Emmanuel Macron esce dal primo turno in testa a tutti, e si prepara al secondo con il sostegno delle forze repubblicane. Ma la Francia che va al ballottaggio il 24 aprile non è immune dall’estrema destra. A urne chiuse, un vantaggio di oltre tre punti separa Macron su Marine Le Pen: 27,6 per il presidente in carica, 23,4 per cento per la leader del Rassemblement national. In terza posizione, con il 22 per cento, il leader della France insoumise Jean-Luc Mélenchon catalizza il «voto utile» di sinistra ed ecologista: il verde Yannick Jadot non arriva al 5 per cento, la socialista Anne Hidalgo è sotto il 2. Tutti e tre sono contro Le Pen al secondo turno. Il terremoto è a destra: Éric Zemmour con il suo 7 per cento scavalca i Républicains di Valérie Pécresse, che incassa meno di uno scarno 5 per cento. E sia Zemmour sia una fronda di repubblicani dichiarano sostegno a Le Pen. Gli argini che tengono l’estrema destra lontana dall’Eliseo si sgretolano, mentre la destra si riconfigura sempre più lontana dal centro moderato. Intanto l’astensione supera quella di cinque anni fa.

La «rissa» e le alleanze

Dopo il primo turno c’è lo scontro a due, il dibattito, «et, là, il y a la castagne», ha preannunciato il presidente francese ancor prima che le urne del primo turno fossero aperte. La castagne è la rissa. «Non mi pare un tono da presidente», ha replicato la leader del Rassemblement. Il 3 maggio 2017 lo scontro frontale in tv tra i due è finito con la disfatta di Le Pen, e Macron spera di replicare. Negli ultimi giorni è a lei che ha rivolto i suoi affondi, tentando di “ri-diabolizzarla”. Va detto che, come ha notato Bruno Cautrès del centro di ricerca politica di Sciences Po, «Macron non è più il giovane candidato di allora: ha alle spalle cinque anni che possono non essere piaciuti, si è alienato il consenso di una parte della popolazione»: non basterà essere smaglianti a un dibattito. L’altro schema che il presidente vuole rinnovare è l’alleanza con Nicolas Sarkozy. «Sono pronto a lavorare con tutti coloro che credono nel mio progetto e che vogliono aiutarmi a metterlo in opera», è l’abboccamento che il presidente ha lanciato a ridosso del primo voto; per poi mirare direttamente a Sarkozy: «Sul tema di lavoro e merito, per fare un esempio, mi ritrovo nelle lotte del presidente Sarkozy». L’alleanza tattica è stata già avviata durante questo mandato: quando la contestazione dei gilet gialli ne ha eroso il consenso, Macron si è affidato all’entourage di Sarkozy; legati a quest’ultimo sono sia il ministro dell’Interno Gérald Darmanin che il premier Jean Castex. In questo modo il presidente in carica prova a guadagnare consenso a destra, puntando sul fatto che nell’altro campo, quello progressista, prevale il senso di responsabilità delle forze repubblicane. Hidalgo e Jadot hanno subito dichiarato sostegno a Macron. Mélenchon forte del venti per cento dice che a Le Pen non deve andare neppure un voto. Ma lo slittamento a destra del presidente, e il tentativo di rubare voti al bacino dell’estrema destra, sono un’arma a doppio taglio.

La rottura degli argini

Spostando sempre più a destra la sua retorica e le sue politiche, Macron per primo ha contribuito a erodere il “cordone sanitario” che adesso spera freni l’avanzata di Le Pen. «Ci fai pentire di averti votato», gli hanno detto alcuni intellettuali come Olivier Roy quando, alla fine del 2020, a braccetto con il sarkoziano ministro degli Interni Darmanin, Macron ha messo in campo una serie di politiche securitarie, come la “legge sulla sicurezza globale”. Dalla destra estrema, il presidente ha preso anche il cavallo di battaglia dell’immigrazione; e a ridosso del voto è arrivato ad ammettere di non aver fatto abbastanza per contenerla, promettendo quindi di fare di più. A rendere sempre più permeabile il cordone sanitario ha contribuito anche Éric Zemmour: spostando ancora più a destra gli estremi dell’asse politico, ha fatto apparire Le Pen come un’alternativa moderata rispetto a lui. Se già dal 2011 Marine Le Pen ha avviato il percorso di dédiabolisation, di normalizzazione, niente ha accelerato questo processo quanto la campagna elettorale aggressiva, xenofoba e russofila di Zemmour.

Ricomposizioni a destra

La madrina politica di Zemmour, Marion Maréchal, aveva anticipato che in uno scontro tra il presidente e la zia avrebbe sostenuto quest’ultima. Domenica sera Zemmour stesso ha fatto altrettanto. Quanto spazio a destra Le Pen sarà in grado di sottrarre al presidente? I moderati le faranno da barriera come da tradizione del fronte repubblicano, dal 2002 del padre Jean-Marie al 2017? L’argine frana sempre più. «Dirò per chi voto io, ma non darò mai indicazione ai miei elettori su chi scegliere», aveva detto la candidata dei Républicains, Valérie Pecresse; a urne chiuse ha annunciato il suo voto a Macron. Ma le risposte vaghe, e i risultati esigui, sono indicativi della scomposizione in corso all’interno del suo partito, che gioca a favore di Le Pen. Una parte infatti è attratta dal piano di riallineamento delle destre immaginato da Zemmour assieme a Maréchal; un piano che bolle in pentola da almeno tre anni, da quella “convenzione della destra” dove i due hanno avviato il loro sodalizio. La tentazione dei Républicains per lo scivolamento più a destra è rintracciabile ad esempio nell’invito che esponenti del partito influenti come Julièn Aubert e François-Xavier Bellamy hanno esteso l’anno scorso a Zemmour, perché partecipasse alle primarie dei repubblicani. Il flirt tra le due destre è incarnato bene dalla figura di Éric Ciotti: sconfitto da Pecresse alle primarie, oggetto di ripetuti abboccamenti da parte di Zemmour che ha provato ad attrarne anche l’elettorato, dice che voterà contro il presidente in carica. Maréchal dice di volere un’alleanza tra la corrente di Ciotti e Zemmour sin dalle legislative, ma il piano in realtà è a lunga gittata: una estrema destra che fagocita il resto della destra. E magari Marion Maréchal, a tentare alle presidenziali tra cinque anni, al posto della zia.

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