Quando Giorgia Meloni e Matteo Salvini si sono riuniti in gran segreto per apparecchiare le europee di giugno – offrendo al grande pubblico soltanto un salviniano selfie con sorrisi e piante sullo sfondo – non avevano ancora i dati che oggi lo European Council on Foreign Relations rende pubblici. Ma c’è da scommettere che ne avessero almeno il sentore. Questo spiega perché Salvini alzi i toni della campagna elettorale, e perché la premier debba regolarli.

Certo, il leader leghista non sapeva che le previsioni su come potrebbero finire le elezioni consegnano al suo partito soltanto otto seggi all’Europarlamento, invece dei 29 delle europee precedenti, quando la Lega era stata il primo partito. Ed è ovvio che la premier non aveva questo numero: 27 seggi, invece dei sei del 2019. Ma che gli equilibri si fossero rovesciati c’era da intenderlo da molto tempo. Coi dati alla mano risulta ancora più grottesco il flop fiorentino del capitano, che aveva portato a raduno i sovranisti di Identità e democrazia, ritrovandosi con più defezioni celebri che presenze vip.

In realtà – dicono i dati Ecfr – quel gruppo di estrema destra europeo farà il botto, elettoralmente parlando; potrebbe persino diventare il terzo più copioso gruppo in aula, sempre che Fidesz di Viktor Orbán non concluda l’accordo coi conservatori meloniani; ma il fatto è che anche se Id farà il botto non lo farà il suo componente italiano.

Quanto agli avversari, le proiezioni ci raccontano che con Elly Schlein il Pd arriva a incassare quattordici seggi; sono cinque in meno del mandato precedente, ma sono molti se si considera la tendenza generale delle formazioni che afferiscono al gruppo socialista. Più in generale, il fronte progressista esce malconcio dalla fantapolitica dei sondaggi: non solo retrocedono i socialisti, ma una coalizione orientata a destra diventa possibile numeri alla mano; l’ambiguità di Manfred Weber e dei popolari, che ammiccano a Meloni pur tenendo in sospeso i socialisti, potrebbe concretamente sciogliersi a favore di un’opzione destrorsa, anche se prima del voto il Ppe non ha alcun interesse a renderlo esplicito alla fetta moderata della sua base elettorale.

Un terremoto a Bruxelles

I dati Ecfr sono come il tracciato di un sismografo che mostra un terremoto: dicono infatti che per la prima volta sarà possibile una maggioranza a destra, capace di sostenersi in autonomia se tiene insieme popolari, conservatori e sovranisti.

La maggioranza che tradizionalmente ha governato l’Europarlamento – popolari, socialisti, liberali – riduce sempre più il proprio consenso: il Ppe passa da 178 a 173 seggi, il gruppo socialdemocratico cala da 141 a 131, i liberali di Renew addirittura da 101 a 86. Anche i Verdi perdono eurodeputati – da 71 a 61 – mentre la sinistra europea tira un sospiro di sollievo perché cresce, da 38 a 44, grazie in particolare ai voti da Germania, Francia e Irlanda. Tra gli elementi interessanti, c’è il fatto che la performance prevista per il Pd di Schlein sia tra le migliori del gruppo socialista; di più fanno i socialisti spagnoli, con 19 seggi, ma sempre due meno del 2019 anche per loro. Il Movimento 5 stelle dovrebbe passare da 14 a 13.

In questo contesto, la tipica Große Koalition che finora in Ue aveva retto si ritroverà con meno della metà dell’arco europarlamentare in mano. La previsione è che «i populisti euroscettici» – come li inquadra lo studio – siano in testa non solo in Italia, ma anche in Francia – dove Marine Le Pen passa da 23 a 25 seggi e soprattutto i macroniani calano da 23 a 18 – oltre che in Olanda, in Ungheria.

Su scala europea, potrebbe essere Orbán – che prima del voto nessuno vuole ufficialmente in casa – a determinare chi prevale tra meloniani (Ecr) e salviniani (Id): in termini di numeri Fidesz (con 14 seggi, uno in più del 2019) sarà cruciale.

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