L’immaginario politico è sempre presente nella strategia di comunicazione di Emmanuel Macron e spesso le date non sono scelte a caso, ma scientificamente selezionate al fine di rievocare una sorta di sacralità dell’azione politica. La Francia, come tutti i grandi paesi, è prima di tutto una religione civile.

Così si è arrivati, lo scorso 9 dicembre, alla presentazione del “Progetto di legge che rafforza il rispetto dei principi della Repubblica”, esattamente 115 anni dopo la promulgazione della legge del 9 dicembre 1905 sulla separazione fra lo stato e le chiese. Il progetto verrà discusso in parlamento a partire da febbraio 2021, anche se è al centro del dibattito politico francese, e non solo, da mesi.

Nella conferenza stampa di presentazione della proposta di legge gli esponenti del governo hanno voluto ribadire che non sono i musulmani a essere bersaglio della legge, nonostante questa sia una delle principali critiche addebitate all’azione del governo. Inoltre, hanno sottolineato che siamo davanti ad una legge per «la libertà e l’emancipazione dal fondamentalismo religioso» e non a una deriva securitaria.

Non la pensano tutti così. Ad esempio, l’ambasciatore americano per la libertà religiosa, Sam Brownback, non ha usato giri di parole per esprimere la sua opinione sull’iniziativa legislativa: «Quando si utilizza un approccio troppo duro la situazione può sfuggire di mano». Il primo ministro, Jean Castex, ha tenuto a ribadire che «il nemico della Repubblica è un’ideologia politica che si chiama islamismo radicale».

È in questo continuo scivolare tra islam e islamismo che spesso, nel discorso pubblico, si sposta l’obiettivo a seconda dell’uditorio che si ha davanti. Cosa è islam? Cosa è islamismo? Nel dibattito intellettuale si fa fatica a delimitare con esattezza la portata di queste nozioni.

Su questo giornale ieri Matteo Pugliese ha dato puntualmente conto del dibattito in corso anche fra gli esperti di terrorismo, evidenziando i diversi approcci. Certo, non siamo ancora ai livelli del dibattito statunitense di qualche anno fa, quando anche numerose amministrazioni pubbliche hanno sostenuto davanti ai giudici che l’islam non fosse una religione ma un’ideologia politica, questo per non applicare le norme di diritto urbanistico che garantiscono una particolare tutela ai gruppi religiosi per l’edificazione dei luoghi di culto. Se non sei una religione, niente tutela.

I limiti della legge

Ma il progetto di legge di Macron è davvero così concentrato sulla dimensione securitaria del problema? Si tratta di una legge che andrebbe ad inserirsi in un tessuto normativo già complesso, che include tra gli altri provvedimenti anche la legge 1510/2017, che già permette la chiusura dei luoghi di culto nel caso siano utilizzati come luoghi per la propaganda radicale ed incrementa la possibilità di monitoraggio dei soggetti ritenuti pericolosi.

È, senza ombra di dubbio, una proposta di legge complessa, la valutazione d’impatto pubblicata sul sito dell’Assemblea Nazionale è un documento di 469 pagine. Il parere del Consiglio di stato, reso pubblico qualche giorno fa, consta di altre 57 pagine. È impossibile dar conto di tutte le misure previste e di tutti i rilievi che si stanno accumulando sulla proposta, ma è opportuno evidenziarne alcune.

Un primo giro di vite è previsto dai primi 5 articoli, che includono le disposizioni relative ai servizi pubblici. In questo caso è prevista un’estensione dei principi di neutralità e laïcité anche ai concessionari di un servizio pubblico e una protezione ulteriore per i funzionari pubblici vittime di intimidazioni o minacce.

Il capitolo secondo della legge (articoli da 6 a 12) si occupa delle associazioni che, se destinatarie di fondi pubblici o se chiamate a gestire servizi pubblici, dovranno firmare e rispettare un “contrat d’engagement républicain” che conterrà una declinazione concreta dei principi repubblicani che l’articolo 6 individua nella libertà, l’uguaglianza, la fratellanza, il rispetto della dignità della persona umana e salvaguardia dell’ordine pubblico. Gli articoli successivi prevedono penetranti controlli della pubblica amministrazione sull’organizzazione interna delle associazioni e sulla loro trasparenza finanziaria.

Si segnalano anche misure relative alla tutela delle quote ereditarie eventualmente non protette in caso di applicazione di legge straniera secondo il diritto internazionale privato. La disposizione sta già facendo impazzire i notai, che si chiedono come faranno a controllare i possedimenti esteri. L’articolo 14 vieta il rilascio del permesso di soggiorno a persone che si trovano in stato di poligamia.

Fa discutere l’introduzione del divieto del rilascio dei certificati di verginità per i professionisti della sanità (art. 16) che prevede un’eventuale sanzione di un anno di detenzione e una multa di 15 mila euro. Una disposizione sancisce l’obbligo per l’ufficiale di stato civile, nel caso in cui sorga un dubbio sul carattere libero del consenso, di intrattenersi separatamente con i futuri sposi per verificare in maniera effettiva il loro consenso alle nozze (art. 17).

