Sul caso migranti, Giorgia Meloni è inciampata fragorosamente. Ma per comprendere appieno le reazioni francesi bisogna decifrare su cosa è inciampata esattamente: su una lotta per la sopravvivenza, del presidente Emmanuel Macron; su una lotta per la successione, del ministro Gérald Darmanin. E su una lotta di entrambi per le riforme da approvare. Il tema dell’immigrazione – e quindi l’inciampo meloniano – intercetta tutte e tre queste lotte.

La dinamica dell’incidente

Partiamo da un presupposto: al di là delle dichiarazioni via stampa o social, l’Eliseo si è approcciato a Meloni premier con pragmatismo. Non c’è da stupirsi: quando ha assunto la presidenza di turno in Ue, Macron è volato a Budapest a un summit di Visegrad, e quando doveva trattare per etichettare come «verde» il nucleare, ha dialogato con la Polonia; tutto ciò nel vivo dello scontro sullo stato di diritto in Europa. Per quanto l’Eliseo potesse preferire Mario Draghi, proprio quest’ultimo ha fatto da garante nel primo incontro con Meloni, che Macron ha coperto il più possibile allo sguardo critico dell’opposizione. Dopo l’incontro sulla terrazza romana, la sinistra francese lo ha additato per aver discusso «con la neofascista». Nella querelle sui migranti, ci sono pochi dubbi sul fatto che durante Cop27 il presidente si sia mostrato disponibile ad aiutare Meloni a uscire dall’impasse. Ma prima la scheggia impazzita Salvini, poi lo stesso Chigi, senza neppure aspettare che la Ocean Viking fosse uscita dalle acque italiane hanno strepitato vittoria. Invece di incassare in sordina un’elasticità dell’Eliseo, Meloni era pronta a definirlo un precedente. Nel frattempo l’estrema destra francese – senza che quella italiana, sua alleata, ne gestisse le mosse – ha accusato Macron di essere morbido sui migranti. E questo né il presidente, né il ministro Darmanin, potevano digerirlo. Qui entrano in gioco le tre lotte.

La lotta di Macron

Dopo le scorse elezioni presidenziali e legislative, Macron si confronta con una certezza – un’estrema destra sempre più in forze – e con un’incertezza: il presidente non può più contare sulla maggioranza assoluta in parlamento. Davvero il tema migratorio è così cruciale? «Nel complesso, i francesi sono ben più preoccupati del costo della vita, che dei migranti», dice Mathieu Gallard, direttore di ricerca di Ipsos France. Da ciò si può dedurre che, proprio come avviene in Italia con Salvini e Meloni, far schermaglie sull’immigrazione devii l’attenzione da altri temi sui quali i governi hanno risposte meno pronte. Ad ogni modo, il tema migranti sta particolarmente a cuore all’Eliseo, ed è sempre Gallard, dati alla mano, a chiarire perché: «Durante le ultime presidenziali, su questo tema Macron è riuscito con successo a strappare voti alla destra dei Républicains: anche per questo è uscita in macerie da quella competizione». Già, ma le presidenziali ormai sono finite: perché continuare a fare i duri sul tema (o meglio, a non voler apparire deboli)? Qui entrano in gioco gli equilibri all’Assemblée nationale, e cioè in aula. «Macron sta cercando di attrarre a sé, o di creare una coalizione, coi repubblicani, anche se loro sono a dir poco titubanti: se cedono, rischiano di esser fagocitati». La relazione «è tesa», spiega Gallard. «A fine anno si terrà il congresso dei Républicains: a determinare i giochi saranno i militanti, che sono radicali, anche sui migranti; dunque Macron cerca di attirarli a sé».

Successione e riforme

Se già Macron non può mostrare cedimenti sul tema migranti, ancor meno può e vuole Gérald Darmanin, che infatti dopo aver accusato l’Italia di essere «egoista» e di non rispettare il diritto, ha da poco annunciato l’espulsione di 44 dei migranti precedentemente soccorsi dall’Ocean Viking. Ex portavoce di Nicolas Sarkozy, al quale è tuttora legato politicamente, Darmanin da ministro degli Interni ha costruito l’immagine del duro destrorso: è lui ad aver definito «troppo morbida» Marine Le Pen sul tema Islam, è sempre lui ad aver definito «ecoterroristi» gli ambientalisti in protesta, e così via. «Non è il ministro più popolare – dice Gallard – ma è tra i più noti, e vuole posizionarsi come successore di Macron». Il nodo è se la formazione macroniana in futuro «sarà ancora un partito con un nocciolo centrista oppure esploderà: nella seconda ipotesi, Darmanin è posizionato per guidare una eventuale formazione orientata a destra». Prima di progettare elezioni future, ad ogni modo, sia il presidente che il governo francese stanno scommettendo – guarda caso – proprio su una imminente riforma dell’immigrazione. «L’esecutivo cercherà di farla passare nei prossimi mesi, e per metterla a segno servono i voti della destra repubblicana».

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