Per soli nove voti il governo francese non è stato sfiduciato. Servivano almeno 287 voti ovvero la maggioranza assoluta dell’assemblea nazionale, per far cadere l’esecutivo Borne. Ne sono arrivati 278.

E oltre a questo strettissimo margine di sopravvivenza, c’è anche un altro numero che non sarà possibile ignorare. Almeno due terzi dei francesi non vogliono la riforma macroniana delle pensioni, e una cifra altrettanto ingombrante confidava che i deputati sanzionassero con una sfiducia al governo il tentativo di approvarla scavalcando il parlamento.

Ai numeri si aggiungono i corpi nelle piazze, corpi sociali, sindacati, e frotte di persone di ogni età.

Vittoria di facciata

Ma la prima ministra Élisabeth Borne scavalca anche quei due terzi: «Nessuno può intestarsi il popolo», ha detto questo lunedì all’assemblea nazionale in un discorso di rivincita, anticipando di fatto gli esiti del voto di sfiducia nei confronti del suo governo, arrivati mezz’ora dopo il dibattito in assemblea nazionale: anche se per un pugno di voti, non è passata infatti alcuna motion de censure.

Si può anzi dire che nel breve periodo il presidente Emmanuel Macron – il vero ghostwriter del discorso pronunciato da Borne con piglio deciso – abbia anche ottenuto ulteriori vantaggi. La destra dei Républicains ha salvato per un soffio il governo dalla sfiducia – ha garantito all’Eliseo di procedere – eppure è se possibile ancor più allo sfascio di prima.

Macron, il grande polarizzatore del paese e della politica, togliendo spazi di manovra democratici spinge la Francia e le sue forze politiche a una ulteriore radicalizzazione.

Ma ha davvero vinto, il presidente, e con lui la premier? «Comunque vada, questo governo è già morto», ha tuonato questo lunedì pomeriggio Mathilde Panot, la capogruppo della France Insoumise all’assemblea. La maggioranza già risicata – e non assoluta – che i francesi avevano consegnato a Macron nelle legislative di giugno diventa ora ancora più instabile e fragile.

Il nodo della sfiducia

Dopo che, giovedì scorso, Borne ha deciso di ricorrere alla leva di emergenza dell’articolo 49.3 della costituzione, tentando così di schivare il voto dei deputati sulla riforma, le opposizioni si sono organizzate per tentare di sfiduciarla, come sempre l’articolo 49 rende possibile.

Marine Le Pen, che in assemblea sfiora i novanta deputati, ha presentato la sua motion de censure, garantendo però che il Rassemblement avrebbe votato pure le altre. L’unione della sinistra ecologista (Nupes) proprio per favorire convergenze ha appoggiato una mozione presentata come transpartisane e cioè trasversale dal piccolo gruppo Liot.

Ed è quest’ultima motion che per un soffio non è passata. Il margine strettissimo – 9 voti – è politicamente rilevante e indica le fibrillazioni in corso nei repubblicani, alcuni dei quali non hanno seguito l’indicazione del leader Éric Ciotti di non votare la sfiducia.

La capogruppo macroniana di Renaissance, Aurore Bergé, non ha fatto che lanciare accuse preventive ai repubblicani, mentre la premier Borne li ha implicitamente richiamati all’ordine prima del voto, ricordando che il testo della riforma «è di compromesso» e cioè che coi repubblicani tempo fa si era accordata. Ma tutta questa pressione, combinata con il voto palese, non è bastata per irreggimentare i ribelli.

Cosa succede ora

Borne non è sfiduciata, e la riforma risulta passata anche se non promulgata. Ma nessuna delle due cose è blindata. Il governo «è morto», preme l’opposizione, mentre lo stesso capogruppo repubblicano Olivier Marleix conferma la fiducia ma lancia frecciate a Macron chiedendo un cambio di direzione.

Quanto alla riforma, nel giro di poche ore dal voto della mozione di sfiducia, al Consiglio costituzionale arriva la richiesta di valutare la costituzionalità della legge: le opposizioni di ogni orientamento (Le Pen, Panot) hanno sùbito annunciato ricorso. Il Consiglio può metterci anche un mese a valutare, ma è stata chiesta l’urgenza, dunque il responso dovrebbe arrivare dopo poco più di una settimana. Nel frattempo per giovedì è prevista una grande mobilitazione sociale.

Borne è salva, e pure Macron con il suo piano per spostare l’età pensionabile a 64 anni, ma i francesi hanno ancora qualche chance per mandare in pensionamento anticipato sia la riforma che la prima ministra. Nonostante le limitazioni imposte dalle autorità, strade e piazze di Parigi sono gonfie di rabbia.

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