«Io non ho solo percepito, io ho ottenuto un cambio di passo», gonfia il petto Giorgia Meloni all’uscita dal Consiglio europeo. È assediata dai cronisti che le chiedono conto dei suoi errori. Francia e Germania si sono mangiate l’Italia sul fronte della competitività delle imprese, e ora la destra italiana dovrà darne conto ai suoi elettori.

Mentre Meloni lancia frecciatine a Emmanuel Macron, lui l’ha già sbeffeggiata nei fatti: il governo è isolato e l’Italia perde influenza. Così alla premier che voleva dimostrare a Bruxelles di «non essere un’aliena», di saper intessere relazioni con l’establishment, non resta che la vecchia bandierina da esibire: i migranti.

Telecamere e cose turche

Ma qual è la vittoria di Meloni al summit? È vero che da tempo l’estrema destra europea ha infiltrato le politiche e le retoriche di Bruxelles. Ormai l’Europa fortezza è una linea di governo. Le conclusioni del Consiglio puntano sull’irrigidimento delle frontiere esterne. Ma questa è una vittoria scontata.

Meloni non ha neppure tentato di ottenere, invece, la cosa più preziosa: la solidarietà fra paesi europei per la redistribuzione dei migranti. La premier dà la battaglia per persa: i primi a non voler aiutare l’Italia su questo sono proprio gli alleati dei governi di destra.

E dire che l’esecutivo avrebbe avuto leve politiche da usare, se solo lo avesse saputo e voluto: avrebbe potuto rivendicare quel criterio di solidarietà che è alla base dell’accoglienza dei rifugiati ucraini. Nel 2022 per la prima volta l’Ue si è decisa ad attivare la direttiva per la protezione temporanea di 21 anni prima.

Meloni punta piuttosto a replicare lo schema voluto dalla Germania per la Turchia. Quando cita con tono polemico «i sei miliardi di euro che la Commissione ha stanziato per l’accordo con la Turchia», non intende dire che il modello è sbagliato. Al contrario: «Ora bisogna indirizzarli verso sud, non solo verso est». Spingere soldi europei verso la Libia e in generale verso l’Africa era un obiettivo verso il quale lavorava già il governo Draghi. Ora Meloni ne fa una bandiera.

Non volendo indirizzare i suoi sforzi politici verso una gestione europea dei migranti, Meloni unisce tutti sul tentativo di respingerli. E così ecco uscire dal Consiglio l’indirizzo politico di aumentare i rimpatri, e un’agenzia Frontex in grande spolvero a dispetto degli scandali.

La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, lo aveva già annunciato quando la Polonia ha issato il muro a est, ora lo presenta come un «pacchetto» di azione: l’Ue contribuirà pure economicamente a strutturare i muri con «torrette, telecamere, strumenti di sorveglianza, veicoli, e così via. Altrimenti quella barriera non funziona nemmeno bene».

I soldi per gli altri

Mentre Meloni cerca i soldi europei da dare alla Libia, intanto il mondo produttivo finisce in fondo alla fila. Macron non vedeva l’ora di sussidiare i suoi campioni industriali, e non appena gli Usa hanno annunciato gli aiuti alle imprese green l’ha venduta come una battaglia europea. L’Italia è stata esclusa dai viaggi a Washington suoi e del suo delfino Le Maire col vicecancelliere tedesco.

Sono lontani, i tempi in cui Macron correva a Roma: la Germania torna alleata di ferro per l’allentamento delle briglie sugli aiuti di stato, e del resto a questi due soli paesi è attribuibile l’80 per cento di quelli recenti in Ue. Lasciata a casa pure nella cena con Zelensky, Meloni ha lanciato frecciatine all’Eliseo e poi si è ritrovata a rammendare lo strappo: ma quale gelo con la Francia, «non siamo alle elementari». «Dialogo con tutti». La premier si definisce «pragmatica». Pragmaticamente parlando, cosa ha ottenuto sul fronte della competitività? Come lei stessa dichiara, «è stato chiesto un allentamento delle regole sugli aiuti da parte delle nazioni con più spazio fiscale». Il via libera favorisce Germania e Francia, non l’Italia, che ha pure le mani legate dal patto di stabilità.

Ogni tentativo italiano di tamponare gli squilibri è finito in cavalleria. La premier rivendica un passaggio delle conclusioni – presente già nelle bozze pre summit – in cui si chiarisce che l’allentamento della cornice sugli aiuti sarà «circoscritto, temporaneo e limitato». Ma è dai tempi del Covid che si va avanti a deroghe temporanee, che ormai sono croniche.

Ci sarà allora il fantomatico “fondo sovrano”? No. Le conclusioni del Consiglio si limitano a prendere atto dell’idea.

E allora ecco Meloni che presenta come grande vittoria lo scarno premio di consolazione: «Flessibilità sui fondi esistenti». Fondi già previsti: nulla di nuovo. Anzi, potrebbero subentrare squilibri dalla scelta di dirottare sulle imprese fondi nati per ridurre le disuguaglianze, come quelli di coesione.

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