La Francia che rivendica un suo protagonismo, la Germania che sconta il suo egoismo, e un’Europa che da quest’attrito tra paesi fondatori esce senza baricentro: questa è la realtà europea attuale.

Non bisogna farsi ingannare dalle dichiarazioni rasserenanti esibite da Emmanuel Macron e Olaf Scholz dopo il loro incontro parigino di questo mercoledì. In realtà il clima tra i due paesi fondatori d’Europa è surreale almeno quanto quel quadro di Joan Miró che appare sullo sfondo nella fotografia scattata a fine vertice. Questa settimana, al posto del bilaterale fugace tra i due leader, avrebbe dovuto tenersi un grande incontro tra i due governi a Fontainebleau. Ma è saltato, dunque il cancelliere tedesco è andato all’Eliseo per un pranzo e un tentativo blando di ricucire.

«Avanziamo e risolviamo insieme le sfide della sovranità europea!», ha twittato poi il presidente francese. «Abbiamo avuto un incontro importante e molto positivo, oggi, sulle forniture di energia in Europa, i prezzi in aumento e i progetti di difesa comune», è il commento di Scholz. Ognuno vuol vedere nell’incontro ciò che più gli piace, ma il fatto stesso che l’incontro sia rimasto blindato dall’assenza di conferenze stampa – scelta che fonti governative tedesche inizialmente hanno attribuito e scaricato sull’Eliseo – fa intendere che Francia e Germania si muovono su un terreno instabile.

A far esplodere le divergenze, fino al rinvio dell’appuntamento di Fontainebleau, sono stati interessi divergenti su dossier specifici. Ma il punto – e il motivo di maggior allerta in ottica europea – è che a non coincidere sono anche le visioni dei due leader.

Gas, prezzi e debito

Si può risalire molto in là nel tempo – non all’ultimo Consiglio europeo, non a quello informale di Praga, ma almeno fino al vertice di Versailles – per ritrovare Macron che invoca invano assieme a Mario Draghi un cambio di orientamento sul tema dell’indebitamento comune. Era marzo: la Francia spingeva per sostenere con modalità simili a quelle della pandemia anche energia e difesa; Draghi confermava: «Italia e Francia sono completamente allineate». Ma non lo era la Germania, né quindi la Commissione europea. «I tempi non sono maturi», avevano concluso i due.

Nel frattempo, assieme ai prezzi, è cresciuta anche l’allerta per la crisi energetica. Ma Scholz ha continuato a schivare e procrastinare ogni risposta incisiva a livello europeo, primo fra tutti il tetto ai prezzi del gas: all’ultimo vertice, quello della scorsa settimana, Macron ha sperato di scuoterlo svergognandolo in pubblica piazza. «La Germania non si isoli», era il monito dell’Eliseo.

La Germania ha tirato dritto: lo si è visto anche martedì, al Consiglio Ue sull’energia. I ministri si sono lasciati con l’ennesimo rinvio a fine novembre, e questo perché la Commissione europea – che non si smuove senza il via libera di Berlino – si è presentata per l’ennesima volta senza una vera proposta, sul tetto ai prezzi.

Non che la Germania non colga il problema, anzi: Scholz per il suo paese ha imbastito il bazooka da 200 miliardi; il che per l’Ue non è che una grana, visto che il sostegno pubblico alle imprese nazionali rischia di distorcere il mercato comune. Bruxelles a parole bastona, in pratica rinnova lo schema sugli aiuti di stato e così avalla la linea tedesca.

In questo contesto, il veto di Macron sul progetto di gasdotto MidCat, che Scholz sosteneva, può essere inteso pure come contromossa. All’ultimo summit europeo l’Eliseo ha pattuito coi paesi iberici un «corridoio verde alternativo».

Armi, Ucraina e Cina

Far saltare Fontainebleau è una scelta ad alto valore simbolico, e c’è da scommettere che lo smacco delle armi abbia pesato parecchio. Quando è saltato il patto per i sottomarini francesi, perché l’Australia un anno fa ha siglato il patto Aukus con Usa e Regno Unito, l’Eliseo all’epoca ha scatenato il caso diplomatico e ha provato a trascinarvi tutta l’Ue. Stavolta lo smacco arriva da Berlino: dopo la sua «svolta del riarmo» e la scelta di mettere 100 miliardi nella difesa, il cancelliere Scholz si è mostrato più attento a comprare dagli Usa che a difendere quella che Macron rivendica come «autonomia strategica» europea; e che è anche strategia d’interesse francese.

L’attenzione del governo tedesco all’industria militare statunitense serve alla Germania anche per barattare pazienza da Washington in quello che sarà il tema del futuro, e che pesa già nel presente: il «disaccoppiamento» dalla Cina. Il comparto produttivo tedesco è tutt’altro che sereno all’idea di rompere con Pechino, e per dirimere la faccenda Scholz a inizio novembre va a incontrare Xi Jinping. Macron avrebbe voluto aggregarsi, ma non c’è stato verso.

La coalizione semaforo, che nel programma aveva l’europeismo, esprime oggi un cancelliere di tutt’altro avviso. E una leadership incongruente, anche se nell’immediato trasforma l’Italia in un partner strategico per Macron, certo non è di buon auspicio per gli europei.

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