Ha messo insieme la polizia francese e i sindacati, che non sono mai stati così compatti. Ha unito le destre, macroniana e repubblicana, mentre l’estrema guidata da Marine Le Pen vuol fare una «opposizione responsabile». Che cos’è questo marchingegno miracoloso, capace di unire forze solitamente in competizione, e allo stesso tempo di spaccare i fronti? È la svolta che porterà i francesi ad andare in pensione non più a 62, ma a 64 anni. È la riforma delle pensioni. Élisabeth Borne, la prima ministra francese, la disegna e la presenta, ma è Emmanuel Macron a giocarcisi davvero la faccia. Spostare in avanti l’età pensionabile è il clou del suo secondo e ultimo mandato. Perciò il presidente non vuole soltanto ottenere la riforma, ma punta a metterla a segno senza spintoni, e cioè con il consenso parlamentare. È più che probabile che gli riesca: la destra sulle pensioni è capace di coalizzarsi. Il punto è che nel frattempo si spacca la Francia: la prossima settimana il mondo del lavoro metterà in scena la sua rivolta. La società, come la politica, a Parigi sempre più si polarizza.

Più riforme, meno pensioni

Nel giro di quarant’anni in Francia, sulle pensioni è la settima riforma. Ha cominciato un socialista, François Mitterrand, stabilendo che per andare a riposo bisognasse avere sessant’anni. Era il 1982. Dopo un decennio abbondante, alle pensioni ha messo mano Édouard Balladur. Vent’anni fa è stata la volta della riforma di François Fillon, che ha omologato la situazione nel mondo pubblico e privato; un altro ritocco è arrivato nel 2008. Poi nel 2010, per mano di Éric Woerth e con Nicolas Sarkozy presidente, l’età del pensionamento è stata spostata gradualmente verso i 62 anni, com’è oggi. Con la riforma Touraine del 2014 il processo subisce un’ulteriore accelerazione.

È dal 2017, l’anno del debutto all’Eliseo, che Macron ha preso di mira il sistema pensionistico. Ma durante il primo mandato le sue ambizioni sono in parte ridimensionate: sul finire del 2018 comincia la rivolta dei gilet gialli, nel 2019 il presidente adatta i piani al contesto. E quell’anno fa pure qualche promessa che oggi decisamente non sta mantenendo: «Spostare l’età pensionabile dopo i 62 anni? Non ci penso nemmeno!», era la sua versione. «Mi sono impegnato a non farlo».

Quattro anni – e un mandato – dopo, il presidente non solo ha pensato a spostare l’età pensionabile, ma inizialmente persino a 65 anni. La prima ministra Borne ha ridimensionato – di poco – l’obiettivo dichiarato da Macron a ottobre, e ha portato la soglia a 64 anni, dichiarando comunque un bersaglio: «Riportare il sistema pensionistico in equilibrio entro il 2030».

Tendenze europee

Il principale alibi del governo è l’allungamento delle prospettive di vita, ma il processo è meno rapido di quanto si faccia credere, e soprattutto è diseguale. Nella stessa fabbrica, due coetanei 35enni hanno aspettative di vita diverse: 88 anni per una dirigente, 78 per l’operaio.

Nel suo libro verde sull’invecchiamento demografico, a gennaio del 2021 la Commissione europea era arrivata a sostenere che «l’allungamento della vita lavorativa sia una risposta fondamentale», e per Bruxelles un lituano o un lussemburghese dovrebbero arrivare a lavorare fino a 72 anni. La Francia, interloquendo con la Commissione, nel 2022 ha fatto pure vaghe promesse di sistemare i conti sul fronte delle pensioni.

Ma la scelta resta di responsabilità statale: al di là dei gusti in Ue, è imputabile a Macron e Borne.

Le destre e i lavoratori

Le legislative non hanno regalato a Macron una maggioranza assoluta in assemblea nazionale. Esiste la possibilità di far passare una riforma senza voti, ma è una deroga che può valere in un caso solo. Borne punta all’approvazione in aula, per poi far entrare in vigore il nuovo regime a settembre.

Come intende riuscirci? Anzitutto, i macroniani sono riusciti a trovare un compromesso con la destra, coi Républicains, guidati ora da Éric Ciotti, uno dei più oltranzisti. La verità è che non è stato troppo difficile: il tema delle pensioni «è nel dna della destra», come dicono i repubblicani, e del resto Valérie Pécresse, la loro candidata alle presidenziali, sosteneva che arrivare alla pensione a 65 anni fosse «ineluttabile».

Il Rassemblement National, entrato in forze all’assemblea nazionale, non può certo dar ragione a Macron, ma Le Pen annuncia opposizione «responsabile», in un ulteriore sforzo di normalizzazione.

Il 19 gennaio ci sarà uno sciopero generale, lo promuovono almeno otto sindacati, poliziotti inclusi: la destra si unisce, ma dal lato opposto si coalizzano i lavoratori.

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