Settantasei voti contro sessantadue. È solo un antipasto, è un voto in due commissioni. Ma lascia presagire quale sarà il piatto forte di inizio luglio in plenaria: l’Europarlamento si prepara a mettere il veto alla tassonomia. L’idea che gas e nucleare possano essere considerati verdi produce «una cross-party dissatisfaction: il dissenso cresce e attraversa i vari gruppi politici», spiega l’eurodeputato verde Bas Eickhout, animatore e stratega del fronte dei contrari.

Anche su questo dossier, come per tanti altri della politica europea, la guerra modifica ulteriormente le dinamiche. Il fatto che le compagnie energetiche russe abbiano fatto attività di lobby per avere gas e nucleare “verdi”, è un’ombra pesante. Inoltre, concedere l’etichetta green al gas proprio mentre ci si impegna a uscire dalla dipendenza da Mosca risulta ancor più incongruente. Infatti gli anti tassonomia l’hanno ribattezzata «un regalo a Putin».

Un atto politico

La tassonomia nasce per orientare gli investimenti verso attività economiche sostenibili: in teoria il sistema di classificazione è stilato sulla base di criteri scientifici, e ha l’obiettivo di imporre standard pro clima di rilievo globale. Sempre in teoria, il report dello Eu Technical Expert group, e cioè il dossier tecnico che ha fornito alla Commissione i dati per elaborare la sua proposta, detta i limiti di emissioni entro i quali una fonte è sostenibile; e stando a quei criteri, il gas non lo è. Ma i fatti sono andati diversamente, e la ragione ha a che fare con politica e interessi economici ben più che con la scienza.

Oltre a una intensa attività lobbistica delle industrie di gas e nucleare – tra il 2020 e la prima metà del 2021, gli incontri tra funzionari Ue e lobbisti del nucleare sono raddoppiati, quelli coi pro gas sono stati oltre trecento – la Commissione Ue è stata spinta soprattutto da una cordata di governi. Emmanuel Macron ha combinato un patto tra governi pro nucleare, come la Francia, e pro gas, ottenendo così – già prima che Olaf Scholz rimpiazzasse Angela Merkel – la complicità di Berlino, oltre che l’assenso italiano.

La notte di capodanno è filtrato il piano di Bruxelles: dare l’etichetta verde a gas e nucleare, proprio come da accordo fra governi. Il parere negativo espresso dalla “Piattaforma sulla finanza sostenibile”, che raccoglie componenti come lo Institute for European Environmental Policy ma pure la Banca europea degli investimenti, mondo della scienza e degli investimenti, non ha frenato Ursula von der Leyen, che a febbraio, ignorando qualche voto contrario e astensione nel suo stesso collegio di commissari, è andata dritta per quella strada.

Il ruolo della guerra

Prima che Vladimir Putin invadesse l’Ucraina, il fronte dei contrari a questa tassonomia era già ampio e variegato: dagli ambientalisti alle banche di investimento come Goldman Sachs e JP Morgan, che hanno bocciato Bruxelles perché fallisce sia «l’ambizione climatica» sia l’obiettivo di «dare uno standard internazionale credibile».

La guerra contribuisce a modificare ulteriormente il dibattito. Anzitutto, per il ruolo svolto dalla Russia: un rapporto di Greenpeace France documenta che dal 2018 Gazprom, Lukoil e Rosatom, direttamente o tramite “compagnie-matrioska”, hanno fatto pressione sulla Commissione (con tanto di incontri) perché etichettasse come sostenibili gas e nucleare. Poi, perché «sul gas l’intera narrativa è cambiata», dice Eickhout.

Nell’ottica di un’emancipazione rapida dal gas russo, quell’etichettatura stride ancor di più. «Inoltre non è pensata per la situazione attuale: il gas naturale liquefatto (gnl), che ora l’Ue compra sempre di più per liberarsi dal gas russo, diversamente da quest’ultimo non rientra nei criteri della tassonomia, perché non serve a rimpiazzare il carbone, ma altro gas».

Verso il veto

Chi può fermare Bruxelles (e Parigi)? Potrebbero i governi, se in Consiglio ci fossero almeno 20 stati membri, che rappresentino il 65 per cento di europei. Berlino ha fatto sapere che voterà contro, l’Austria è pronta alle vie legali se la tassonomia passa; ma i volonterosi sono pochi e la fiducia che siano i governi a mobilitare una super maggioranza sfiora lo zero. Tutte le attenzioni sono quindi sul parlamento Ue: qui la chance c’è, si è visto questo martedì.

La commissione Affari economici e quella Ambiente hanno votato sull’ipotesi di «obiettare» alla tassonomia, e l’obiezione ha prevalso 76 a 62 (quattro le astensioni). Ora alla plenaria di inizio luglio serviranno 353 voti per imporre il veto: se l’operazione riesce, la Commissione deve ritirare o modificare l’atto.

Mentre la Lega continua a difendere la tassonomia, se ci si sposta dall’estrema destra, tra i popolari si è aperta la crepa. «Nel mio gruppo, che è il più grande, è sempre meno probabile che sosterremo questa tassonomia, e ho fiducia che in Europarlamento ci sarà la maggioranza contro», dice il lussemburghese Christophe Hansen (Ppe): «Dopo l’invasione dell’Ucraina, questa tassonomia è ancor più incomprensibile».

Nel gruppo Renew, i macroniani sono agguerriti per difendere la creatura presidenziale, ma pure qui spuntano i ribelli: «Questa tassonomia non è scientifica, è politica, e non è democratica; lavorerò per portare più colleghi tra i contrari», dice la svedese Emma Wiesner (Renew). L’olandese Paul Tang dice che nel suo gruppo, il socialdemocratico, «oltre l’80 per cento è già schierato contro la tassonomia»; e il capodelegazione italiano, Brando Benifei (Pd), conferma questa direzione. Verdi e sinistra, altrettanto. A luglio potrebbe arrivare per la Commissione un’altra bocciatura, e stavolta non la può ignorare.

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