Dopo mesi di tensione, i rapporti tra Turchia e Unione europea sono tornati quasi ai livelli pre-escalation nel Mediterraneo. Il Consiglio di marzo ha deciso di rafforzare la cooperazione con il paese anatolico e il 6 aprile i presidenti di Consiglio e Commissione, Ursula von der Leyen e Charles Michel, si sono recati personalmente ad Ankara per sugellare la ritrovata intesa con il presidente Recep Tayyip Erdogan. Ad avere reso possibile tale riavvicinamento è stata principalmente la Germania, che fin dall’inizio della crisi ha arginato il blocco dei paesi che chiedevano l’adozione di una linea dura contro la Turchia.

A spingere Berlino ad adottare un atteggiamento tanto conciliatore nonostante il costante indebolimento dello stato di diritto in Turchia sono ragioni di carattere interno. A preoccupare la cancelliera tedesca è certamente la possibilità che la Turchia dia volontariamente inizio ad una nuova crisi migratoria in Europa, ma Merkel deve fare i conti prima di tutto con il peso della comunità turca in Germania e con il potere che Erdogan esercita su una parte di essa. Un problema ancora più rilevante a così pochi mesi delle prossime elezioni federali, alle quali la Cdu si presenterà con nuovo leader dopo ben 15 anni ed in calo nei sondaggi.

La storia

Ad oggi, in Germania risiedono 3,5 milioni di turchi: i primi arrivarono nel paese negli anni Sessanta per lavorare nelle fabbriche dell’ex repubblica federale sulla base di un accordo siglato tra Bonn e Ankara. Quando il programma terminò nel 1973, sul suolo tedesco c’erano circa 900mila turchi - tra prima e seconda generazione - e molti di loro decisero di restare in Germania, nonostante il basso livello di integrazione e la scarsa qualità della vita. Con il tempo, la diaspora turca ha continuato a crescere, diventando sempre più variegata. Se i primi immigrati erano arrivati in Germania in cerca di lavoro, nei decenni seguenti Berlino ha accolto curdi, armeni, aleviti ed altre minoranze in fuga dalle persecuzioni, oppositori di sinistra, attivisti e, dal 2016 in poi, sostenitori di Fetullah Gulen, l’uomo accusato di aver guidato il fallito colpo di stato.

Nonostante la presenza di gruppi, la diaspora rappresenta per Erdogan un potente strumento di influenza negli affari interni della Germania. Una grande fetta dei turchi residenti sul suolo tedesco ha infatti uno stretto legame con la madrepatria, rafforzatosi ulteriormente da quando l’attuale presidente è al potere. Erdogan ha investito fin dal 2002 sulla diaspora in Europa, sfruttando a proprio favore i problemi di integrazione dei turchi in Occidente e costruendo con loro un legame basato sulla comune appartenenza alla comunità musulmana, generalmente una minoranza in un paese - e in un continente - largamente cristiano. A rendere ancora più stretto il rapporto tra i turchi residenti in Germania e la madrepatria è stata anche la riforma targata Akp - il partito di Erdogan - che dà la possibilità anche a chi vive all’estero di votare per le elezioni turche senza bisogno di tornare in patria.

In questo modo il presidente è riuscito ad ampliare il suo bacino di elettori, ma le consultazioni in Turchia non sono le uniche su cui Erdogan vorrebbe influire tramite la diaspora. Dei 3,5 milioni di turchi che vivono in Germania, la metà ha diritto di voto ed è su questo particolare segmento di popolazione che il presidente vuole mettere le mani. Il tentativo di ingerenza più marcato fu quello del 2017, quando Erdogan invitò i turchi a non votare né per Merkel, né per Martin Schulz, candidato dei Socialdemocratici (Spd), in quanto «ostili» nei confronti della Turchia. L’appello era costato al capo di stato turco l’accusa di «grossolana ingerenza» negli affari interni tedeschi dall’allora ministro degli Esteri Sigmar Gabriel, ma non ha avuto particolari conseguenze sulle relazioni tra i due paesi.

Il voto della comunità

Dagli anni Sessanta in poi la comunità turca ha votato principalmente per la Spd, in virtù del legame tra la classe operaia e il partito dei Socialdemocratici, ma le nuove generazioni sono meno propense a sostenere il centrosinistra e la sinistra. I giovani di origine turca nati e cresciuti in Germania si sono avvicinati a partiti maggiormente conservatori anche grazie ad un aumento del livello di istruzione e all’impiego in settori diversi rispetto a quello dei propri nonni e genitori, fortemente legati al mondo delle industrie.

A beneficiare di questo cambiamento negli ultimi anni è stata la Cdu di Angela Merkel, che soprattutto nelle prossime elezioni potrebbe contare sull’appoggio di una larga parte della comunità. Secondo un’indagine realizzata dal think tank Konrad Adenauer, la percentuale di elettori di origine turca pronti a sostenere la Cdu è passata dal 13 per cento del 2015 al 53 per cento, mentre il consenso per la Spd è crollato dal 50 al 13 per cento. A favorire l’identificazione delle nuove generazioni con i conservatori ha contribuito anche la leadership di Merkel, che ha spostato il partito verso il centro, e l’attenzione verso le politiche di immigrazione ed integrazione, soprattutto dal 2014 in poi.

Alla luce dei dati sulle preferenze di voto della comunità è facile capire perché Merkel non voglia arrivare ad uno scontro con la Turchia, preferendo adottare un atteggiamento maggiormente conciliatore verso un presidente che non fa mistero della sua influenza sui turchi residenti all’estero, in particolare in Germania. A pochi mesi dalle elezioni federali, la cancelliera ha tutto l’interesse a presentarsi come la leader maggiormente attenta alle relazioni con la Turchia, scongiurando così il rischio che la Cdu finisca nuovamente tra i partiti etichettati da Erdogan come ostili e quindi non meritevoli dei voti della comunità. I risultati delle regionali, tra l’altro, non lasciano spazi ai dubbi: la Cdu ha bisogno di tutti i voti possibili, se non vuole dire addio alla cancelleria. E i voti della comunità turca sono un fattore da non sottovalutare. 

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