«Cartuccia di dinamite sotto i diritti delle donne», come l’ha definita una femminista infuriata in piazza a Madrid, o «il riconoscimento dei nostri diritti e della nostra dignità», con le parole dell’attivista trans spagnola Carla Antonelli? La ley trans che è stata approvata questo giovedì dal Congresso spagnolo è anzitutto e sicuramente «un’apripista in Europa». Su questo nessuno potrà dar torto a Irene Montero, la ministra per l’Uguaglianza di Podemos, che ha fortemente voluto la nuova legge, attirando su di sé consensi e dissensi accesi.

Quando sarà arrivato anche il via libera del Senato – in tempi rapidi – basterà una scelta totalmente individuale, un’autodeterminazione svincolata da percorsi e valutazioni mediche, per determinare chi si è all’anagrafe, dunque la propria proiezione nella società. Che piaccia o meno, questa legge ridisegna il perimetro del dibattito, e a Madrid ha già marcato divisioni a sinistra, divergenze nei movimenti, distanze generazionali. Ma soprattutto ha aperto uno spazio per chi finora si è sentito ingiustamente escluso: questo giovedì al Congreso, sotto una cupola affrescata che dà l’immagine di un tempo fermo, si sono fatte strada dalle tribune le urla di gioia degli attivisti Lgbt.

Il tabellone dei voti, con i 188 a favore e i 150 contrari, non segnala solo che la legge è passata e che la maggioranza progressista regge. È anche il segnale di un cambiamento che inciderà sui vissuti delle persone. Il via libera definitivo alla legge è previsto entro fine anno, o alla peggio per l’inizio del 2023.

Il cambiamento spagnolo

Cosa succede se una persona non si identifica con il genere assegnatole alla nascita? In Spagna è già possibile cambiarlo, con una legge del 2007, che però comporta un iter di anni.

C’è una ragione per i tempi lunghi: finora la scelta di cambiare la propria identità di genere all’anagrafe è sempre stata agganciata a un percorso che includeva valutazioni mediche, diagnosi di disforia di genere, terapie ormonali.

A marzo 2007, quando quella «legge sull’identità di genere» è stata approvata, con José Luis Zapatero premier, la Spagna aveva già un ruolo di apripista: per l’epoca era avanzata, l’idea che non fosse necessaria un’operazione, né un procedimento giudiziario, per ridefinire l’identità.

Ora la «legge per l’uguaglianza reale ed effettiva delle persone trans» – nota come ley trans – fa un passo ulteriore: afferma il pieno diritto all’autodeterminazione di genere.

Dai 14 ai 16 anni serve il consenso dei genitori; per tutti, dai 16 anni in poi, non serve alcun attestato o iter medico e psicologico, ma solo la propria volontà, per ridefinirsi ufficialmente. Una possibilità che varrà pure per gli stranieri.

Cosa succede se la volontà muta? Montero ha previsto un sistema a conferma doppia – cioè la dichiarazione d’intenti per cambiare genere deve essere ripetuta a distanza di tre mesi – e un tempo minimo di sei mesi per cambiare di nuovo identità. È possibile insomma cambiare più volte identità di genere, ma con un intervallo di almeno mezzo anno.

Tre figure chiave

(L'attivista Carla Antonelli insieme alla ministra Irene Montero. Foto AP)

Per capire come si è articolato il dibattito politico a sinistra, si può cominciare da tre protagoniste: la ministra Irene Montero di Podemos, che aveva promesso questa legge, la socialista Carmen Calvo, che vi si è opposta, e Carla Antonelli, che è stata la prima deputata trans in Spagna e che proprio per difendere il progetto di Montero ha preso le distanze dal Partito socialista.

Il progetto di legge è arrivato in Consiglio dei ministri a giugno 2021 su iniziativa di Montero, una delle figure che meglio incarnano la nuova fase di Podemos: quando Pablo Iglesias ha lasciato il vertice, sempre nell’estate del 2021, lo ha rimpiazzato Ione Belarra con il piano di rinnovare e rafforzare l’impronta femminista. Con il secondo governo Sánchez, il primo di coalizione, Belarra presidia le Politiche sociali e Montero l’Uguaglianza. Le due fanno squadra e si supportano a vicenda.

Questo giovedì, nel suo intervento prima del voto sulla legge, Montero ha ricordato l’importanza della «memoria» delle lotte femministe precedenti, ma la sua prospettiva è anche di rilancio: si apre ai movimenti Lgbt e alle generazioni più giovani.

Dalla composita galassia femminista, sono anche arrivate manifestazioni di dissenso verso la legge: il timore è che rendere così fluido il genere disarticoli la dinamica di conflitto, oppresse contro oppressori. «Essere donne non è un sentimento», è uno degli slogan di chi protesta. C’è chi si chiede se, dopo questo passo, potrà reggere una legge contro la violenza machista. E l’idea delle quote? Nel partito socialista c’è chi si è schierato su queste posizioni: lo ha fatto la femminista Calvo, figura di peso con ruoli di governo alle spalle. Questi dissensi hanno anche provocato la fuoriuscita di un’attivista del calibro di Antonelli: dopo 45 anni di militanza nei socialisti, la prima deputata trans di Spagna li ha mollati lo scorso ottobre. Lei difende la legge come necessaria, per i diritti, la dignità, per «le troppe lacrime versate».

Alla fine il partito di Sánchez, anche per esigenze di tenuta della coalizione con Podemos, questo giovedì ha sostenuto la legge (e Calvo si è astenuta).

Mentre a sinistra la dialettica è vivace, la destra – dal centro agli estremi – è compattamente contraria: al Congresso, i Popolari, Vox e Ciudadanos hanno votato contro.

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