«Nessuno è perfetto». Con questa frase la direttrice dell’agenzia europea del farmaco ha annunciato il via libera al vaccino AstraZeneca. «Nessun vaccino è perfetto», ha aggiunto. Un senso di fallibilità accompagna l’Europa alla fine di una settimana di scontri con le aziende farmaceutiche, tra annunci di ritardi e dosi che non arrivano, con i paesi costretti a confrontare realtà e aspettative. Nel confronto con Big Pharma, l’Europa finisce per inciampare su sé stessa: la Commissione, che fino a pochi giorni fa difendeva la segretezza dei contratti, ora utilizza la trasparenza come arma nel contenzioso; sdogana il testo dell’accordo con Astrazeneca e vorrebbe che Londra facesse altrettanto. Ma «la natura di quel contratto – dice il giurista Alberto Alemanno – mostra in realtà quanto l’Ue si sia messa nelle mani dell’industria». Quella che potrebbe essere una soluzione all’impasse, e cioè la pretesa che le aziende condividano le licenze e subappaltino la produzione, diventa nelle parole di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, una sorta di «opzione nucleare», da usare solo se le corporation dovessero farci troppo arrabbiare. Per fronteggiare le difficoltà, Bruxelles è pronta a incrinare anche i capisaldi del mercato comune: vuole attivare il monitoraggio, e il blocco se necessario, dell’export dei vaccini. Pure la libera circolazione delle persone viene disincentivata con le nuove “zone rosso scuro”. C’è poi il fallimento più grande: i contratti per i vaccini dovevano essere una prova della potenza di fuoco dell’Unione, che negozia con una sola voce. Ma tra Berlino che va per conto suo, e Budapest che approva il vaccino cinese, ora che la situazione coi vaccini si fa dura, la compattezza è difficile da mantenere.

Il patto con AstraZeneca

La Commissione sgancia la bomba diplomatica: dopo che in queste settimane aveva difeso la segretezza degli impegni presi con le aziende, distillando solo qualche frammento di contratto, ieri ha reso pubblico il patto con AstraZeneca. La mossa è in risposta alle affermazioni dell’amministratore delegato, Pascal Soriot, che per giustificare i ritardi ha di fatto rivelato alcuni contenuti, o meglio la sua versione: «C’è scritto che faremo del nostro meglio, non c’è un obbligo sulla consegna delle dosi». Una beffa per l’Ue. Così questo venerdì ha pubblicato il contratto; le parti sulle quali era stata concordata segretezza con l’azienda – molte – sono state occultate. Ma il coup de théâtre è questo: nella prima versione caricata online (poi rimossa e sostituita) le parti cancellate sono di fatto visibili cliccando sull’opzione “segnalibro”. Pare un errore tecnico, ma c’è chi scommette che dietro si nasconda uno sgambetto all’azienda. Si scopre così che il valore complessivo stanziato dall’Europa è di 870 milioni di euro. La presidente della Commissione difende la sua versione: altro che fare del proprio meglio, l’azienda ha obblighi precisi; e i vaccini possono arrivare anche da stabilimenti britannici. «In realtà dopo aver letto il contratto si conclude che AstraZeneca farà il possibile per adempiere agli obblighi: una promessa che dal punto di vista legale è friabile», dice Alemanno. «Lo sforzo dell’Europa di negoziare con una voce sola è importante, ma lo strumento contrattuale scelto è discutibile: è un contratto di appalto in cui accettiamo che il modello di sviluppo del vaccino avvenga secondo regole di mercato. C’è una asimmetria tra gli incentivi dati alle aziende e le aspettative rivendicate dalle autorità pubbliche: così ci si mette nelle mani dell’industria senza un piano b».

Nazionalismi e frontiere

Al momento, il “piano b” è l’imposizione del monitoraggio sulle esportazioni: le aziende devono dichiarare cosa stanno spedendo, a chi, in quale ammontare, e attendere il via libera, che può essere negato. Nel frattempo le difficoltà con i piani di vaccinazione scatenano il liberi tutti: il ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, ha fatto sapere che lunedì Angela Merkel incontrerà «figure di spicco» dell’industria farmaceutica. Nonostante il divieto di negoziati bilaterali, con Pfizer la Germania ha concordato separatamente 30 milioni di dosi, e l’agenda della cancelliera fa pensare che prosegua per la stessa strada: davanti agli altri. Ieri del resto il presidente della Baviera ha apertamente criticato Bruxelles sui vaccini. I governi sia francese che tedesco, inoltre, a poche ore dal pronunciamento dell’Ema su Astrazeneca, sono intervenuti nel merito: Macron ha detto che «pare quasi inefficace su chi ha più di 60 anni», Spahn ha riferito di «non aspettarmi un’approvazione incondizionata», che invece è arrivata.

La voce più fuori dal coro rimane l’Ungheria, che dopo aver sdoganato il vaccino russo approva quello cinese: sostiene che se è stato già usato su almeno un milione di persone, allora va bene. I dottori ungheresi scrivono lettere allarmate a governo e authority: chiedono di rispettare i protocolli, sollevano «problemi di coscienza». Mentre i nazionalismi galoppano, le rappresentanze degli stati a Bruxelles provano a stabilire criteri condivisi per gestire i contagi. Lunedì diventano effettive le nuove raccomandazioni: ci saranno criteri europei sui colori. Gli spostamenti sono disincentivati con test e quarantene; misure volute soprattutto da Merkel, che teme le varianti. Ma sono raccomandazioni: gli stati si riservano di prendere le loro misure, difendono le loro competenze.

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