del potere. A conferirgli queste chiavi di accesso è stato un suo ex collega a Morgan Stanley, il segretario di gabinetto Jeremy Heywood. Una delle dieci domande a Cameron che attendono risposta è proprio: come ha conosciuto Greensill? Glielo ha presentato Heywood? Una cosa che invece sappiamo è che nel 2014 il partito laburista presenta alcuni emendamenti a un Lobbying Act, proprio per aumentare il controllo sull’attività lobbistica nei luoghi decisionali; ma Cameron dice ai suoi compagni di partito di votare contro. Sempre in quegli anni Greensill diventa pure “rappresentante della corona”, ottiene commesse e riesce in qualche modo a mettere le mani anche sulla sanità, con progetti legati all’Nhs.

Messaggini 

Dal 2018 la storia prosegue ma le vesti cambiano: Cameron non è più premier, e diventa consulente per Greensill Capital. Detiene anche alcune opzioni sulle azioni che - prima che la società collassi - valgono decine di milioni di sterline. Con l’arrivo della pandemia, la questione delle porte girevoli diventa eclatante. Succede infatti che Greensill Capital prova ad accedere agli aiuti governativi legati alla crisi pandemica. Si tratta di uno schema di prestiti chiamato Covid corporate financing facility, e il motivo per cui Greensill fa pressioni per rientrarvi è che il tipo di società da lui guidata non rientrerebbe in queste facilitazioni: chi riceve i prestiti pubblici non può poi a sua volta usarli per prestare ad altri, il che è esattamente ciò che la società guidata dal finanziere australiano fa. E allora interviene Cameron, che formalmente non è un lobbista ma un consulente, ma che nella pratica svolge attività lobbistica perché Greensill ottenga i prestiti. Le inchieste di queste settimane svelano anche che l’ex premier si espone in prima persona e ad aprile scorso contatta più volte sul suo telefono privato Rishi Sunak, cancelliere dello scacchiere e fedelissimo di Boris Johnson. Obiettivo: sbloccare l’accesso di Greensill Capital allo schema di prestiti e così farle ottenere centinaia di migliaia di sterline

Dieci domande e una tenda

Ora i laburisti chiedono a gran voce un’inchiesta, mentre il Guardian fa le sue dieci domande a Cameron. I punti in tutto questo scandalo sono sostanzialmente due: uno è l’intreccio di interessi pubblici e privati, le porte girevoli di Cameron; l’altro è che l’ex premier è coinvolto pienamente nella storia di una società che ha provato a mascherare le proprie difficoltà per poi collassare, trascinando nel disastro anche un’azienda siderurgica che ha migliaia di dipendenti. E che ora rischiano il lavoro. Ciliegina sulla torta di questo scandalo, il Financial Times riporta pure che dopo l’uccisione del giornalista Kashoggi, quando ormai erano emersi i sospetti sul coinvolgimento di Bin Salman nell’omidicio, Cameron assieme a Greensill fece una gita in tenda con il principe saudita. Ovviamente, viaggio d’affari.

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