È passato un soffio – era il 2019 – da quando il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che la Nato era «in stato di morte celebrale». Quattro anni dopo, l’alleanza atlantica è più spavalda che mai, mentre è sullo stato più o meno vitale dell’Unione europea che c’è da interrogarsi. Esattamente un anno fa, Stati Uniti e Russia hanno tagliato fuori l’Europa dai colloqui sull’Ucraina. A guerra deflagrata, l’Ue è sempre più incapace di iniziativa autonoma. Mentre la «difesa europea» è il grimaldello retorico col quale l’Unione si militarizza, intanto la capacità di autonomia politica in quest’ambito si riduce sempre più. La dichiarazione congiunta di cooperazione tra la Nato e l’Unione europea che è stata siglata questo martedì sotto il drappello del supporto comune all’Ucraina indica in realtà la direzione futura: schiacciata sulle posizioni atlantiche, l’Europa finisce dentro la polarizzazione Usa contro Cina. Ovviamente – come sempre accade per il variegato quadro europeo – questa svolta non è lineare: la Germania ad esempio non era così convinta di farsi trascinare nello scontro con Pechino. Ci sono voluti mesi, e molte mediazioni, perché la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, arrivassero a siglare questo martedì la dichiarazione assieme al segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.

La Nato e l’Ue

Non tutti gli stati membri dell’Unione europea sono anche membri dell’alleanza atlantica: sono 21 i paesi che appartengono a entrambe. «Se contiamo Svezia e Finlandia, 23», come ha precisato Michel: il trio che ha siglato la dichiarazione si dice fiducioso che l’iter di espansione andrà in porto nonostante rallentamenti e intralci posti da Ungheria e Turchia. Un tentativo di ribadire la sintonia Nato-Ue risale all’estate 2016, con l’accordo sulla cooperazione nell’ambito della cybersicurezza, mentre due anni dopo – a luglio del 2018 – a Bruxelles ci si promette di «condividere il fardello della sicurezza comune» e – cosa ancor più sostanziale – di «sostenere un aumento generale della spesa militare». Presentando la nuova dichiarazione, Stoltenberg ha ribadito che questa è la direzione: «Stiamo lavorando con la Commissione europea e già prima di Natale abbiamo discusso di come coordinare gli sforzi, perché si tratta di aumentare la produzione in Europa, e a tal fine abbiamo interloquito con l’industria militare». Il percorso di militarizzazione dell’Unione europea progredisce da vent’anni, ed è da giugno del 2020 che gli stati membri dell’Ue hanno avviato il loro percorso per la formulazione dello «strategic compass», che doveva essere la «bussola» europea. Da una parte, l’aggressione russa all’Ucraina ha fatto da ulteriore innesco: basti pensare all’annuncio del riarmo tedesco, o alla svolta nella quantità delle spese e nel tipo di impegno da parte delle istituzioni Ue. Dall’altra, la guerra ha finito per inibire un processo già troppo timido di emancipazione di una difesa europea. Il destino non era inesorabile, ma è figlio di scelte fatte, di iniziative non prese, e di un certo tipo di leadership: Ursula von der Leyen è stata bollata come «la presidente americana» – pur essendo una presidente europea – per la sua disposizione a dir poco favorevole verso gli Usa. Già prima della guerra, l’Ue si faceva tagliar fuori: il 9 gennaio di un anno fa, funzionari russi e statunitensi confluivano a Ginevra per i colloqui sull’Ucraina; colloqui dai quali l’Ue era esclusa.

Dichiarazione di intenti

«Con questa dichiarazione comune portiamo la nostra partnership al livello successivo», ha detto von der Leyen. Ma in quale direzione, lo chiarisce bene quest’altra sua affermazione: «Le minacce russe sono le più immediate, ma non sono le uniche. Sperimentiamo anche il tentativo sempre più ingombrante della cina di riformulare l’ordine internazionale a suo beneficio: dobbiamo aumentare la nostra resilienza». Gli Stati Uniti sono già orientati verso lo scontro con la Cina: Pechino è già l’antagonista, tanto che durante la campagna elettorale italiana gli esperti dell’Atlantic Council come Matthew Kroenig si interrogavano sui posizionamenti dei partiti verso la Cina, oltre che verso Mosca. Ma per l’Europa far sua questa polarizzazione non è così scontato: non a caso la Germania è tutt’altro che decisa sul decoupling, sul disaccoppiamento economico dalla Cina. E Pechino stessa, preferisce riallacciare con alcuni paesi europei per risollevare la sua economia e correggere il suo isolamento, favorito anche dalle ambiguità con Mosca.

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