Il partito che governa in Georgia – il cui nome è “sogno georgiano” – ha ritirato la legge anti ong di stampo putiniano che ha innescato massicce proteste nel paese. La mossa è un tentativo di sedare le mobilitazioni: il “sogno” georgiano vuole evitare che la controversa legge si trasformi in un “incubo” georgiano.

Ma gli scontri di questa settimana, con migliaia di persone in piazza a perorare l’ingresso nell’Ue, non possono essere spenti nel giro di un’ora come si fa azionando un interruttore. C’è chi continua la mobilitazione e, soprattutto, il dissenso sulla legge anti ong fa venire allo scoperto la posizione difficile nella quale si trova la Georgia: un paese sulla linea di faglia.

Il 3 marzo dello scorso anno, una settimana dopo l’aggressione russa all’Ucraina, la Georgia è corsa ad avviare le procedure per un futuro ingresso nell’Ue. Ma non si è ancora del tutto liberata delle influenze di Mosca.

La legge e Mosca

La mobilitazione è iniziata durante il passaggio in parlamento di un disegno di legge che metteva nel mirino organizzazioni non governative e media. Qualora uno di questi enti avesse ricevuto più del venti per cento dei propri finanziamenti da fonti estere, avrebbe ricevuto l’etichetta di «agente straniero».

I critici hanno fatto presente le analogie con una legge approvata in Russia ormai più di dieci anni fa – era il 2012 – e i cui effetti sono stati sintetizzati così in un briefing dell’Europarlamento che risale al 2022: «Anche se la Foreign Agent Law non vieta il supporto a ong russe, rende molto più difficile per queste ultime operare, e ha di fatto costretto molte di queste ong a chiudere i battenti».

Gli attacchi alla società civile acquisiscono connotati geopolitici in un paese come la Georgia che ha ricordi freschi della guerra con la Russia del 2008. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ulteriormente chiarito nel 2021 le responsabilità russe.

Le proteste e l’Ue

Anche l’Unione europea ha criticato la legge georgiana sulle ong.

«L’adozione di questa legge sull’influenza straniera non è compatibile con il percorso verso l’Ue», ha chiarito fino all’ultimo il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Ma una fetta ampia di georgiani aspetta con entusiasmo l’ingresso nell’Unione. Lo scorso giugno l’Ue ha concesso lo status di candidate a Ucraina e Moldavia, ma non alla Georgia. Un freno da Bruxelles, che ha comunque sollecitato «grandi progressi se c’è la volontà politica in Georgia, che sa esattamente cosa serve per fare passi nella giusta direzione» (parole di Michel).

La nuova legge in stile putiniano sarebbe stata un passo nella direzione antitetica, ed è anche per questo – per esprimere il proprio sentimento filoeuropeo – che tanti georgiani hanno manifestato.

Il dietrofront

L’immagine di una donna che sventola la bandiera dell’Ue a dispetto dei getti dei cannoni ad acqua della polizia, ma anche le barricate e le fiamme, i lacrimogeni, le cariche e gli arresti da parte delle forze dell’ordine: sono le proteste, e la repressione, di questa settimana in Georgia.

La mobilitazione ha ottenuto un primo successo con l’annuncio del ritiro della legge, avvenuto questo giovedì da parte del partito di governo. Ma la coalizione di forze messe in campo con la protesta non ha fretta di smobilitare.

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