Su migrazioni e diritti umani l’Italia potrebbe ritrovarsi a lavare i panni sporchi dell’Europa. E sarebbe tutt’altro che un affare per il nostro paese, destinato a pagare il prezzo più alto di un continente che decide di erigere muri ancora più alti, con decine di migliaia di persone sbarcate in Italia e “trattenute e contenute” all’interno delle nostre frontiere.

In quegli stessi hotspot e centri per il rimpatrio che non solo non hanno la capienza per affrontare uno scenario del genere, ma per i quali il nostro paese è stato più volte condannato dalla Corte europea dei diritti umani e censurato dalla giustizia nostrana.

Il 14 febbraio arriva alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) del parlamento europeo il testo del Patto europeo asilo e migrazioni. Un testo blindato, frutto di un accordo politico faticosamente raggiunto a dicembre dopo negoziati durati quasi 10 anni. La commissione Libe lo voterà così com’è, e lo stesso farà il parlamento europeo, non oltre metà aprile. L’intento è quello di chiudere entro la legislatura, prima delle elezioni europee di giugno.

Oltre Dublino

I testi sono stati elaborati dopo il trilogo tra la Commissione, il Parlamento e il Consiglio europeo. L’accordo politico raggiunto il 20 dicembre prevede l’approvazione della proposta di cinque regolamenti chiave: Screening, Eurodac, Procedure asilo, Gestione migrazioni e asilo, Crisi e forza maggiore. E la soddisfazione italiana – per Piantedosi è «un grande successo per l’Europa e per l’Italia» – sembra destinata a scontrarsi con la realtà.

«La normativa che sostituirà l'attuale regolamento di Dublino, che stabilisce che il primo paese di approdo è quello competente alla valutazione della richiesta di asilo, esprime un’intesa verso la solidarietà», spiega Giovanna Cavallo del Forum per cambiare l'ordine delle cose, rete dal basso che coinvolge decine di città. «Fa sperare in un cambio di passo verso un governo europeo delle responsabilità». Ma c’è un ma.

Dublino di fatto non cambia, ma si «determina un meccanismo di solidarietà obbligatoria nei momenti di maggiore pressione su proposta della Commissione che riceve la segnalazione del paese in affanno». Il meccanismo potrebbe raggiungere anche 30mila persone da ricollocare. Solo che non è “obbligatorio”: gli altri Stati possono decidere di non accogliere, ma versare un contributo economico per ogni migrante non redistribuito. Che quindi resta lì dove è arrivato.

Trattenere 60-70 mila persone

Frontiere, muri, diritti umani (e costi). A preoccupare ancora di più sono i regolamenti screening e procedure, che «prevedono la creazione di centri di detenzione alle frontiere in cui trattenere le persone che hanno scarso successo di poter ricevere asilo». Famiglie con minori incluse.

«Oltre alla violazione dei diritti umani, c’è un problema di fattibilità», e l’Italia sarà uno dei paesi che pagherà il prezzo più alto. Il Forum ha simulato cosa accadrebbe a fronte di numeri di arrivi già vissuti. A partire dal 2016, quando in Italia sono arrivate 181.436 persone. «Secondo i dati Unhcr solo 23.373 sono di quelle nazionalità – Eritrea, Iraq, Siria – che hanno un tasso di riconoscimento della protezione superiore al 75%».

E solo quelle persone, secondo il nuovo Patto, avrebbero avuto normale accesso alla procedura d’asilo. Il resto – 158.063 persone – «avrebbero dovuto affrontare la procedura di frontiera, rimanere negli hotspot e nei centri per i rimpatri». Luoghi che al momento hanno una “disponibilità” di 2-3mila posti in tutta Italia. Per non parlare dell’annosa questione dei rimpatri, con tassi di riuscita irrisori.

Se il Patto fosse stato in vigore l’anno scorso, l’Italia si sarebbe ritrovata con 60-70 mila persone «trattenute e contenute nelle frontiere per valutare la loro ammissibilità al territorio europeo». «Una straordinaria violazione dei diritti umani», uno scenario poco fattibile e «un iter che l’Italia ha già provato a introdurre e che è stato censurato dalla magistratura».

Il protocollo con l’Albania

Il quadro che si delinea, però, contribuisce almeno a “spiegare” la logica del protocollo con l’Albania. «Nasce dagli interstizi di questo regolamento europeo, una triste sperimentazione», spiega Cavallo, con la previsione, in scenari di crisi, di accordarsi con Paesi terzi definiti “sicuri” per la gestione dei flussi. I numeri sul livello di «straordinarietà necessaria» non vengono quantificati, ma per il Patto, «sopra un tetto di pressione migratoria» diventa possibile derogare a una serie di diritti. Come con il protocollo Albania appunto. E come con il cosiddetto decreto Cutro, che prevede in contesti di «grave crisi migratoria», per esempio, di derogare a una serie di garanzie previste per esempio per i minori stranieri non accompagnati.

Gli appelli

Grande, ma generalmente passata sotto silenzio, è la mobilitazione dal basso contro un Patto che promette di abbassare ulteriormente l’asticella dei valori su cui un tempo si fondava l’Europa. Come la lettera aperta con oltre 200 firme di esperti ed esperte di tutta Europa. E come l’appello di Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Rivolti ai Balcani, Europasilo, Italy must act, Refugees Welcome Italia, Mediterranea Saving Humans, Recosol e Stop Border Violence: chiedono ai e alle parlamentari italiani di non votare, «per restituire all’Europa e al Parlamento lo scettro di una sovranità ormai perduta».

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