La coda per entrare alla festa elettorale del Spd berlinese è lunga, lunghissima. Gli avventori sono uno spaccato del partito, almeno nella capitale. Giovani, anziani, uomini d’affari, bianchi, afrotedeschi, famiglie. Qualcuno nella coda esclama «Siamo di nuovo una Volkspartei!», un partito interclassista.

Funzionari di partito fanno su e giù per la fila, preoccupati che stia per arrivare fino alla fermata del treno suburbano. Ma è una preoccupazione che forse in pochi si aspettavano fino a sei mesi fa, prima che i socialdemocratici fossero catapultati in testa ai sondaggi.

Gli exit poll arrivano come una doccia fredda, soprattutto a livello cittadino. Il pareggio a livello federale fa paura, ma le prime proiezioni mostrano un Spd scivolato al secondo posto, dietro ai Verdi partner di coalizione.

L’europarlamentare Gaby Bischoff, sindacalista eletta coi socialdemocratici a Berlino, saluta vecchie conoscenze fra i banchetti rigorosamente rossi: «È bello vederti qui».  L’umore però è sotto zero: «Eh, insomma. La situazione è abbastanza brutta», dice un funzionario di punta del Spd berlinese.

La candidata a sindaco, Franziska Giffey, si presenta sul palco, il suo discorso sembra già anticipare le possibili dimissioni da segretaria nel caso la storica sconfitta dovesse essere confermata.

«Fosse un’impresa facile lo potrebbero fare tutti», spiega con voce tremante. La base l’applaude, ma alcuni non riescono a trattenere l’ostilità con cui era stata accolta la sua candidatura: «Questo è quello che succede a puntare sugli elettori di centro».

Un lieve vantaggio federale

Questo scetticismo non si applica alle elezioni federali. I primi risultati suggeriscono un grande flusso di voti dalla Cdu al partito di Scholz, il leader centrista che pure non era stato molto apprezzato proprio qui, nella federazione più a sinistra del Spd.

Un anziano elettore è qui con il figlio trentenne, il più giovane di una lunga stirpe di Genossen, di compagni.  «Senta, l’importante è vincere. Non mi interessa con quali voti andremo al governo e non penso che ciò cambierà la posizione del partito».

Solo i risultati dei primi spogli ravvivano l’atmosfera. Il risicatissimo vantaggio fa esplodere la sala, qualcuno addirittura sala su una scaletta per vedere meglio il megaschermo.

Ma molto presto torna la prudenza, nessuno si fa illusioni che questi numeri sono provvisori. «Sarà una lunga serata, e ci sarà molto da tremare» è il mantra per l’occasione: nessuno vuole pensare troppo all’occasione storica che il partito potrebbe stare per sprecare. La tensione è spezzata solo quando Zdf, il secondo canale pubblico, trasmette il discorso del leader Cdu Laschet.

Molti scuotono la testa per quello che sembra effettivamente un primo programma di governo, forse fuori luogo dopo il pareggio e così presto dalla chiusura dei seggi.

Finalmente parla Olaf Scholz, ma l’entusiasmo dei berlinesi è decisamente più contenuto rispetto al pubblico alla centrale federale. «È chiaro che molti cittadini hanno scelto il cambiamento, cioè Olaf Scholz come cancelliere». Nessuna standing ovation, un piccolo applauso che forse riflette l’impopolarità del ministro delle Finanze nella base. Niente a che fare con l'eccitazione per il crollo della Cdu, stimato di almeno l’8 per cento dei voti.

Freddezza a sinistra

Questa freddezza ha senso a Berlino, dove l’Spd è storicamente più a sinistra del resto del paese. Dopo averlo bocciato come candidato alla segreteria, molti socialdemocratici avevano sostenuto Scholz perché il suo profilo centrista è visto come più compatibile con un elettorato storicamente conservatore.  

Ma sono ancora tanti quelli che voluto che la retorica della Cdu su un “Linksrutsch”, una scivolata a sinistra del paese, fosse una possibilità concreta nella prossima legislatura. Non sembra per ora che ciò avverrà, complice il tracollo della Linke, la terza colonna di un ipotetico governo a guida Spd e con il supporto dei Verdi.

Molti degli iscritti erano rimasti irritati dall’ultima fase della campagna socialdemocratica, basata tutta su una classica retorica conservatrice: «Un voto per Olaf Scholz è un voto per la sinistra radicale». 

Il diretto interessato non ha mai voluto escludere questa opzione, ma molti fra i gli iscritti sanno che il candidato cancelliere abbia una chiara preferenza per una coalizione semaforo assieme ai liberali. Richard Heilmann, bibliotecario con vistose ghette, non riesce a credere al risultato: «Onestamente non riesco a immaginarmi che la Linke non entri in parlamento».

L’uscita di scena del partito, erede del partito di regime della Germania est che ha accolto anche gli scissionisti della sinistra del Spd, sarebbe una sconfitta storica: dimezzando il proprio risultato, la Linke oscilla pericolosamente attorno alla quota di sbarramento. Conterà ora riuscire ad accaparrarsi tre seggi uninominali, grazie ai quali riuscirebbe comunque a entrare al Bundestag. 

I primi numeri della serata non fanno infatti presagire un risultato sufficiente per formare un governo che escluda sia Cdu che liberali. Molti speravano soprattutto che lo spauracchio di un’alleanza cosiddetta rossa-rossa-verde potesse costringere i liberali di Christian Lindner ad ammorbidire la propria  avversione alla spesa pubblica e qualsiasi tipo di aumento delle tasse.

Ma se i risultati dovessero essere confermati non sarebbero in pochi a temere che Scholz cedi ai suoi «peggiori istinti», come spiega un funzionario che preferisce rimanere anonimo. «Se saremo davvero primo partito saremo schiacciati fra dei Verdi la cui campagna a sinistra è screditata dal risultato elettorale e un Fdp che esce rafforzato nella propria fede nel mercato. Dovremo lavorare molto per tenere la barra a sinistra».

© Riproduzione riservata