L’articolo 18 introduce una nuova fattispecie di reato individuata nella condotta di chi mette in pericolo la vita altrui mediante la diffusione di informazioni relative alla vita privata, familiare o professionale di una persona, permettendo di identificarlo o di localizzarlo così da mettere in pericolo la sua vita o quella dei suoi familiari, la sua integrità fisica o psichica, o i suoi beni.

L’articolo 21 sancisce l’obbligo della scolarizzazione obbligatoria dai 3 ai 16 anni: cade la mannaia su ogni ipotesi di homeschooling, salvo eccezioni per ragioni molto limitate che dovranno comunque essere autorizzate dal ministero dell’Istruzione. In questo caso il Consiglio di stato ha invitato a rivedere il testo dell’articolo includendo un’analisi di proporzionalità e un elenco di casi in cui l’homeschooling sarebbe consentito.

Misure più stringenti sono previste anche per gli istituti privati che dovranno concludere un contratto con lo stato e dimostrare di seguire il programma ministeriale (articoli da 22 a 24). Anche le associazioni sportive sono chiamate a sottoscrivere il patto.

Numerose disposizioni (articoli da 26 a 44) si occupano delle associazioni di natura religiosa imponendo regole di funzionamento interno, maggiore trasparenza nella gestione dei fondi. Ad esempio, l’articolo 35 introduce l’obbligo di una dichiarazione sui fondi ricevuti, direttamente o indirettamente, dall’estero al fine di ridurre l’influenza sulle comunità religiose di stati o attori esteri. L’articolo 43 impedisce a tutte le persone condannate per terrorismo di dirigere o amministrare un’associazione religiosa per i 10 anni successivi alla condanna definitiva. Ulteriori misure restrittive per la chiusura di luoghi di culto sono previste dall’articolo 44.

Da Ricoeur a Sarkozy

Il 28 novembre lo storico Jean Baubérot, che in più occasioni si era confrontato con Macron sui temi della laicità, ha inviato una lettera aperta al settimanale Obs (già Nouvel Observateur) in cui “supplicava” il Presidente francese di non passare da Paul Ricoeur a Nicholas Sarkozy, ovvero di ripensare un progetto di legge che sembrerebbe rafforzare il «separatismo di stato» senza dare l’opportuno spazio ad una laïcité che sia davvero rispettosa di un necessario bilanciamento tra diritti e sicurezza.

Qualche giorno dopo anche Olivier Roy ha sottolineato le criticità di un progetto di legge stretto tra la pedagogia autoritaria e la deriva securitaria, che segna il paradosso di uno stato che si vorrebbe separato dalla religione e invece pretende addirittura di riformarle dall’interno. Le norme che il governo francese si appresta a discutere da febbraio compongono un telaio complesso, che incide su diversi aspetti dei rapporti fra comunità religiose e stato e sulla tutela dei diritti civili, primo fra tutti il diritto di libertà religiosa.

L’impalcatura voluta da Macron sembra volersi reggere sull’identificazione di «valori repubblicani» imprescindibili. Il termine «valori repubblicani» è più volte utilizzato nel testo dell’analisi d’impatto della legislazione. Ma quali sono questi valori? Le nostre società plurali devono basarsi su regole e princìpi condivisi o su “valori”? Se lo è chiesto anche il Consiglio di stato francese, che nel suo parere sul progetto di legge ha chiesto esplicitamente la rimozione di un «termine troppo incerto» come quello di «valori» perché il riferimento ai «princìpi» dell’ordinamento giuridico è sufficiente rispetto agli scopi perseguiti dalla legge.

Del resto, anche Carl Schmitt aveva già avvisato del problema di «legiferare per valori»: «È compito del legislatore e delle leggi da lui decretate stabilire la mediazione tramite regole misurabili e applicabili e impedire il terrore dell’attuazione immediata e automatica dei valori».

Se alcune misure, come quelle relative alla trasparenza dei finanziamenti provenienti dall’estero o quelle relative alla lotta ai matrimoni forzati sono da apprezzare, continua a destare perplessità la visione complessiva di Macron. Una quasi-ideologia in cui la separazione è divenuta intervento statale anche all’interno dell’organizzazione delle confessioni religiose, l’assolutizzazione della neutralità, una mancata tutela del diritto di libertà religiosa, la “tirannia dei valori repubblicani” che rischia di divenire una mancata protezione del pluralismo sociale.

È un modello di neo-laïcité nuovo e più aggressivo. Un approccio che fa fare un salto di qualità ancora più statalista al modello francese, già di per sé non particolarmente liberale, e che probabilmente contribuirà a generare ancora meno fiducia tra lo stato e le comunità musulmane. È un modello a cui probabilmente anche altri stati europei alle prese con la bestia terrorista guarderanno. Faremmo bene a ricordarci la nostra storia che è anche quella di una laicità, spesso sofferta, ma che sa bilanciare sicurezza e rispetto dei diritti dei singoli e delle comunità.

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