Di tutte le guerre statunitensi, questa è stata la più lunga, ed è stata anche la guerra che i vertici Usa hanno promesso all’opinione pubblica di vincere pur sapendo che era invincibile. La guerra in Afghanistan si conclude - o almeno questa è l’intenzione annunciata oggi - l’11 settembre 2021, vent’anni dopo l’11 settembre del crollo delle due torri a New York, e qualche mese dopo rispetto a quanto promesso dall’ormai ex presidente. Donald Trump aveva promesso il ritiro delle truppe Usa a maggio, il democratico Joe Biden che è alla Casa Bianca ora invece annuncia la nuova data. Simbolica. Per quel giorno, le truppe statunitensi dislocate nel paese, la cui cifra ufficiale è di 2500 ma oscilla già attorno ai mille, non ci saranno più; ma in Afghanistan ci sono anche altri 7mila soldati stranieri, la maggior parte dei quali della Nato.

Exit strategy

Tra gli argomenti di quest’ultimo viaggio del segretario di stato Usa Anthony Blinken a Bruxelles, ma anche della sua precedente trasferta di marzo, c’è anche questo: che tipo di equilibrio trovare in Afghanistan dopo la ritirata delle truppe americane, il ruolo futuro (prossimo) della Nato. E in che condizioni politiche oltre che militari si troverà il paese. Alla fine di febbraio 2020 Trump siglò con i talebani un accordo, era l’accordo di Doha, la stretta di mano fu con Abdul Ghani Baradar, l’impegno chiesto fu di abbandonare ogni contatto con Al Qaeda. Con il cambio al vertice alla Casa Bianca, ora i democratici ritengono irrealistica la data di maggio prevista da Trump, perché «senza un piano dettagliato di exit ci ritroveremmo a dover ritornare in guerra». La data slitta all’autunno quindi, e nel frattempo l’amministrazione Biden annuncia proprio in queste ore la decisione agli alleati della Nato. A fine mese è prevista anche una conferenza di pace in Turchia, su input statunitense, in presenza degli attori dell’area, con il governo di Kabul, e talebani inclusi.

Il ventennio di presenza degli Usa nell’area conta duemila soldati morti dal lato Usa e almeno centomila civili afgani uccisi. Che gli Stati Uniti escano da questa guerra da sconfitti lo hanno detto gli stessi Stati Uniti, anche se non all’opinione pubblica. Gli Afghanistan Papers, una collezione di documenti ottenuti con richiesta di accesso agli atti dal Washington Post, hanno messo a nudo già due anni fa che non solo i vertici Usa consideravano quella guerra impossibile da vincere, ma hanno intenzionalmente manipolato la versione della storia che arrivava all’opinione pubblica, inflazionando le vittorie e tacendo le prospettive funeste. Tanto che il Washington Post titolò una parte dell’inchiesta “At war with truth”, per dire che sotto attacco era finita la verità.

La versione di Biden

Eppure la presenza in Afghanistan ha resistito a più presidenti e amministrazioni di diverso colore, da George W. Bush che la cominciò con i raid del 7 ottobre 2001 - «Non desideravamo noi questa missione ma la assolveremo, bisogna disinnescare l’uso dell’Afghanistan come base terroristica e minare le capacità militari del regime talebano» - passando per Barack Obama con Biden all’epoca vicepresidente. Quando durante un dibattito elettorale – era il 2019, accadeva a Los Angeles – gli intervistatori gli chiesero conto dei documenti rivelati dal Washington Post, e del suo ruolo nella faccenda, rispose così: «Afghanistan, ha detto?». «Sì, Afghanistan. Come vicepresidente cosa sapeva del reale stato della guerra? Ritiene di essere stato onesto con gli americani?». E Biden: «La mia visione sull’Afghanistan è ben nota a tutti, il presidente mi mandò in Afghanistan prima ancora del giuramento e mi chiese di produrre un report. La mia conclusione fu che non c’era strategia possibile, e da allora mi sono scontrato a lungo con il Pentagono perché mi opponevo con fermezza all’idea di costruzione di una nazione che stavamo mettendo in atto. Ricostruire quella nazione è ben oltre le nostre possibilità». La prima cosa che avrebbe fatto da presidente, promise allora, era di «assicurarmi che tutti i nostri soldati tornino a casa, e negoziare coi talebani». Solo una cosa sarebbe stata da mantenere: forze antiterrorismo.

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