La tesi è chiara, grazie a Giorgia Meloni il contrasto europeisti-euroscettici si stempera; la premier è ragionevole, atlantista, collabora con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue.

Come scrive qui (18 Marzo) Lorenzo Castellani, la Ue sarebbe «in una fase di forze ibride e di integrazione selettiva. È il trionfo della prassi sulla teoria».

Tale quieta accettazione dello status quo sembra invece il trionfo del vecchio e della paura, sul nuovo e sul coraggio; in Europa i sodali di Meloni sono polacchi, cechi, magiari fautori della democrazia illiberale, volti a deviare il fiume della storia europea, ri-disperderlo nelle acque morte.

Nel 1950 ci salvò la lungimiranza di pochi giganti: francesi, tedeschi, italiani, profilati dalla trentennale guerra civile europea. Nel disegno di succedere a sé stessa von der Leyen, erede meschina di quei giganti, ammicca a chi con quel disegno nulla ebbe allora a spartire, e nulla condivide oggi.

La furba Meloni, non potendo far la guerra alla Ue, dei cui denari ha disperato bisogno, gira il mondo ostentando sorellanza con von der Leyen, in cerca di sostegni dopo le elezioni.

Brexit ha mostrato anche ai più ottusi i danni di un'uscita dalla Ue (o dall'euro); la destra non ne parla più, se ripetesse ora le stranezze che urlava dall'opposizione, tornerebbe a casa a furor di popolo.

Castellani vede convergenze nei fatti fra la premier e il presidente francese Macron, ma la prima ama irritare il secondo, pur se del suo aiuto ha gran bisogno per costruire posizioni comuni in Consiglio Europeo; Parigi risponde escludendoci dai negoziati con Berlino sul patto di stabilità. Ricordiamo che il nostro irragionevole No blocca sempre il Mes.

Per Castellani la Ue è un ibrido fra europeismo e euroscetticismo, ma questo vorrebbero Meloni ed alleati illiberali. Non è fallito il «progetto centrista» (così egli derubrica la spinta per l'unione sempre più stretta).

Ce n'è invece più che mai bisogno, si pensi agli enormi investimenti necessari per ambiente – non è ubbia dei burocrati di Bruxelles – difesa comune, tanti beni pubblici gestibili solo su scala europea, fuori portata per gli Stati.

Se non affronterà con coraggio il nuovo mondo, il cumulo dei problemi sommergerà la Ue. Dopo l'aggressione russa va limitato molto il diritto di veto degli Stati. Che farà Meloni se la superiorità del diritto Ue, da lei negata, sarà di nuovo messa in discussione?

Soprattutto, non si potrà più marciare compatti quando la Ue arrivasse a 35 membri. La proposta francese per un'unione a cerchi concentrici pare realistica; nel cerchio più interno dovremo stare noi, se Meloni non s'opporrà, magari per mantenere il contatto visivo coi sodali ovviamente confinati ai margini.

La premier fa dumping politico, vende all'estero la faccia ragionevole, ma sul mercato domestico piazza merce scadente come quella sulle tasse pizzo di stato; esse non sarebbero “bellissime”, tanto per irridere un servitore pubblico come Tommaso Padoa-Schioppa.

Ne avesse questo governo! E la sua condanna per la farsa putiniana tocca solo il voto nell'Ucraina occupata, non s'estende a quello in Russia. Purtroppo, all'estero tali parole rafforzano l'opinione che ci dipinge come inaffidabili, sleali.

Se alla Casa Bianca tornerà l'amico Trump, vedremo di che fatta è questo atlantismo, quanto il suo volto europeo sia posticcio. Meloni si allea con von der Leyen che vira a destra, sperando di mostrarsi decisiva nella futura Ue.

Non attacca la Ue ma può impedirle indispensabili progressi politici sui temi dove, se non si avanzerà verso l'integrazione, ci si fermerà per poi disintegrarsi, o divenire irrilevante.

Come ha qui scritto Gianfranco Pasquino (20 Marzo), la domanda da fare a partiti e candidati è: intendono approfondire l'unione oppure «limitarsi a quello che c'è, che per alcuni governi sovranisti è già fin troppo?».

Per disfare la Ue non c'è bisogno di attaccarla, basta tirar bene il freno al momento giusto, e si torna all'Europa delle patrie.

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