«Tre lunghi giorni, e i nostri soldati stanno diventando più forti». Prima della controffensiva militare ucraina, è cominciata quella politica di Volodymyr Zelensky.

Ed è iniziata dall’Europa: il tour del presidente ucraino – Roma sabato, Londra questo lunedì, e nel mezzo Berlino e Parigi – serve a coprirsi le spalle, serrare i ranghi, costruire una qualche posizione di forza, fondamentale sia sul campo che fuori. È in altri termini ciò che ha sempre sostenuto la premier Meloni: dotare di supporto militare gli ucraini è inteso anche come leva negoziale in dote a Kiev.

Negoziati che comunque Zelensky concepisce solo come estensione della sua visione; lo ha ribadito durante la sua campagna europea, iniziata dal Vaticano apparentemente più per disinnescarne una presunta “missione” che per collaudarla: «Con Putin non si media. Rispetto sua santità, ma non abbiamo bisogno di mediatori. Il Papa conosce la posizione ucraina: la nostra formula di pace è l’unico algoritmo efficace: è a questo che gli ho proposto di aderire. Organizzeremo un forum per la nostra formula di pace».

La dote europea

Questo Ursula von der Leyen ha blindato l’appoggio dell’Ue alla «formula» di Zelensky. «Penso che anche noi, i sostenitori, ora dobbiamo mostrare lo stesso livello di resistenza e perseveranza. E mi aspetto che i leader si uniscano su due principi fondamentali: il primo è che continueremo a sostenere l’Ucraina “per tutto il tempo necessario”. Significa sostegno finanziario stabile anche oltre il 2023, e sostegno militare accelerato. Il secondo principio è: “nulla sull’Ucraina senza l’Ucraina”. Significa un sostegno molto forte alla formula di pace del presidente Zelensky».

Bruxelles lascia quindi in dote a Kiev anzitutto le spalle coperte politicamente, ma ci sono anche altri sviluppi: l’undicesimo pacchetto di sanzioni è sul tavolo delle rappresentanze dei governi, e il punto forte è «un meccanismo per evitare che le sanzioni siano eluse tramite il transito verso paesi terzi».

C’è poi lo stop ai flussi di gas russo: piomba sul tavolo del G7 di Hiroshima che inizia questo venerdì, e sancirebbe con uno stop formale l’emancipazione già in corso in questi mesi nei confronti del gas di Mosca, dando una volata al gnl.

«Garanzie di sicurezza»

Altro appuntamento che puntellerà il supporto a Kiev sul fronte dei diritti è quello che inizia martedì a Reykjavik – c’è anche Meloni – al summit del Consiglio d’Europa.

Nel frattempo Zelensky ha raggranellato sostegni vari dalle capitali: a Berlino i quasi tre miliardi promessi da Scholz in aiuti militari, a Parigi dopo la cena domenicale durata tre ore con Macron altro supporto militare, dall’addestramento ai carrarmati. A Londra questo lunedì da Rishi Sunak il presidente ucraino ha incassato centinaia di droni d’attacco a lungo raggio, oltre che un complimentoso paragone con Churchill e un abbozzo di «coalizione dei jet».

Da notare la corrispondenza tra le parole di Macron e quelle di Sunak: entrambi sono proiettati sulle garanzie di sicurezza in fase negoziale. Macron: «Sta a noi vedere in che modo aiutare gli ucraini nella loro controffensiva, come preparare il tema delle garanzie di sicurezza dei negoziati che inevitabilmente dovranno esserci». Sunak: «Con Zelensky abbiamo discusso gli accordi di sicurezza che dovremmo mettere in atto tra i paesi alleati per l’Ucraina a lungo termine per garantire che possa difendersi e fornire un’efficace deterrenza».

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