Il tetto europeo al prezzo del gas non la convince. A Viktor Orbán vuole congelare un po’ di fondi, ma sulla quantità è disposta a mediare. Riformare l’Europa sarebbe un suo obiettivo, ma sa che senza volontà politica c’è poco da fare. A nove anni già protestava per il clima, Anna Lührmann, ma ora che sfiora i 40 ed è al governo in Germania deve pesare ogni mossa. Quando a Bruxelles bisogna discutere di affari europei, per Berlino c’è lei. Fa parte del governo Scholz come sottosegretaria a Europa e clima, ambiti cruciali per il dicastero degli Esteri che porta la bandierina verde di Annalena Baerbock. Ma già da prima era deputata. È stata la più giovane in assoluto. Era il 2002, Greta Thunberg non era neppure nata.

La più giovane al mondo?

Avevo 19 anni; per pochi mesi ho battuto il record di uno svedese. Nella mia biografia c’è scritto che a 13 anni ho iniziato a far politica nel partito verde, ma la verità è che ero impegnata già da prima. A 9 anni assieme ad altri ragazzini ero attiva in Greenpeace, raccoglievamo firme per i pannelli solari. Mi preoccupavo per il pianeta.

Qui a Copenaghen, al congresso dei Verdi europei, ci sono tanti giovani. Il leader dei popolari Manfred Weber ha appena pubblicato la foto di gruppo del summit del Ppe ad Atene: 15 uomini e tre donne. Vuol commentare?

I politici devono essere lo specchio della società. Per noi rappresentarne pienamente la diversità è importante, e lo si vede dalle posizioni che assumiamo in Ue: a differenza del precedente governo, abbiamo spinto per la direttiva europea che garantisce una quota al femminile del 40 per cento nei cda.

C’è qualcosa su cui invece frenate, ed è l’intervento europeo sui prezzi del gas. In questo congresso si sente dire che bisogna pensare all’impatto sociale della crisi: come giustifica l’ostruzionismo tedesco sul price cap in Ue?

Il tetto sembra una così buona idea… Poi però, a osservarne le implicazioni, si vede il rischio di ricevere meno gas. La nostra politica energetica deve seguire tre criteri: assicurare le forniture, poi prezzi stabili e più bassi, inoltre gli obiettivi climatici, riduzione dei consumi e più rinnovabili. Il problema con la proposta di fissare i prezzi è che mette a rischio la sicurezza energetica.

Si parla però anche in queste ore di un price cap in Germania.

Stiamo aiutando un po’ i cittadini.

Perché non farlo a livello europeo? Lei ha una delega che porta quel nome.

In Ue quello che dovremmo fare è comprare gas insieme.

È nell’aria da mesi. Perché non è cosa fatta?

La Commissione ha avuto bisogno di tempo per elaborare la sua proposta: è un intervento sul mercato, è complesso, se non interveniamo bene compromettiamo la sicurezza comune.

Il bazooka tedesco non compromette – cioè distorce – il mercato comune?

I 200 miliardi annunciati dal governo per dare un segnale di stabilizzazione ai tedeschi vanno spalmati su tre anni, e pro capite diventa qualcosa di simile a quanto fatto dalla Francia. Per quel che riguarda le nostre imprese, c’è un dialogo in corso con la Commissione.

Lei prima indicava tra le priorità quella di garantire che il gas arrivi. L’obiettivo di dire addio ai fossili finisce sacrificato?

Se le imprese vanno in bancarotta trasciniamo tutta l’Europa in recessione: per i prossimi anni servono forniture, e parallelamente bisogna velocizzare la transizione. Inoltre penso che in Ue dovremmo parlare di più di tagli ai consumi: noi tedeschi abbiamo chiesto più tagli obbligatori.

Il governo Scholz si è formato un anno fa sulla base di un accordo di coalizione che, anche per il contributo green, evocava più integrazione europea oltre che una più strenua difesa dello stato di diritto. A posteriori, sembra un miraggio infranto. In fatto di riforme, Scholz si concentra su qualche obiettivo pragmatico. E il Consiglio, dove lei siede, ha messo nel congelatore la richiesta dell’Europarlamento di fare una convenzione.

Da dicembre 2021 ho partecipato io al Consiglio Ue affari generali, e posso dirle che in ogni sessione ho chiesto che ci aprissimo a questo dibattito istituzionale, per considerare le riforme. È chiaro che la convenzione può essere un ottimo passo, ma ha senso solo se c’è una maggioranza.

Per dire sì alla convenzione basta una maggioranza semplice.

Sì, ma per procedere con le riforme poi no. Il punto è la volontà politica.

Che latita. Berlino ne ha?

Tredici paesi hanno già messo le mani avanti con un documento, io ho organizzato un non paper per sostenere invece il dibattito sulle riforme, c’erano Italia, Spagna… Ma serve più consenso, dobbiamo creare un momentum.

La Commissione Ue vuol congelare 7,5 miliardi all’Ungheria con il meccanismo che condiziona i fondi al rispetto dello stato di diritto. Ora è cruciale il ruolo del Consiglio.

Il governo italiano sostiene di essere allineato con la Germania, il che incuriosisce visto che i meloniani hanno perorato i fondi per l’Ungheria mentre Baerbock a parole professa la rule of law.

La mia priorità è che il meccanismo di condizionalità venga utilizzato e che a tal fine garantiamo una maggioranza in consiglio. Ci devono essere dei fondi che vengono congelati. Quel che sta succedendo in Consiglio al momento è che c’è una discussione su quando e come prendere queste decisioni. L’idea è di vedere quali passi avanti avrà fatto l’Ungheria da metà novembre fino a quando dovremo votare: la richiesta è che la Commissione rifaccia, aggiorni, la sua valutazione sull’Ungheria, e di riconoscere i passi avanti quando si determina il quantitativo da congelare.

Perché queste attenzioni? Per i veti di Orbán?

La bussola è sempre costruire una maggioranza in Consiglio.

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