No, non è la fine dell’austerità. E no, la crisi pandemica e quella energetica non hanno ancora spostato le resistenze di alcuni governi europei all’idea dell’indebitamento comune. Che cosa rappresenta quindi, la bozza di riforma del patto di stabilità e crescita, presentata ieri dalla Commissione europea?

È una estensione del modello recovery, però senza prestiti comuni oltre che senza sussidi: resta solo l’idea che i paesi europei debbano investire, per poter crescere, e che sia meglio farlo secondo direttrici comuni.

È forse un respiro di sollievo, per i paesi più indebitati, perché sposta le scadenze su un piano di medio termine, e quindi permette di concentrarsi anche sulla crescita, non solo sul debito. Ma la verità è che non si tratta neppure propriamente di una proposta. E questo rivela la prima delle tante debolezze di questo piano di riforma: oltre a non riformare a sufficienza, non è detto neppure che vada a segno.

Una mezza proposta

Questo mercoledì il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni, che è stato tra i promotori non solo del modello Next Generation Eu ma anche e soprattutto della convinzione che quel modello andasse replicato, era in conferenza stampa assieme alla sua nemesi in materia, il falchissimo vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis che continua a ribadire: «Le regole sul debito che ci sono state finora hanno funzionato bene».

E i due non hanno presentato una vera e propria proposta legislativa, ma soltanto una bozza di idea, una comunicazione della Commissione. «Finirà come col tetto al prezzo del gas? Rischiamo che il dossier finisca impantanato?», hanno chiesto i cronisti, con la memoria fresca di cosa significhi se qualche governo si mette di traverso, e se la Commissione lo asseconda. La proposta legislativa «arriverà all’inizio del nuovo anno», ha risposto Gentiloni.

«E questa è la risposta formale». Poi c’è il sottotesto: sì, esistono posizioni ancora non conciliate, tra i governi europei, e dunque ora Bruxelles lavorerà per una proposta che abbia il consenso necessario. Il dibattito sulla riforma del patto di stabilità è stato lungo, e ancor più lungo sarà riuscire a mettere a segno un compromesso politico. La bozza è quella presentata adesso.

Debito e investimenti

La Commissione non prevede riforme tali da richiedere un intervento sui trattati, e non tocca neppure i parametri esistenti: le soglie di riferimento restano il tre per cento nel rapporto tra deficit e Pil, e il sessanta per cento nel rapporto tra debito e Pil.

L’aggiustamento dei conti pubblici sarà misurato però sulla base della spesa primaria netta. E soprattutto, per la riduzione del debito i singoli paesi europei potranno elaborare un piano su base pluriennale, che quindi dia più respiro, e costruisca una cornice tale da poter prevedere anche gli investimenti.

Non significa che ci sarà una golden rule, anche se il tema era entrato nel dibattito: investire in alcune aree non comporterà “sconti” sul debito da tagliare. «Il nostro orientamento non è di escludere gli investimenti dalle regole fiscali perché non è emerso consenso a riguardo, nonostante il dibattito sul punto sia stato ampio», precisa la Commissione Ue.

Uno stato membro potrà proporre un piano – in questo, ci sono le tracce del modello Recovery plan – che andrà concordato con la Commissione e che dovrà avere il via libera anche del Consiglio, dunque degli altri governi europei. Un governo «propone un piano fiscale strutturale di medio termine», e cioè pluriennale, di quattro anni. «Può chiedere un periodo di aggiustamento più lungo, purché corroborato da investimenti e riforme»: l’arco è estensibile di ulteriori tre anni.

Monitorare e sanzionare

Sono i singoli paesi a proporre i piani, ma le direttrici di investimento – nei piani della Commissione – finiscono per armonizzarsi, perché si tiene conto della transizione verde e digitale, della difesa comune, insomma delle priorità concordate con Bruxelles. La quale intende monitorare il rispetto dei piani, e sanzionare chi li tradisce.

«Se un paese fallisce, se non rispetta gli impegni, ci saranno più efficaci meccanismi di enforcement per far rispettare il piano, comprese sanzioni fiscali». Gentiloni ha ricordato che strumenti più incisivi di sanzione sono la controparte della maggiore «gradualità nel rientro dal debito e della titolarità nazionale». Eventuali deroghe («escape clauses») varranno solo per gravi emergenze davvero eccezionali.

Perché un governo dovrebbe gradire «questa pillola amara»?, è la domanda che la stampa ha rivolto a Gentiloni. «Non mi sembra così amara», sostiene il commissario: «C’è un equilibrio tra debito e crescita, e c’è più gradualità e flessibilità rispetto al sistema che vige ora».

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