Da Bruxelles ci si dovrebbe aspettare un richiamo ai due stati membri – Italia e Malta – che non sono intervenuti durante il naufragio avvenuto domenica in acque internazionali. O magari un’allerta alla Guardia costiera libica che, coi soldi europei, si è dotata di nuovi mezzi e che pure non si è mossa. Invece la più nitida e concreta reazione che arriva dai portavoce della Commissione europea è tutt’altra: fornire ulteriori mezzi alla Libia. Col denaro dei contribuenti dell’Unione. 

I passi falsi della Commissione

Questo lunedì si è svolto il consueto briefing settimanale con la stampa, e i cronisti italiani a Bruxelles hanno sottoposto la Commissione a un fuoco di fila di domande su aspetti politici e tecnici. Come mai Ursula von der Leyen non ha fatto neppure un tweet su questo naufragio? Dov’erano gli operatori della missione Irini durante l’evento? Cosa farà Bruxelles davanti a stati membri che non assolvono ai loro obblighi internazionali di soccorso? Mentre sono gli stati membri a non assolvere a questi obblighi, o persino a criminalizzare le ong che intendono assolverli come avviene in Italia, dall’altra parte la Commissione non mette in atto azioni incisive per invertire questa tendenza. Nelle risposte consegnate questo lunedì ai cronisti, appaiono anzi alcune marchiane inesattezze.

Per esempio c’è il tentativo di trincerarsi dietro il fatto che «la missione Irini non può operare nelle acque territoriali libiche». Nelle acque libiche – dice la Commissione Ue attraverso i portavoce deputati – possono intervenire solo le autorità libiche. Peccato che le acque del naufragio in questione fossero acque internazionali. La zona Sar (cioè di ricerca e soccorso) era semmai quella libica, ma ciò non assolve gli altri paesi dall’obbligo di soccorso; tanto più che la Libia non ha neppure sottoscritto la convenzione di Ginevra sui rifugiati.

Il “premio” alla Libia

E mentre la Libia non ha soccorso, la Commissione europea per paradosso inietta ancora più risorse in questa direzione. «Dobbiamo aumentare le capacità di gestione della Libia perché non sempre ce la fa. Abbiamo di recente mandato imbarcazioni aggiuntive con l’obiettivo della gestione delle frontiere, e ne manderemo altre. Vediamo che ce n’è bisogno». Arriveranno altre navi alla Guardia costiera libica coi soldi degli europei quindi. Navi che non sono adatte per i soccorsi, ma servono semmai a intercettare i flussi migratori.

Lo schema al quale guarda Bruxelles è lo stesso che sostengono i governi italiani uno dopo l’altro – sia Mario Draghi che Giorgia Meloni – ovvero iniettare risorse verso il nord Africa con l’obiettivo di esternalizzare – cioè di rimpallare – la gestione dei flussi, proprio come l’Ue fa da tempo – su spinta soprattutto della Germania – con i miliardi diretti verso la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan.

Nessun richiamo quindi, nessuna stigmatizzazione del comportamento – o meglio, della inazione – della Guardia costiera libica, ma al contrario un incentivo. L’Ue vanta di essere «uno dei maggiori fornitori di assistenza in Libia» e il servizio diplomatico dell’Unione specifica pure che «una parte importante del sostegno dell’Ue alla Libia è destinata alla protezione e all’assistenza di migranti, rifugiati e gruppi vulnerabili, al sostegno alle comunità libiche che ospitano un numero particolarmente elevato di migranti e alle azioni per la gestione delle frontiere». Includono «il sostegno, ad esempio attraverso corsi di formazione tecnica o attrezzature, per migliorare le capacità delle autorità libiche di fornire attività di salvataggio in mare in conformità del diritto internazionale».

I paradossi di Bruxelles

Ci sono quindi almeno due incongruenze. La prima è che se davvero l’Ue fornisce grande assistenza alla Libia per «salvataggio in conformità col diritto», allora di fronte a una guardia costiera che non interviene dovrebbe chiederne conto, invece di iniettare ulteriori risorse. La seconda contraddizione è che in realtà le imbarcazioni che Bruxelles sta finanziando non sono atte al soccorso ma al controllo delle frontiere. «Se davvero l’Ue dice di aver investito risorse nel salvataggio in mare, allora dovrebbe sapere che sono servite allo scopo contrario, e cioè per riportare i migranti dove cercano disperatamente di fuggire», commenta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty.

«Si pone anche un tema di mancanza di trasparenza sulle risorse destinate da Italia e Ue alla Libia: non c’è la minima rendicontazione, sfido chiunque a trovare documenti della guardia costiera libica su questo. Sentiamo ripetere che c’è una sfida a livello di globo terraqueo nei confronti delle imprese criminali, ma queste sono contigue se non sovrapposte ai soggetti ai quali diamo le imbarcazioni», conclude Noury alludendo alla Guardia costiera libica, sulla quale è in corso un filone dell’indagine sulla Libia della procura della Corte penale internazionale.

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